Ci sentiamo ripetere così tante volte che la vita è un percorso, che ormai a volte lo diamo per scontato, ma l’essenza di questo “viaggio” sta tutta qui: nella sua imprevedibilità e, soprattutto, nelle scoperte che facciamo nel mentre. Che ci cambiamo, che ci fanno crescere, che ci fanno vedere il mondo con occhi diversi e che ci fanno vedere DAL mondo.
Aya Mohamed ci ha ricordato proprio questo, e lo fa tutti i giorni attraverso i suoi canali e il suo attivismo sociale: ci ricorda di accettarsi e apprezzarsi soprattutto, sia per il proprio aspetto fisico che per le proprie scelte, gli ideali e le cause che decidiamo di difendere, anche se non è facile, non lo è mai. Ma ci dice anche che, passo dopo passo, si arriva a trovare la propria identità, non quella che ci viene imposta, ma la nostra personale, che esprimiamo e difendiamo esattamente come vogliamo noi. Aya ci ha accompagnati a ripercorrere i passaggi più importanti del suo viaggio, tra Italia ed Egitto, spiritualità, coerenza, resistenza, normalizzazione del cambiamento e consapevolezza.
Per comprendere, per imparare, per esprimersi, per apprezzare.
Sia sé stessi che gli altri.
Se pensi alla tua infanzia, cosa ti viene in mente? È stato un periodo felice della tua vita?
Io definisco la felicità come pace interiore, quindi, secondo me, più che pace nel senso di “serenità”, era pace nel senso di “divertimento”. Ho avuto un’infanzia molto divertente, attiva, interessante, una sorta di costellazione di esperienze multiculturali tra l’andare in Egitto e stare qua: quello è stato molto particolare, molto interessante.
Invece la tua adolescenza?
Forse l’adolescenza è stata un po’ più difficile, da un lato perché avevo molte responsabilità, e dall’altro perché, secondo me, tutti i ragazzi di seconda generazione, soprattutto, si ritrovano a dover affrontare questo dilemma identitario per cui non sai chi sei, dove appartieni, di quale gruppo fai parte; non fai parte di nessun gruppo perché in Egitto vieni vista come una ragazza italiana, in Italia come una ragazza egiziana. Non vivo in Egitto, non conosco il posto, sono come una turista, ho una casa lì, ho i miei cugini, i miei nonni, i miei zii, però se mi dici, “vuoi andare a fare la spesa?”, io ti rispondo, “da sola? Dove devo andare?” [ride], anche perché Google Maps lì non è proprio come qua…
È un po’ come se fossero le altre persone a darti l’identità durante l’adolescenza, e questa cosa l’ho capita dopo, che non sono gli altri a metterti l’etichetta, ed è stato essenziale per me capirlo. Anche per quanto riguarda il rapporto con il mio corpo: durante l’adolescenza avevo un rapporto molto travagliato, difficile con il mio corpo, ma perché sembrava che dovessi stare agli standard degli altri. Ad esempio, ho preso la decisione di iniziare a indossare il velo a 18 anni; nel momento in cui ho iniziato a indossare il velo, uno dei vari fattori collaterali è stato realizzare che il mio corpo è mio, sono io che decido lo standard per me, io non devo rientrare nello standard di nessuno, e da lì è nato questo processo non solo di accettazione, ma anche apprezzamento del mio corpo.
Io, oggi, sono felice di poter dire che ho un bellissimo rapporto con il mio corpo, che amo il mio corpo, che mi piace il mio corpo, proprio perché sono io ad averne il potere, a decidere sul mio corpo, a viverlo, non è un corpo che deve stare sotto gli sguardi altrui, ma dev’essere accettato dal mio sguardo.
“È un po’ come se fossero le altre persone a darti l’identità durante l’adolescenza, e questa cosa l’ho capita dopo, che non sono gli altri a metterti l’etichetta, ed è stato essenziale per me capirlo”.
“Nel momento in cui ho iniziato a indossare il velo, uno dei vari fattori collaterali è stato realizzare che il mio corpo è mio, sono io che decido lo standard per me, io non devo rientrare nello standard di nessuno, e da lì è nato questo processo non solo di accettazione, ma anche apprezzamento del mio corpo”.
Che è una cosa difficilissima, l’accettazione. È molto forte quello che dici, sei stata molto brava, forse anche il fatto di aver iniziato a indossare il velo, insieme alle altre cose, ti ha dato una forza maggiore, una consapevolezza maggiore.
Esatto, infatti il momento in cui ho iniziato a indossare il velo per me è stato rivelatorio, ho pensato “okay, ho capito chi sono” e questa cosa mi ha dato un sacco di potere, perché io ho sempre avuto questa passione per la moda, sin da bambina, e ogni sei mesi sembravo una persona completamente diversa, dal taglio di capelli – sono passata da capelli rossi, a rasati, a corti come i maschi con la cresta, di tutto, qualsiasi cosa – allo stile, io sono sempre stata un maschiaccio, ma passavo dal maschiaccio skater a quello rapper, stili completamente diversi in continuazione. Ero alla ricerca della mia identità, secondo me, e quando ho iniziato a indossare il velo ho pensato: “so chi sono, questa è la mia identità”. Adesso, credo, sono in una fase in cui la mia identità è talmente affermata che è estremamente flessibile: posso passare dall’essere completamente maschiaccio un giorno all’essere completamente femminile il giorno dopo, e questo non va a togliere la mia identità, sono sempre io.
C’è mai stato un momento, quando hai deciso di indossare il velo, magari all’inizio, in cui hai vissuto delle difficoltà?
È stato difficile non all’inizio, perché all’inizio ero in questa fase di innamoramento di questa nuova versione di me, ma è arrivato, forse, un po’ più avanti, dopo qualche mese, in cui era come se io avessi messo il velo, però mi si fosse levato un velo dagli occhi e avessi scoperto tutte le discriminazioni che ci sono nella nostra società. Prima che indossassi il velo, per strada sembravo una ragazza qualunque, invece da quel momento avevo iniziato a notare cose che prima non notavo, sguardi non benevoli, commenti, discriminazioni, bullismo sia da parte di studenti sia di professori, anche sul luogo di lavoro, quasi ogni giorno mi scrivono ragazze che hanno difficoltà a trovare lavoro perché indossano il velo. Quindi, quello forse è stato un momento difficile.
Poi, sfortunatamente, c’è poca consapevolezza, poca istruzione, poca informazione riguardo l’Islam, in generale, sui musulmani, quindi ogni volta che si sente parlare di qualche attentato terroristico per mano di qualcuno che si proclama musulmano, lì nasce anche la paura di andare in giro, perché le persone, ovviamente, sono spaventate e traducono la loro paura in odio, quindi, tu diventi un target di quell’odio, indossando il velo. Quelli sono i momenti difficili, secondo me.
“Sono in una fase in cui la mia identità è talmente affermata che è estremamente flessibile”.
Fa tutto parte dell’empatia, del capire che di fronte a te hai un essere umano. Se la gente cominciasse ad andare oltre, la situazione sarebbe diversa.
Esatto, per esempio la storia della proposta di divieto del velo in Francia e la gente che sta votando. Ma le persone che giustificano questo “ban” con la sicurezza nazionale mi possono spiegare come può una ragazzina di 15 anni essere una minaccia per la sicurezza? In Francia, l’età del consenso per poter avere rapporti sessuali è 15 anni, quindi a 16 anni una ragazzina può diventare madre però non può coprirsi i capelli, non può mettere il velo perché rappresenta una minaccia per lo Stato. Com’è possibile? È quella la cosa che non capisco. Non c’è nessuna minaccia, è semplicemente una forma di oppressione.
È esattamente una forma di oppressione, perché ridurre a un fattore culturale la colpa di tutto è terrificante…
Adesso dobbiamo vedere se passerà veramente o meno, speriamo di no…
Hai una routine, qualcosa che fai sempre, magari la mattina o la sera?
Io sono una persona che ama le routine, solo che le mie giornate sono tutte diverse l’una dall’altra, e gli unici momenti in cui riesco a mantenere un po’ la mia routine sono, appunto, la mattina e la sera. Solitamente, la mia routine consiste in skincare e momento spirituale, quindi fare la preghiera prima di andare a letto o quando mi sveglio la mattina, e solitamente prima di andare a letto, leggo anche un po’ di Corano, qualche paginetta, soprattutto quando sta per cominciare il Ramadan cerco di prolungare un po’ questo momento spirituale. La mia routine consiste in quello.
Ti senti mai sola, o ti sei mai sentita sola? Come hai vissuto e superato la solitudine?
Penso che il mio sentirmi sola non sia una solitudine fisica, quanto più una solitudine in un momento di difficoltà, magari, perché sono una persona che vive molto bene la solitudine, nel senso che sono tranquilla nello stare da sola fisicamente. Nei momenti in cui mi sento sopraffatta e non riesco a gestire ciò che mi circonda, allora mi sento sola, perché non ho qualcuno che possa aiutarmi a risolvere i miei problemi, in un certo senso. Penso però che la fortuna dell’essere una persona spirituale o religiosa sia che, se ti calmi un attimo, realizzi che in realtà non sei completamente solo; almeno per me, che sono musulmana, credo in Dio, quindi al principio di tutto c’è Dio, e quindi non sono veramente da sola, anche nei momenti di difficoltà, mi basta trovare conforto in quello. So che sembra un po’ cliché dire una cosa simile, però a me ha aiutato veramente tanto: fermare tutto quello che sto facendo in un momento di solitudine e, magari, prendere il Corano e mettermi a leggere o pregare, mi aiuta tanto a non farmi sentire sola.
Invece per me non è assolutamente scontato, io la chiamo “fortuna”, anche se non è solo quello, è anche una decisione, è anche un percorso, è coraggio, però è bellissimo, secondo me, riuscire a credere così tanto in qualcosa.
Anche io penso che sia una fortuna, ma penso anche che, come hai detto tu, ci vuole molto coraggio. I miei genitori mi hanno cresciuta con le tradizioni dell’Islam, però durante quella fase adolescenziale in cui ero molto incerta sulla mia identità, un fattore importante per me, oltre a essere italiana ed egiziana, era la religione, e in quel momento io mi sono avvicinata all’Islam e ho deciso di indossare il velo proprio perché prima ero in un momento di scoperta di me stessa e avevo tanti dubbi su questa religione, e volevo capire se mi appartenesse veramente o meno.
Quindi, prendi la tua vita con tanto coraggio, affronti te stesso, perché poi è un viaggio dentro di te, puoi rimettere in discussione chi sei. Penso, però, che tutti abbiamo un livello di spiritualità, c’è chi ne ha poco e chi ne ha tanto; anche leggere l’oroscopo è spiritualità, o la questione delle pietre, quella è spiritualità, così come credere nell’universo: la spiritualità non è seguita dalla religione in sé, ma è credere nell’anima, nel karma, nel mondo, e ognuno, secondo me, ha il proprio livello di spiritualità, che è una cosa molto bella.
Cosa ti fa sentire al sicuro?
Avere un senso di pace, sia interiore sia intorno a me, che si tratti di silenzio e tranquillità, ma anche il sapere che ci sono persone che mi coprono le spalle, che mi supportano, che sono lì per me, che siano la mia famiglia o i miei amici.
“La spiritualità non è seguita dalla religione in sé, ma è credere nell’anima, nel karma, nel mondo, e ognuno, secondo me, ha il proprio livello di spiritualità, che è una cosa molto bella”.
Hai parlato anche di essere stata bullizzata. C’è stata un’evoluzione della violenza, nella tua vita, che sia fisica o mentale? Adesso come adesso, è cambiato anche il mondo in cui tu reagisci, rispondi alla violenza?
Ci sono talmente tante definizioni di violenza, espressioni, ognuno esprime la violenza in maniera diversa… Penso che alla base della violenza ci sia un malessere, e bisogna fare tanto lavoro interiore per comprendere che la violenza che una persona sta mostrando proviene da un luogo di intenso dolore. Se cinque o dieci anni fa mi avessi detto che io, oggi, avrei detto questa frase, non ci avrei creduto, perché da piccola sono sempre stata una persona che pensava in bianco e nero, della serie “tu sei una persona cattiva perché sei una persona violenta”, anche relativamente al bullismo, violenza verbale, violenza emotiva, quella emotiva distrugge, secondo me, ti fa proprio male, e forse è quella che ho subito di più a scuola, durante l’adolescenza.
Una volta, camminavo per strada, mangiavo un gelato con due mie amiche, una di loro portava il velo, e un signore ha iniziato ad urlarci addosso: io sono rimasta paralizzata, mentre le mie amiche rispondevano, ma io ero proprio scioccata dagli insulti. Anche quella è violenza, ovviamente, però, nell’ultimo anno, ho iniziato a realizzare come anche la persona violenta che fa del male davanti a noi è umana, per quanto possa essere difficile, perché a volte è proprio difficile riuscire a empatizzare con qualcuno che ci causa dolore, ci vuole un lavoro enorme nel capire che quella violenza proviene da altro dolore.
Se dovessi dire cosa hai compreso del mondo, oggi, cosa diresti?
Io sono una persona molto positiva, però sto per dire una cosa molto negativa. Una cosa che ho compreso è che non si può porre fine alle ingiustizie: noi ogni giorno facciamo attivismo, sensibilizziamo le persone, usiamo la nostra voce per parlare di razzismo, xenofobia, omofobia, transfobia, discriminazioni, violenze, però qual è l’obiettivo finale? A volte, mi viene da pensare che, sì, io sto facendo tutto questo, probabilmente qualcosa cambierà se lo facciamo tutti insieme, però non ci sarà mai una fine. Forse è questa la cosa che ho compreso.
Però, se ci saranno sempre persone come te, che fanno quello che stai facendo tu, daranno una speranza a qualcuno…
Esatto, ed è quello il motivo per cui bisogna continuare. Però prima ero più “aggressiva”, nel senso che avevo molta più passione nel fare queste cose, non perché adesso non ne abbia, ma perché ho sempre pensato che si potesse raggiungere un livello migliore, e secondo me un livello migliore lo raggiungeremo, assolutamente, solo bisogna anche accontentarsi delle piccole vittorie, in un certo senso. Per esempio, se faranno passare questa legge Zan, sarà una grande vittoria, non porrà fine all’omotransfobia, però sarà una vittoria da cui cominciare.
“A volte è proprio difficile riuscire a empatizzare con qualcuno che ci causa dolore, ci vuole un lavoro enorme nel capire che quella violenza proviene da altro dolore”.
Qual è il luogo in cui ti senti più felice e quello in cui ti senti più a disagio?
I luoghi in cui mi sento più a disagio, più che luoghi fisici, sono luoghi di pensiero comune, tipo quando qualcuno mi dice: “Come parli bene l’italiano!”. Oppure, una volta ero su un set, e la truccatrice mi fa: “Sembri la Madonna!” [ride]. Non sono cose che mi rendono né triste, né felice, ma semplicemente mi mettono a disagio, anche perché non c’è un’intenzione cattiva.
Il luogo in cui sono più felice, invece, è un luogo fisico: ogni volta che vado in Egitto sono sempre felice, perché io vivo qua, in Italia, più del 90% del tempo, ed è casa mia, quindi ogni volta che vado in Egitto per me è una vacanza, un momento di divertimento, il momento in cui esco con i miei cugini, è un po’ un momento in cui torno ad esplorare le mie radici, come se mi fossero state tolte, quindi c’è quella riconnessione, quel richiamo; per quelle tre settimane, torno a vivere una versione di me che comunque mi appartiene, che in questa società magari non riesco a vivere perché, Covid a parte, non c’è un locale dove vanno i ragazzi arabi, egiziani, eccetera, in cui si mangi cibo tipico o cose del genere, quindi è bello anche quello.
Il “vaffanculo” migliore della tua vita?
Ecco, questa domanda mi fa un sacco ridere!
Quando raggiungo i miei obiettivi, ovviamente li raggiungo per me stessa; però, pensando agli obiettivi che ho raggiunto, ho ancora tanta strada da fare, ma anche, per esempio, pensando al fatto che, tre anni fa, mi trovavo in un luogo di lavoro in cui avevo appena cominciato, e c’erano persone che prendevano in giro il mondo dei social, e adesso queste stesse persone mi contattano per promuovere le loro cose. Io a loro non ho mai detto direttamente “vaffanculo”, però l’ho trovato uno sviluppo della storia molto interessante.
Quanto è importante, per te, essere coerente con te stessa? A volte, invece, pensi sia importante non esserlo?
Io penso sia importantissimo, però, ci sono due fattori. Uno: la cosa più importante per me, più che essere coerente con me stessa, è avere la coscienza pulita, quindi mi chiedo: sto seguendo la mia etica e i miei valori? Sì o no? Questa cosa che sto facendo va contro i miei valori, contro la mia etica, contro i miei principi? Se sì, allora perché lo sto facendo? Se no, allora continuo. Quindi, anche se magari è qualcosa che non sento pienamente coerente con me, ma rispetta i miei principi e i miei valori, per me va bene.
Due: io penso che dobbiamo iniziare a normalizzare il cambiamento, il cambiamento è crescita, è evoluzione, è una cosa positiva; come ti dicevo prima, dieci anni fa, cinque anni fa, io vedevo tutto un po’ più in bianco e nero, poi ho iniziato a capire che c’è anche il grigio, e oggi sono un arcobaleno di colori. Dobbiamo normalizzare il cambiamento. Immaginati una persona che a 50 anni ha la stessa idea che aveva a 20 anni… è assurdo!
Infatti, certe persone sbandierano la coerenza come un valore fondamentale… Certo, devi essere coerente con te stessa, con i tuoi valori, però l’evoluzione è necessaria, altrimenti tutti rimarremmo fermi e, probabilmente, alcune delle persone che hanno atteggiamenti violenti, magari, sono persone che non riescono ad avere quel tipo di evoluzione, perché si sono fermati a qualcosa che hanno sentito o subito.
Per esempio, mi viene in mente uno show su Netflix, “Sex Education”, in cui c’era questo ragazzo che bullizzava un ragazzo gay, ma perché dentro di sé era insicuro della propria mascolinità. Quindi, nel momento in cui superi la mascolinità tossica, o traumi interiori, o qualsiasi cosa sia, secondo me si può iniziare a crescere.
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te stessa?
Io ho sempre creduto di essere una persona molto forte e molto responsabile, ma l’ultima cosa che ho scoperto di me stessa è quanto io riesca a resistere. Ho sempre pensato di essere forte, ma non ho mai messo alla prova la mia forza per vedere che limiti aveva, mentre in questi ultimi due mesi ho scoperto di essere molto più forte di quello che mi aspettavo.
“Io penso che dobbiamo iniziare a normalizzare il cambiamento, il cambiamento è crescita, è evoluzione, è una cosa positiva”.
Nella vita di tutti i giorni, per te, che cos’è l’essenziale?
Penso che, con l’ultimo periodo pandemia, molti di noi si siano ricalibrati su questa cosa. Le nostre priorità si sono riassestate e, per me, le mie priorità giornaliere sono Dio, la mia famiglia e lo star bene con me stessa. A volte mi ritrovo a chiedere a me stessa “are you okay?” – non so perché, ma a volte penso in inglese – e mi rispondo “sì” o “no” e se la risposta è no, mi chiedo: “Okay, di cosa ho bisogno per essere okay? Sono giù di morale o, semplicemente, non ho mangiato e ho bisogno di zuccheri?”.
Cosa significa, per te, sentirti o essere sensuale?
Come ti dicevo prima, ho fatto un lavoro di accettazione e poi apprezzamento del mio corpo, e penso che tutti dovremmo imparare a farlo, soprattutto noi donne, perché il nostro corpo viene talmente tanto strumentalizzato e oppresso anche a livello legale che ci viene tolto tutto, è come se non fosse nostro, ed è una cosa che poi noi riversiamo su noi stesse in maniera negativa. Quindi, per me, essere sensuale significa avere il potere del proprio corpo, sentire quell’empowerment fisico, trovare la bellezza nel nostro corpo, anche se, magari, ci sono dei difetti che non ci piacciono, ma se sono cose che possiamo cambiare, le cambiamo, se non sono cose che possiamo cambiare, dovremmo imparare ad amarle, ad accettarle. La sensualità è proprio l’avere il potere del proprio corpo, secondo me, un potere intimo, personale, tra me e il mio corpo, per potersi godere la vita, e pensare che il nostro corpo ci ha fatto sopravvivere a una pandemia… Non è la prima cosa a cui si pensa con la sensualità, però per me la sensualità è anche sinonimo di potere, anche una donna vestita dalla testa ai piedi può essere sensuale se ha quella sicurezza in sé, quell’empowerment interiore.
Secondo me, le donne che hanno un’attrattiva maggiore, le più sensuali di tutte, sono le donne sicure di sé, che hanno quel potere meraviglioso di sentirsi sicure di sé e di farlo vedere, qualsiasi sia la loro forma e peso, naso, qualsiasi cosa.
Io ogni volta che vedo una ragazza bella glielo dico, fermo una ragazza per strada e le dico: “Comunque, sei bellissima”, o “Che belle scarpe”, “Che bel trucco”, “Che bei capelli”, qualsiasi cosa. Lo faccio perché so che la farà star bene, perché a me farebbe star bene, quindi si crea questo circolo.
Invece, per quanto riguarda la depressione, tu l’hai mai vissuta, l’hai mai dovuta affrontare nella tua vita?
Penso di sì. Sui social non parlo di cose private, personali, però chi non ha mai avuto un po’ di depressione, a livelli diversi? Penso di sì, penso che ci siano persone che riescono a superarla pienamente, e ci sono persone che vivono più in un’onda che sale e scende, e quando scende stanno bene, quando sale stanno un po’ meno bene. In questo momento, io sto bene, non sono in un’onda, però ci vuole molto coraggio, secondo me, o più che coraggio, bisogna trovare cosa ti dà forza. Ognuno può avere motivi diversi per avere forza, però bisogna riuscire a trovare quella cosa che ti spinga.
E per te quella cosa cos’è?
Dipende dal momento in cui mi trovo. Ogni volta è una cosa diversa, ma penso che soprattutto la mia famiglia e la fede siano le cose più importanti.
Hai uno scrittore preferito?
Non ho uno scrittore preferito ma il mio libro preferito è “Perché le nazioni falliscono”: se fai una conversazione con una persona e gli chiedi “perché, secondo te, alcune nazioni hanno avuto successo e altre falliscono?”, cominci ad elencare alcuni punti, magari perché si trovano in luoghi geografici o economici particolari; l’autore prende ogni punto e te lo analizza per poi arrivare alla conclusione, e io lo trovo un libro veramente bellissimo e accessibile a tutti, anche senza una preparazione politica, e molto leggero rispetto ad altri.
Invece, il libro che stai leggendo adesso?
Il libro che sto leggendo adesso è il libro di Nadeesha [Uyangoda], che su Instagram si chiama @the.nuardian, e si intitola “L’unica persona nera nella stanza”, un libro bellissimo. Lei, circa due anni fa, scrisse un articolo per la rivista Not intitolato “L’unica persona nera nella stanza”, parlando delle difficoltà che si vivono quando ti ritrovi in un ambiente che non comprende a pieno ciò che vivi, anche a livello istituzionale. Lei affronta la tematica del razzismo sistemico in Italia, davvero molto bello.
“In questo momento, io sto bene, non sono in un’onda, però ci vuole molto coraggio, secondo me, o più che coraggio, bisogna trovare cosa ti dà forza. Ognuno può avere motivi diversi per avere forza, però bisogna riuscire a trovare quella cosa che ti spinga”.
Quali sono i luoghi comuni che ti senti dire più spesso e ti sei stancata di ascoltare e spiegare?
Secondo me, sfortunatamente c’è ancora l’associazione di velo come oppressione sessista, mentre il velo della suora è una devozione a Dio. Ne stavo parlando l’altro giorno con questa ragazza, che è di religione cristiana, e mi diceva che secondo lei c’è questa associazione perché le suore fanno un sacrificio molto grande, sacrificano tutta la loro vita a Dio. Io, come donna musulmana che porta il velo – ma vale anche per quelle che non lo portano, ma praticano e sono credenti – ho deciso di mostrare la mia devozione indossando il velo, però la mia religione mi dà la possibilità di non sacrificare tutta la mia vita, anzi, di viverla, di potermi sposare, di poter avere figli, un business, di poter lavorare, partecipare nella società, essere attiva, fare quello che voglio, quindi è un sacrificio minore, sicuramente, rispetto a quello che fanno le suore, che però, dal punto di vista della società di oggi, è un sacrificio più comprensibile. Quindi c’è questa associazione del velo all’oppressione sessista semplicemente perché gli uomini musulmani non indossano il velo, ma ciò non toglie che loro abbiano, magari, altre regole da seguire che io non ho.
A proposito di questo, qual è stata la prima, o la più importante imposizione che ti è stata data – da chiunque, amici, genitori, datori di lavoro – alla quale ti sei voluta ribellare?
Noi donne, fin da piccole – indipendentemente dalla cultura e dalla società, perché queste cose mi venivano dette sia da persone arabe che italiane – ci sentiamo dire cose come: “Le femminucce non fanno questo, non fanno quello…”. A tutte queste imposizioni che derivano dal fatto che sono femmina, io rispondevo sempre in maniera scontrosa. Tu mi dici di non tagliarmi i capelli perché non sono un maschio? Io mi sono rasata. Per me non ci sono vie di mezzo, se una persona prova a impormi qualcosa, io faccio l’opposto. Per quello da piccola ero così tanto maschiaccio, mi vestivo sempre da maschiaccio, mi comportavo come un maschiaccio. Poi, però, ho imparato ad accettare la mia femminilità e ho capito che, se io voglio essere femminile, ciò non toglie nulla dal fatto che io sia forte, indipendente.
Tutti gli attributi che si danno all’essere maschile non c’entrano un accidente con l’essere maschile; io posso essere estremamente femminile con una gonna, vestita tutta di rosa, e continuare a essere forte, posso continuare a essere femminile e a essere ciò che viene attribuito al genere maschile.
La perdita si può manifestare in maniere completamente diverse: puoi perdere un lavoro, una persona che ti è cara, o può essere la fine di una relazione, di un’amicizia. Hai mai vissuto o dovuto affrontare la perdita?
Questa, forse, è la domanda più difficile per me, perché anche qua, un’altra cosa che le persone che mi seguono sui social non sanno, perché tendo sempre a separare la mia vita privata da quella pubblica, è che la scorsa estate ho perso una persona della mia famiglia a me molto cara, a causa del Covid: è stata la prima volta che abbiamo affrontato una perdita in famiglia, ed è stata la cosa più difficile che io abbia mai vissuto in tutta la mia vita. Ovviamente, sui social, in quel periodo sono stata assente, per un mese circa, e questa è la prima volta che ne parlo. Non ne ho mai parlato perché non so se si smette mai di cercare di superare questa cosa, non si smette mai di provarci…
Secondo la mia esperienza personale, è un dolore che si evolve, nella vita, nei vari passaggi, però è sempre lì.
Hai paura del fallimento? O pensi che il fallimento sia qualcosa che sarebbe da sdoganare?
Io sono estremamente perfezionista [ride]. Prima di cominciare qualcosa, so già che o la porto a termine e la faccio come voglio io, o non la inizio. Ovviamente, non va sempre così, perché non decidi tu come deve andare la vita. Solitamente, quando si tratta di fallimento lavorativo, in realtà me ne faccio una ragione, vado avanti, ci saranno altre opportunità, non me la lego al dito, perché non avrebbe senso. Forse, quello che mi pesa di più, è il fallimento nel senso tradizionale del concetto. Quello che faccio oggi non è un lavoro tradizionale, forse l’unica cosa tradizionale che faccio nella mia vita è l’università, quindi quel tipo di fallimento, per esempio quando non passi un esame o cose così, lo prendo proprio male. Eppure, non è una cosa così grave, ma la prendo come una questione d’orgoglio! [ride]
Adesso hai questa piattaforma dove parli di cose molto importanti e dai anche speranza a molte persone che, forse, non sentono parlare spesso di queste cose, magari perché hanno una situazione familiare o scolastica che non permette di vedere altro. Hai mai pensato a un’evoluzione della tua piattaforma? Come ti piacerebbe che avvenisse?
Io spero di poter avere sempre la possibilità di esprimere la mia opinione davanti a un pubblico che vuole ascoltare, e spero di avere sempre la possibilità di dar voce a coloro ai quali la voce è stata tolta, a me in primis. Spero in un’evoluzione sempre più in positivo, di vedere cambiamenti concreti nella società, spero che anche la mia piattaforma si evolva. Io, poi, sono una persona estremamente creativa, piena di idee, voglio fare documentari, scrivere, pubblicare.
Photo & Video by Johnny Carrano.
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