Di potere, sul potere e per il potere.
“Stane”, il 26esimo cortometraggio del progetto Miu Miu Women’s Tales, è una rappresentazione realistica di come le dinamiche familiari e generazionali impattino la vita di chi si trova ad arrivare dopo, di chi deve prendere in mano le redini per mandare avanti un’azienda che “ha sempre funzionato così”, seguendo regole silenziose da parte della società che però pesano sulle spalle come un macigno. Se la persona che deve prendere in mano le redini del potere poi, è una donna, allora il discorso che si apre è ancora più forte e impattante.
Da donna, vedendo “Stane” ho percepito lo stesso peso delle aspettative della protagonista. Da donna a donna, quando mi sono seduta con la regista Antoneta Alamat Kusijanović per discutere di questo progetto, ho avuto conferma (ancora una volta e purtroppo) di quanto questa rappresentazione sia più reale e diffusa che mai. Ma, per fortuna c’è un ma: un cambiamento infatti, rappresenta soprattutto l’occasione di migliorare e migliorarsi, lasciando a chi verrà dopo di noi l’importanza della comprensione e della mutabilità del potere. Con Antoneta, abbiamo parlato delle ispirazioni da onorare nel suo cortometraggio, dell’utilizzo dei costumi Miu Miu che, silenziosamente, parlano di ribellione, del potere liberatorio dei film e della verità emotiva che si prova stando bene con le persone che ci stanno intorno e con noi stessi, per sviluppare il nostro potenziale più puro.
Da Cannes nel 2021 a Venezia nel 2023. Come ti senti?
Cannes di due anni fa è stato un’esperienza molto particolare perché è stato il primo Cannes post-Covid, quello che si è svolto a luglio, con meno stampa e meno “addetti ai lavori”, quindi è stato un Cannes molto più piccolo. Mi è piaciuto molto, è stato decisamente diverso. Ho la sensazione invece che a Venezia le cose siano molto più rilassate, sarà perché c’è l’acqua e bisogna spostarsi sempre e solo con una barca e l’acqua “cancella” sempre tutto, ti rigenera. C’è in qualche modo meno tensione.
“Stane” è il 26° cortometraggio delle “Miu Miu Women’s Tales”: com’è stata per te l’opportunità di dirigere una delle storie incluse in questo progetto?
È un onore incredibile perché si tratta di registe di fama mondiale e essere invitata tra di loro è come dire “il meglio deve ancora venire”; mi fa sentire parte di un patrimonio più ampio ora.
“mi fa sentire parte di un patrimonio più ampio ora”
Sia “Murina” che “Stane” parlano di sessismo, anche se in sfumature diverse. Come hai ideato questa storia?
Ho lavorato nell’industria edile a New York, dove naturalmente c’erano pochissime donne ed era un ambiente molto carico e teso, inoltre sono 15 anni che vivo a New York, sono un’immigrata, quindi partendo da questa esperienza, Stane è emersa naturalmente, era già un po’ dentro di me e si è manifestata sullo schermo come alcune delle mie paure personali di tradimento. Inoltre, la mia bisnonna si chiamava Stane ed ha avuto una vita molto difficile, era una donna molto resiliente e delicata allo stesso tempo, quindi volevo davvero onorarla e per questo ho chiamato il personaggio con il suo nome.
Sono curiosa, dal momento che Danica Curcic (che interpreta Stane) è anche l’attrice di “Murina”, come avete lavorato insieme in questa nuova occasione, è stato diverso in qualche modo rispetto al passato?
È bellissimo lavorare con un attore per la seconda volta perché c’è un diverso livello di fiducia. È sempre bello scoprire l’attore attraverso la collaborazione una seconda volta. La prima volta è conoscersi reciprocamente, mentre la seconda si conoscono già le dinamiche e si ha già fiducia, e una volta che ce l’hai, puoi superare molti più limiti ed è stato incredibile lavorare su questo progetto con Danica perché richiedeva davvero molta fiducia per salire sul tavolo ed esprimersi in quel modo.
Devi fidarti e credere che il regista non farà di te una caricatura e questo è molto coraggioso, sono grata per quella fiducia.
“Era già un po’ dentro di me”
Penso che esattamente quella sia la sensazione che si prova guardando quella scena, si tratta di essere coraggiosi senza essere derisi.
Esatto. C’è una linea molto sottile perché la libertà va capita e compresa: devi sentirti imbarazzato e poi devi superarlo e sentirti potente e libero. E ci vuole fiducia da parte dell’attrice per trasmettere tutto questo.
Qual è la tua opinione sull’idea di potere e, soprattutto, sul concetto di essere una donna potente? Stane ci mostra ancora una volta come questo concetto possa essere soffocante in un contesto particolare.
Grazie per avermi detto che sono potente. [ride] È bello sentirlo.
Ogni donna è potente nei diversi ruoli che assume e a volte c’è un potere artificiale che ti insegnano ad avere ma che non possiedi veramente perché c’è qualcun altro al di sopra di te che lo controlla e può togliertelo in qualsiasi momento. Questo è il potere di Stane: deve quasi seppellire quel potere che è artificiale affinché emerga il suo vero potere. Il concetto di potere è molto interessante. Spesso sento nei discorsi che dobbiamo dare potere alle donne, dobbiamo mettere le donne al potere, ma nessuno lo dice degli uomini. Gli uomini hanno semplicemente il potere: nessuno ha bisogno di metterli lì o di darglielo. Qualcosa che può essere dato può essere facilmente tolto. Quindi, è un modo molto interessante di esprimere in parole il concetto di potere quando si tratta delle donne.
“dobbiamo dare potere alle donne, dobbiamo mettere le donne al potere”
“Il matrimonio e l’azienda di famiglia sono la stessa cosa” e “Non c’è un perché, devi farlo” sono entrambe citazioni dal film che, come donna, mi fanno arrabbiare perché abbiamo la sensazione di essere costrette a fare qualcosa solo perché la società lo vuole, togliendoci la libertà di essere semplicemente noi stesse. Cosa significa libertà per te? Dove la trovi di solito?
Nel liberarmi attraverso il film. E sai cosa è bello? È che ti immergi in una storia e ti fai trasportare e a volte non sai cosa ti emozionerà e non sai quale sia il motore della storia che stai creando e poi anni dopo, fa clic. Ed è liberatorio, è una libertà che guadagni da quell’emozione.
Ma anche riguardo alle citazioni, ho scoperto spesso che le donne stesse contribuiscono a creare i propri oppressori nell’essere oppresse. Spesso sono le madri, la loro generazione: ora, come madre, devo essere molto attenta a non creare un altro uomo che sarà oppressivo. Quindi questo è il potere che ho ora su questo essere umano.
Qual è il tuo rapporto con i costumi di scena nella costruzione di un personaggio? E come hai lavorato per lo stile di “Stane”?
I costumi di scena sono molto importanti, così come l’architettura, la luce, il dialogo o la sceneggiatura. I costumi trasmettono un’emozione non detta e forniscono informazioni sul personaggio. Il personaggio si muove in un certo modo attraverso il costume di scena e la scelta del personaggio di indossare qualcosa è molto significativa: può essere oppressivo o liberatorio. Abbiamo cercato di ottenere lo stesso effetto anche con il costume di Stane. Trovo la stessa cosa nell’architettura, il nostro comportamento è diverso a seconda dello spazio in cui ci muoviamo: lo spazio definisce davvero le emozioni di una persona.
“I costumi trasmettono un’emozione non detta”
Il messaggio di speranza nel film è dato non solo dalla ribellione di Stane, ma anche dal fatto che suo figlio mostri a tutti il suo sostegno per sua madre. Con una nuova generazione che si avvicina, pensi che un cambiamento positivo sia possibile nel prossimo futuro?
Assolutamente. Questa è la mia speranza e il mio desiderio di manifestarlo nei modi in cui posso attraverso i miei stessi figli. Questo è ciò che mi ha commossa effettivamente, è qualcosa che ho tratto dal film una volta completato. Una nuova scoperta per me.
Le “Miu Miu Women’s Tales” sono una piattaforma per la conversazione: su cosa ti piacerebbe iniziare una conversazione?
Mi piacerebbe che le persone parlassero del potere e di come può essere dato e tolto, di come il potere possa essere silenziato dalla musica, ad esempio “Come può il potere essere silenziato in modo quasi invisibile da una canzone pura?”
Da un lato ci sono le aspettative degli altri, dall’altro c’è l’importanza di diventare chi sei e chi vuoi essere. Questo “equilibrio” ti ha influenzato sia come regista che come donna?
Queste sono cose di cui si parla a posteriori, forse ho bisogno di più tempo. [ride] Riprendiamo il discorso tra 10-15 anni.
Scherzi a parte, non sono mai stata preoccupata dalle aspettative della società per me stessa e per la mia vita personale. Ma qualcosa che è importante per me è esprimere appieno me stessa e non permettere al mio corpo di morire inutilizzato. È molto importante, non puoi morire senza aver realizzato il tuo pieno potenziale, e a volte ci vogliono molti anni per scoprirlo, lavorarlo e poi renderlo realtà. È il percorso che devi fare, ed è davvero difficile. Ho iniziato a dirigere molto tardi, ho iniziato a studiare regia a 27 anni…
“Ma qualcosa che è importante per me è esprimere appieno me stessa e non permettere al mio corpo di morire inutilizzato”
E sta andando bene.
Sì, ma sto facendo passi molto grandi, e ci vogliono anni di intenzione, di esuberanza, di cercare di dire la verità. E non è facile, a volte devi combattere per anche il più piccolo dei dettagli.
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto su te stessa, anche grazie al tuo lavoro?
Ho scoperto come a volte posso essere fraintesa o vista male nel momento in cui certe emozioni si accumulano dentro di me nel corso della giornata e sono nascoste e vengono soppresse e le persone non possono notarle perché cerchi di combatterle con tutte le tue forze, e poi una volta che esplodono, perché l’emozione è andata oltre il limite, c’è un incidente emotivo. È un aspetto che ho esplorato molto in questo film.
Quando parliamo di costumi o abiti in generale, molte volte parliamo anche di sentirsi bene con sé stessi. Cosa significa per te essere a tuo agio nella tua pelle?
Biancheria intima di cotone. [ride] Scarpe comode con una piccola zeppa e protezione solare.
Qual è la tua isola felice?
Le persone a me care. La maggior parte delle volte accade su un’isola, vicino a Dubrovnik, dove la mia bisnonna aveva una casa che ancora oggi appartiene alla mia famiglia, e ci incontriamo tutti lì, anche se sta cadendo a pezzi (ci ho anche girato due film). C’è un solo bagno [ride], ma ci piace trovarci lì, è come se fosse un momento di relax attivo, e tutta la famiglia cucina insieme, è davvero il posto che amo. In ogni caso, la mia isola felice è ovunque la mia famiglia sia insieme.