Una donna in carriera, con un obiettivo preciso, il lavoro dei sogni e tanta strada davanti a sé, pur rendendosi conto che il cammino non è semplice, soprattutto se devi lottare contro razzismo, misoginia e discriminazione. Questa è la storia di Ingrid, protagonista di “Partner Track” (su Netflix), interpretata da Arden Cho. Con questo personaggio Arden ci ha fatto riscoprire che va bene lavorare duramente per ciò che si vuole, lottare con le unghie per arrivare all’obbiettivo ma, allo stesso tempo, non bisogna sottovalutare quanto sia essenziale non dimenticarsi chi siamo, le nostre radici, viverle con orgoglio e cercare un luogo sano, dove poter avere delle conversazioni aperte e sincere.
Abbiamo conosciuto Arden in una di quelle giornate di settembre così frenetiche che ti fanno venire il dubbio di averle vissute davvero. Chiacchierando con lei della sua Ingrid, abbiamo parlato di cosa vuol dire essere coraggiosi, della pressione che sentiamo nei confronti degli altri (e che a volte ci diamo da soli), e di come sia liberatorio avere il potere di sentirsi semplicemente sé stessi, sempre.
Lo confesso: “Partner Track” l’ho divorato, finito in due giorni, non riuscivo a smettere! Sono molto curiosa, qual è stata la tua prima reazione quando hai letto la sceneggiatura per la prima volta?
Ero super emozionata per il fatto che si trattasse di una storia con una protagonista asiatico-americana. Ho adorato il fatto che stavo leggendo qualcosa in cui il mio personaggio era incredibile, voleva tutto: era intelligente, ma voleva vincere, voleva essere una buona amica, una brava dipendente, una brava figlia. Spesso, ho la sensazione che i personaggi femminili o esistano solo come supporto di qualcuno, oppure non siano mai abbastanza a tutto tondo e tridimensionali, quindi sono così felice che lei invece fosse… tutto questo!
Sì, vedendo magari anche un solo lato, siamo riusciti a cogliere comunque tutto di lei.
Esatto, cogliamo il bello e il brutto, i momenti sì e quelli no, gli errori che compie perché è un essere umano ed ha difetti; è molto facile identificarsi in lei, probabilmente ti ricorda te stessa o qualche tua amica, ci sono lati di lei che una qualche tua amica ha in comune o che tu hai in comune, e compie scelte che ti fanno pensare, “Oh, perché l’hai fatto?!”, ma poi finisci col chiederti, “Oh, lo farei anche io?” [ride]. Così, impariamo dai suoi errori, si spera, ed è una serie divertente, che inscena situazioni in cui le donne lavoratrici, intelligenti, ambiziose possono identificarsi.
Quali sono gli aspetti di Ingrid che hai amato di più e quelli che invece senti lontani da te?
Adoro quanto sia intraprendente, adoro che sia così resiliente, non si arrende, è una sognatrice. È così ottimista ma, in un certo senso, questo è anche ciò che non mi piace di lei, perché la rende ingenua, immatura, soprattutto quando proprio non ci arriva, non capisce come va il mondo e come sono le persone, vive in un mondo fantastico in cui si ripete: se continuo a lavorare sodo e a comportarmi così, funzionerà. Secondo me, essere disincantati non è questo. Ad ogni modo, ovviamente, nel corso della stagione, vediamo come matura e cambia, ed è divertente, quindi da qualche parte bisogna pur iniziare.
Ciò in cui non mi riconosco, ma che sono molto felice appartenga ad Ingrid, è il fatto che lei non sappia ancora chi è davvero, il che mi piace: si sta ancora scoprendo, sta ancora cercando di capire cosa voglia per davvero e chi sia per davvero. Ancora non lo sa di preciso, e va bene così. Molto spesso la gente ci mette sottopressione con l’idea che dobbiamo diventare adulti e crescere, ma quello che mi piace vedere per Ingrid, Rachel e Tyler è che tutti loro stiano affrontando ciascuno il proprio viaggio, che siano diversi e abbiano ciascuno la propria battaglia da combattere, e vivano le loro vite ciascuno a modo proprio, al meglio che possono. In quanto membri del pubblico, noi possiamo trarne insegnamenti, vedere la serie e avere i nostri pensieri e… anche i nostri giudizi [ride].
“Ciò in cui non mi riconosco, ma che sono molto felice appartenga ad Ingrid, è il fatto che lei non sappia ancora chi è davvero, il che mi piace: si sta ancora scoprendo…”
Se da un lato “Partner Track” è, come hai detto tu, divertente, romantico, e leggero, dall’altro lato affronta anche tematiche importanti, come il razzismo, le pressioni sul lavoro, e così via. Come hai affrontato questo aspetto della serie? Avete lavorato e discusso sul set per rappresentare al meglio queste tematiche?
Sì, certamente, ne parlavamo sempre, soprattutto avendo la maggior parte della creatività in mano di donne – showrunner, registe, sceneggiatrici.
Siamo stati molto attenti su ogni fronte, il che è davvero magnifico. Gli attori vengono direzionati molto spesso, ma noi questo progetto l’abbiamo creato tutti insieme, quindi è stato un bel processo anche perché noi donne sappiamo bene cosa significhi essere sminuite o essere vittime di misoginia o del sistema patriarcale, o sentirsi “inferiori”. Abbiamo tutti vissuto esperienze simili, e ora noi stiamo cercando di mostrare al mondo cosa significhi essere nei panni di una donna. Ad ogni modo, resta un’opera di finzione, è televisione e fa ridere, quindi non vogliamo puntare tutto su quegli aspetti lì; ovviamente, però, emergono come tematiche nel corso delle puntate, è inevitabile perché sono cose che succedono costantemente. Anche nella scena della sala riunioni, quando Ingrid viene scambiata per l’assistente o la paralegale, si capisce che l’intenzione non era quella di sollevare un polverone su questa cosa, perché il messaggio è “guardate, cose del genere succedono così spesso che lei non batte ciglio”; infatti, si limita a dire “In realtà, io sono la senior associate”, piuttosto che, “Oh, ti sbagli, e mi offendi”, non perde tempo perché questo genere di cose capita continuamente.
Il nostro obiettivo è dimostrare quanto sia ingiusto tutto questo, che succede così di frequente che non abbiamo un attimo da perdere, e nemmeno un attimo per provare qualsiasi emozione. È sempre tutto abbastanza intenzionale, soprattutto il modo “sottile” in cui viene comunicato – sono gli attimi che secondo me hanno il significato e il potere più grande. Io ci tengo sempre a dire che “Partner Track” è impacchettata come una serie romantica e tragicomica, ma poi scarti la confezione e ti ritrovi con qualcosa di inaspettato, che ti sorprende.
È per questo motivo che ne diventi ossessionato, e tu sei bravissima perché attraversi un’esperienza diversa ad ogni episodio, facendoci venir voglia di saperne sempre di più e di non fermarci, come hai detto tu, alla superficie.
Esatto, non è solo quello che vedi nel trailer, di certo. È interessante perché ogni persona a cui chiedo cosa li ha affascinati della serie, mi racconta cose diverse: per alcuni è il lato sentimentale, per altri l’ambientazione lavorativa, per altri ancora l’amicizia, per altri il quadro familiare, quindi è divertente sentire cosa attira la gente e mi dimostra che abbiamo bisogno di serie del genere, con uno sviluppo più profondo dei personaggi e storie ricche di questioni di vita quotidiana. Poi, ovviamente, è tutto romanzato e divertente e sexy perché è siamo a Manhattan, ma resta comunque normale, credibile.
Sì, per esempio io mi sono ritrovata molto nel modo in cui viene rappresentato l’ambiente di lavoro, e le pressioni e quel genere di aspetti. Quindi, è molto bello vedere una serie che metta in scena la vita quotidiana. Cosa ti ha lasciato e cosa ti ha insegnato Ingrid?
Mi fa ridere il fatto che Ingrid e io di base siamo simili, ma al contempo così diverse. Ciò che mi la lasciato dentro probabilmente è il suo animo resiliente, che non si arrende mai. Ho la sensazione che Arden si arrenda un po’ più facilmente di Ingrid, invece: se io entrassi in una stanza con cento scatoloni pieni di pratiche, direi semplicemente: “Okay ragazzi, forse a questo caso non ci tengo poi così tanto”; oppure, se un mio collega maschio ogni giorno mi facesse sentire fuori posto, penso che fino alla fine direi: “Sai che c’è? Ne ho abbastanza, ciao ciao”. Quindi, amo l’animo di Ingrid, adoro che non si stanchi mai di imparare, ascolta podcast ogni notte e mentre va al lavoro, impara e cresce costantemente. Una cosa divertente è che alcuni amici mi hanno chiamata dopo aver visto la serie per dirmi, “Adoro che Ingrid ascolti i podcast, lo faccio anche io ogni notte,” e io dicevo, “Davvero? Lo fai? Figo!”. Non sapevo che i miei amici avessero questa abitudine, e ho pensato che fosse molto dolce, una cosa che io non faccio invece. È stato bello interpretare un personaggio in cui i miei amici si siano potuti riconoscere, e ho anche trovato divertente che fosse così diverso da me invece.
Un’altra cosa che amo di Ingrid è che non abbia paura di essere femminile e alla moda, non ha paura che se indossa colori pastello i suoi colleghi penseranno che sia debole. Penso che molto spesso le donne abbiamo paura di vestirsi in modo femminile perché sono convinte di dover indossare qualcosa di forte per essere rispettate o per essere un capo. Capita anche a me, ogni volta che ho un meeting importante, indosso un completo nero o vestiti neri e aggressivi, ma la moda ha un ruolo molto importante per personaggi che interpretiamo e per chi siamo. So che quando indosso un completo elegante, mi sento intelligente, pronta a concludere affari, ma adoro che con Ingrid ci sia un livello extra di femminilità, bellezza e carisma, quindi dico sempre che non posso essere Ingrid o sentirmi Ingrid se prima non indosso le sue Christian Louboutin e il suo tailleur, solo allora sono pronta [ride].
E non si vergogna di tutto ciò, il che è fantastico.
Sì, stupendo! Spero che Ingrid ispiri tante altre donne a non vergognarsi e ad essere audaci a livello di moda e personalità, e a non aver paura. A me ha insegnato ad essere più coraggiosa.
“Adoro che con Ingrid ci sia un livello extra di femminilità, bellezza e carisma“
Come abbiamo già detto, Ingrid è una donna molto intelligente, con obiettivi che a volte oscurano le altre cose importanti della sua vita. Magari ho torto, ma la mia impressione è che questo a volte la faccia sentire sola, sotto alcuni punti di vista. Tu ti senti mai così? E come affronti questo tipo di sentimenti?
Certo! Secondo me, tutti i miei amici che vivono nelle città più grandi con le agende più impegnate sono quelli che si sentono più soli, e sono certa che ti ci ritrovi anche tu e così tante altre persone, perché quando si è pieni di impegni e non si fa altro che lavorare, a volte non si ha nemmeno il tempo di accorgersi quanto si è soli fino a quando non arriva un momento di silenzio, o quando la giornate finisce, ed è dura quando la tua carriera diventa la tua unica ragione di vita e tutto ruota intorno ad essa.
Mentre giravamo le scene del montaggio in cui Ingrid lavora, non avevo realizzato quando potente fosse il loro significato: il pubblico che guarda quelle scene pensa “oh wow, guardala che lavora tutta la notte, che tristezza, è così sola, lì che mangia cibo d’asporto ogni sera da sola, che pranza da sola”. Effettivamente, sembra proprio una vita solitaria, ma poi ti rendi conto che tantissime persone si sentono allo stesso modo, perché se sposi il tuo lavoro, allora la vita gira intorno a quello.
Una scoperta che ho fatto e che mi ha aiutata molto in questi ultimi 5-10 anni è l’importanza dell’equilibrio nella vita. Io amo lavorare, e potrei farlo non-stop, mi diverte, mi fa piacere, ma ho anche bisogno di riposare, di dedicarmi ai miei amici e alla mia comunità, ho bisogno di rigenerarmi, e rilassarsi è fondamentale. L’equilibrio è la chiave, direi, e spero che Ingrid sia un buon esempio del fatto che troppo lavoro non fa bene a nessuno. Tra l’altro, è da sei anni che non frequenta nessuno sentimentalmente, e quando poi inizia una storia, è tutto fuoco e fiamme, vero? [ride] Se soltanto fosse stata un po’ più equilibrata nel corso della sua vita, magari avrebbe avuto più esperienza, e più parametri di giudizio, invece si è lanciata tra le fiamme, come una bambina!
Secondo me, voi attori, con i tanti personaggi che interpretate avete anche modo di conoscere meglio voi stessi, imparare nuove cose. Qual è l’ultima cosa che hai scoperto su te stessa?
Esatto, ci hai preso. Recitare a volte è la cosa più curativa e terapeutica che puoi fare, perché ti costringe a guardarti dentro e cercare la verità. Sento sempre che, quando recito, voglio essere il più vera, vulnerabile e sincera possibile e per farlo devi necessariamente abbattere i tuoi muri ed essere te stesso. Nel corso degli anni, e anche con questo progetto, ho decisamente capito quanto ami avere il controllo, e che tutto quanto sia perfetto, ma ho anche imparato ad ignorare il bisogno di perfezione, perché la perfezione è noiosa e, a dirla tutta, a volte sono le imperfezioni e i difetti a rendere le cose ancora più belle e a dargli personalità. Direi che è questa una delle mie scoperte più recenti: liberarmi del bisogno di controllo e perfezione e semplicemente vivere.
C’è anche un’altra cosa. A volte, quando ripercorro la mia carriera, non riesco a capacitarmi di quanto in fretta sia passato il tempo, non riesco a credere come, a volte, io mi imbatta in fan che mi raccontano di un mio progetto che hanno adorato e che risale a 15 anni fa. Quindi, una cosa che sto imparando sempre di più a fare è vivere il presente e godermelo. Spesso, la gente vive la vita di corsa, pensando: “voglio sbrigarmi e fare il mio lavoro e avere una promozione, o laurearmi così posso avere un lavoro, o voglio sbrigarmi e sposarmi e mettere su famiglia”. Tutti vogliono saltare le tappe, ma poi raggiungono la destinazione che volevano raggiungere e non si ricordano nemmeno cosa è capitato nel mentre, si sono persi il viaggio, quando secondo me è il viaggio la parte migliore, il brutto e il bello del percorso, i momenti spaventosi, quelli di incertezza.
È importante vivere la vita a pieno, perché quando il viaggio è finito oppure quando arrivi a destinazione, ti guardi indietro e hai più ricordi, altrimenti raggiungi la meta e non ti ricordi nemmeno come ci sei arrivato.
Essere presente e vivere il momento è molto difficile oggi giorno, con tutto quello che vediamo, ascoltiamo, e facciamo per lavorare…
Abbiamo tante distrazioni, siamo intontiti dal rumore, e con i social media, e le pressioni e notifiche che spuntano in ogni dove ogni secondo, che vita è? A volte, penso sia importante spegnere tutto quanto. A volte, spengo il cellulare per due giorni ed è fantastico, consiglio a tutti di farlo ogni tanto, spegnetelo perché non ne avete bisogno. Secondo me, quando lasci che tutto quel rumore ti controlli, è una tristezza unica.
“…con i social media, e le pressioni e notifiche che spuntano in ogni dove ogni secondo, che vita è? A volte, penso sia importante spegnere tutto quanto”.
Dunque sarai June in “Avatar: The Last Airbender”, congratulazioni! Come ci si sente ad essere parte di un progetto così grosso e iconico?
Sono incredibilmente grata di far parte di qualcosa dalla portata storica così grande. Mi emoziona tanto lavorare su progetti che credo abbiano un significato importante. “Partner Track” ce l’ha perché per la prima volta mette in scena una donna lavoratrice asiatico-americana dei giorni nostri che si fa fonte di ispirazione in un ambiente lavorativo molto americano: a Manhattan non abbiamo mai visto niente del genere! È stato molto speciale far parte di quella storia.
Partecipare anche a qualcosa come “Avatar: The Last Airbender”, che ha una fanbase immensa ed è un progetto davvero iconico, è il massimo. Sono onorata di lavorare con icone del genere, persone incredibili, ringrazio tanto Albert [Kim], lo showrunner, che si è impegnato così tanto e riconosco quanto ci tenga a tutti i personaggi e le persone incluse nel progetto. Sono emozionata e non vedo l’ora di iniziare questo viaggio.
E noi ovviamente non vediamo l’ora di vederlo!
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Oddio! Se penso alla piccola Arden, trasferirsi a Los Angeles è stata una cosa abbastanza coraggiosa che ha fatto, in un momento in cui non conosceva le sue possibilità e si è trasferita con un sogno molto grande in tasca.
Più di recente, negli ultimi anni, la cosa più coraggiosa che ho fatto è stata dire di no a molti progetti, nella speranza di tenermi libera per cose più grandi. Dire di no la prima volta è dura, fa molta paura perché ti chiedi, “Posso dire di no? Merito di dire di no?”. Ma poi, dopo la prima volta, diventa un po’ più semplice. Di questo vado molto fiera, perché per tutta la vita ho avuto difficoltà a dire di no, un po’ come Ingrid, lei non sa dirlo, non l’ha ancora imparato. Alcune parti della serie sono state parecchio provocatorie e difficili da girare, per alcuni momenti che dovevi rivivere, ma è così importante vederli inscenati e dimostrare quanto difficile sia trovarsi in una posizione in cui tutti si aspettano che tu dica di sì, tutti pensano che dovresti dire di sì, tu stessa pensi che devi dire di sì. E allora ti rendi conto che stai praticamente vivendo per gli altri! Ad un certo punto nella tua vita, devi decidere di domandarti: “lo sto facendo per me o per qualcun altro, per i miei genitori o per il mio capo?”. E a volte, quella è la decisione giusta. Ognuno la vive diversamente, ogni situazione ha le proprie sfumature, non c’è una formula fissa, non ci sono risposte giuste, dico bene? Poi chissà, magari ho detto di no alle cose sbagliate! Ma sono certa di una cosa: in questi ultimi anni, dire di no mi ha dato una certa forza e mi ha fatta sentire coraggiosa, soprattutto perché si tratta di un atto pieno di incertezza e rischi… Ma ti da forza, quindi vi consiglio di farlo se potete!
“Dire di no mi ha dato una certa forza e mi ha fatta sentire coraggiosa, soprattutto perché si tratta di un atto pieno di incertezza e rischi… Ma ti da forza”
Sì, è davvero emancipante anche perché spesso tendiamo a pensare che non ci meritiamo o che non ci è permesso dire di no, è strano. Sai, io sono la founder del magazine e abbiamo anche una agenzia di produzione, e all’inizio, mi sentivo quasi in dovere di dire sempre di sì alle cose e alle persone, e devo ancora imparare che a volte è sbagliato, quindi quello che hai detto è molto importante.
È difficile fare quel passo, a volte, ma è anche importante proteggere i propri confini e conoscere i propri confini, e sapere che a volte dire di sì ed essere sempre disponibile non è nemmeno sempre d’aiuto per le altre persone, perché a volte le abitui ad approfittarsi di te e così non imparano mai.
Cosa significa per te sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Credo di poter dire con certezza che non mi sono sentita così fino a quando non ho compiuto 30 anni. Per la maggior parte della mia adolescenza e dei miei 20 anni, ho sempre solo desiderato di essere qualcun altro, di essere più alta, più magra, avere una forma del corpo diversa, essere semplicemente diversa, sempre; mi paragonavo sempre agli altri, mi sentivo sempre insicura, sempre a disagio. Poi, finalmente, ho raggiunto una fase della mia vita, compiuti i 30 anni, in cui ho capito che paragonarsi agli altri non ha senso, non bisognerebbe farlo perché, per quanto possa sembrare una banalità, ognuno di noi è bello a modo proprio.
Dopo i 30 anni, ho anche capito che più mi circondo di amiche e di donne incredibili, aperte e sincere, e con loro avviene una condivisione reciproca e conversazioni sane, più diventa evidente che tutti quanti ci sentiamo in quel modo, anche la modella più stupenda di Victoria’s Secret con un corpo perfetto a volte si sente a disagio ed insicura. Dunque, se anche qualcuno che per noi è la definizione di perfezione si sente in quel modo, allora di cosa stiamo parlando? Io, personalmente, credo di essere arrivata alla conclusione che tutto quello che vediamo in superficie è così volatile, non conta davvero, non determina chi siamo, non ci definisce; ora mi diverto molto con il beauty e con la moda e con me stessa ma mai più cercando di essere qualcun altro, mi godo semplicemente chi sono.
Un tempo, pensavo “non posso fare la modella perché sono troppo bassa”, ma ora nei servizi fotografici mi rendo conto che a volte sembro anche alta, ma anche che sembrare bassa qualche volta non è la fine del mondo, e che certi vestiti mi fanno sentire molto fiera, forte, e bella, e il make-up, gli acconci e lo styling sono super divertenti!
Sentirsi a proprio agio con sé stessi è un po’ come alleggerirsi di certe pressioni e godersi la vita, magari anche semplicemente fregandosene e accontentandosi di come siamo dentro, e sapere che posso sentirmi bene con me stessa sia che indossi abiti super alla moda, tacchi alti, un outfit elegante dalla testa ai piedi, che struccata, in felpa, sul divano di casa con i capelli spettinati – quest’ultima descrizione corrisponde di più alla vera me, ma mi piace anche l’altra versione! Ad ogni modo, non penso di dover per forza essere l’altra versione per piacere alla gente, spero di poter essere la ragazza “senza trucco e in tuta” e di piacere lo stesso. Questa lezione comunque non l’ho imparata prima dei 30 anni. Ero convinta di dover rispettare un certo standard di bellezza, di dover avere un certo aspetto tutto il tempo, ed era un grande fardello. Adoro il fatto che il mondo stia iniziando a rendersi conto di quanto nocivi siano i canoni di bellezza, adoro che certe modelle e donne, in generale, dicano cose del tipo, “non sono sempre così magra, sto tenendo in dentro la pancia!” o “a volte sono gonfia”, e anche io a volte sono così gonfia che sembro incinta di tre mesi! È normale così, i corpi normali funzionano così, e adoro che le donne oggi condividano certe esperienze, ne parlino di più.
Io sono abbastanza aperta anche sul tema “età”, perché spero di incoraggiare le altre donne a non vergognarsi della loro età, credo che il mondo possa essere molto discriminatorio sul tema dell’età delle donne a volte. Per me, gli anni dai 30 in poi sono stati il periodo più bello della mia vita, non sono mai stata così felice, mi sento più giovane che mai, mi sento alla grande! [ride] E sto invecchiando di minuto in minuto, ma sono così emozionata e spero di poter entusiasmare anche le altre donne. In così tante sono terrorizzate dal loro compleanno, e non capisco perché, è allora che si diventa più sagge, intelligenti, eleganti, e aggraziate.