Una storia sul tempo, su quanto corre veloce, sull’uso sbagliato che ne facciamo e su come invece dovremmo saperlo cogliere, sfruttarlo finché ce n’è la possibilità. Perché non c’è niente e nessuno che possa restituirci gli attimi che perdiamo e le occasioni che ci lasciamo scivolare dalle mani. “Era ora”, disponibile su Netflix dal 16 marzo, ce lo racconta con franchezza, in un mix di fantasia e concretezza: gli effetti dello stress, della distrazione, del lavoro che soffoca il resto della vita, del momento presente che già di per sé dura un istante ma che, se non vi partecipiamo con tutti noi stessi, si annulla accumulandosi in una serie di anni che ci attraversano senza il nostro permesso.
In questo racconto sull’“incubazione del tempo”, Barbara Ronchi interpreta Alice, una disegnatrice, sognatrice, che al tempo ci tiene più di suo marito Dante (Edoardo Leo), che si ritrova a celebrare sette dei suoi compleanni nella spanna di un solo giorno. Un sintomo del tempo che vola, questa volta letteralmente.
Con queste riflessioni ci siamo anche ricollegate a “La neve coprirà tutte le cose”, cortometraggio di Daniele Babbo presentato nella sezione Alice della Città alla Festa del Cinema di Roma. Qui, Barbara interpreta una donna che affronta la sterilità, dimostrando quanto poco sappiamo del nostro corpo, quanto poco parliamo del nostro corpo, e come ci ritroviamo a fare i conti con la sua complessità e preziosità solo in situazioni estreme come la malattia.
Barbara ci ha parlato di cinema, serialità, delle priorità che tutti dovremmo imparare ad individuare per vivere sereni e per non ritrovarci soli, delle occasioni che vanno accolte e coltivate perché “non sappiamo quanto tempo abbiamo”.
La vita che sfugge di mano, e i rimpianti che ci tormentano di conseguenza: è una piaga tutta dei nostri tempi, quest’ansia qua, ed è ciò che “Era ora” racconta. Questo film ti ha risvegliato nuove consapevolezze? Ti ha suggerito nuovi modi di affrontarla?
Il pensiero che il tempo ci sfugga di mano è legato alla velocità della qualità del nostro tempo, al fatto che vogliamo incastrare in un’unica giornata molto più di quello che è possibile. Le giornate più belle e più lunghe sono quelle dove mi sembra di avere tutto il tempo del mondo.
Alice, il tuo personaggio, è quella che la vita sembra saperla prendere meglio, assaporandola con la giusta calma, sapendo distinguere le priorità e i momenti più opportuni per dedicarsi alle cose più opportune. Cosa le invidi e cosa, invece, le rimproveri?
Il tempo di Alice è quello legato alla creazione di disegni, può avere un tempo calmo per l’incubazione dell’idea e un’accelerata nel momento della realizzazione, mi piace che il suo tempo di lavoro lo possa gestire, può cancellare, cambiare idea, lasciarsi suggestionare dalla musica che sente o da un libro che sta leggendo. Le rimprovero di non aver avuto un po’ di sano egoismo nel suo rapporto con Dante, quello ti salva dal sentirti meno importante agli occhi dell’altro.
“Era ora” ci mette in guardia sulle conseguenze del lasciarci sopraffare dai nostri impegni e ossessionare dal pensiero di cosa dobbiamo fare domani o tra una settimana o tra un mese: così la vita ci passa davanti senza che la viviamo davvero. Ti viene in mente un esempio concreto, un momento di vita che ti sei lasciata correre davanti passivamente?
Mi sono resa conto ad un certo punto che avevo dato per scontato degli affetti, presa dal lavoro non ti rendi conto che il tempo degli altri è prezioso quanto e più del tuo e ne devi avere cura. Anche nel nostro lavoro ci sono delle accelerate, devi dare delle priorità altrimenti rischi di perdere tante persone nel corso del tempo.
Si parla, dunque, del tempo, che non possiamo controllare, e dell’angoscia che ne deriva. Ci sono altre “malattie moderne” che ti preoccupano?
Mi fanno paura gli haters e chi si rifugia dietro una tastiera per esprimere l’odio contro una tale persona. Tutti si possono esprimere, ma è importante il modo con cui lo si fa. Se provassimo ad avere un po’ più di empatia verso gli altri, potremmo sviluppare la gentilezza invece che la rabbia.
“Il tempo degli altri è prezioso quanto e più del tuo e ne devi avere cura”.
È questo il genere di storie che ti piace raccontare? Storie di umanità, di relazioni, di vita quotidiana? Oppure sei un po’ più “sulle nuvole” come Alice, che sceglie il nome della figlia dal repertorio de “Il Signore degli Anelli” e a volte sembra vivere nei suoi disegni?
“Era Ora” è una storia che mi ha molto colpita perché, in maniera fantascientifica, racconta un male del nostro tempo, bruciare il tempo nel presente per avere più tempo nel futuro. Ma il futuro non possiamo prevederlo, non sappiamo quanto tempo abbiamo, per questo ogni giorno meriterebbe di essere vissuto e non bruciato. Io sono molto più simile a Dante che ad Alice, molte battute che dice Edoardo Leo nel film potrei averle dette io nella vita reale.
Capovolgendo le carte: se, come Dante, ti ritrovassi in un loop temporale che ti costringesse a vivere sei anni un giorno solo, quale periodo della tua vita sacrificheresti? Quale, invece, non vorresti fosse mai accelerato?
Salterei molto volentieri il periodo delle medie per ritrovarmi direttamente agli anni del liceo, delle manifestazioni, delle assemblee di istituto e le occupazioni, dei cineforum, i primi amori, i primi laboratori di teatro. Sono stati anni bellissimi.
Cosa riesce a tenerti coi piedi saldi nel presente?
La nascita di mio nipote, l’anniversario di matrimonio dei miei genitori, i compleanni di mio figlio, le promesse di due amici innamorati. Ci sono dei momenti che vanno fermati, momenti importanti che non torneranno più. Voglio esserci in quelle foto, non voglio vederle in un album e chiedere “qui dove eravate?” come se fossi un lontano parente.
Sei la protagonista di “La neve coprirà tutte le cose”, un bellissimo cortometraggio presentato nella sezione Alice nella Città della Festa del Cinema di Roma quest’anno. L’opera prima di Daniele Babbo, scritto da Annachiara Pipino, affronta il tema delicato dell’infertilità e di come affrontarla, soprattutto a livello di dinamiche di coppia. Cosa ti ha avvicinata a questo progetto? Cosa ti ha toccata di questa storia?
Avevo visto “I Tuffatori”, il documentario di Daniele Babbo che mi aveva molto colpito, amici in comune mi hanno parlato di lui e di questo progetto e mi sono sentita subito coinvolta. C’è un pensiero universale dietro l’idea di questo corto, l’attesa che prova ogni coppia che desidera avere un figlio e la propria paura solitaria che ciò non avvenga, non tutto si riesce a condividere subito col proprio partner, ci sono delle cose che devono rimanere segrete, specie nella sfera del dolore, almeno per un po’.
“Tu lo sai come sei fatto?” chiede Chiara, il tuo personaggio, a suo marito, parlando di quanto poco ci venga insegnato in fase di crescita sul nostro corpo, dai genitori ma dalla società in generale. Se solo il tabù su corpo umano e sessualità fosse definitivamente abbattuto, come pensi che sarebbe diversa la nostra percezione di noi stessi e degli altri e il nostro modo di affrontare la vita, in particolare problematiche spesso “stigmatizzate” come quella della sterilità?
Purtroppo scopriamo davvero come siamo fatti solo nel momento in cui dobbiamo saperlo, spesso nell’ambito della malattia per capire come si muove il nostro corpo, come reagisce. Se si facesse prima un po’ di informazione potremmo arrivare più preparati, e con maggiore consapevolezza di come funzioniamo, ci si potrebbe aprire prima ad altre strade.
“…non tutto si riesce a condividere subito col proprio partner, ci sono delle cose che devono rimanere segrete, specie nella sfera del dolore…”
Quello dell’attore è un mestiere che ti mette a contatto con tantissime emozioni e persone diverse. Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te stessa grazie ad un personaggio che hai interpretato?
Che quando ti tolgono il bene più prezioso l’unica cosa che ti rimane per non perdere la testa è preservare la tua dignità nel dolore.
Personalmente, il cinema è la mia passione, da quando ero bambina desidero far parte di questo mondo, a patto che però il mio posto sia dietro la telecamera, perché non sono mai stata abbastanza sicura di me da volerci stare davanti. È la sicurezza in sé stessi la chiave del mestiere, secondo te? Tu davanti alla camera ti sei sempre sentita a tuo agio? È stato amore a prima vista?
La mia storia con la camera da presa è stata quella di tutti gli attori che vengono dal teatro, che hanno fatto l’Accademia, e non hanno la benché minima idea di cosa voglia dire, e perché prendere i segni per l’inquadratura, o spallare il compagno di scena per fargli prendere la luce, o il campo largo e il campo stretto. Sapevo solo cos’era un primo piano ma non capivo proprio il gergo, e quando sei sul set nessuno ha il tempo per spiegarti queste cose, e anche se qualcuno di magnanimo prova a fartele capire, non è che le capisci subito, le devi imparare da solo, sbagliando mille volte il segno e impallando tutti. Va così, poi più giri più impari.
Io, da cinefila, ho i miei riti: passare sveglia la notte degli Oscar per seguire la cerimonia in diretta, guardare un film o almeno una puntata di una serie tv ogni sera prima di andare a dormire, andare al cinema la domenica pomeriggio. Quali sono i tuoi riti da cinefila?
Guardo un film tutte le sere, mi faccio una lista di quelli che vorrei vedere e piano piano depenno. Al cinema vado la mattina alla proiezione delle 11, alla sala Troisi, dopo che accompagno mio figlio a scuola, o nel primo pomeriggio, la sera mi sento troppo in colpa per uscire se ho lavorato tutto il giorno, voglio solo stare con lui.
Costa stai leggendo adesso? E cosa stai guardando?
Sto guardando “The Bear” e sto leggendo “L’arte della Gioia” di Goliarda Sapienza.
C’è una frase che mi piace citare spesso, tratta da uno dei miei libri preferiti, “Il giovane Holden”, che parla di “casa”, del fatto che ogni casa abbia un odore unico, e Holden, parlando dell’odore della sua, per esempio, dice: “Non è di cavolfiore e non è un profumo – non so che diavolo sia ma uno sa subito che è a casa.” Cos’è “casa” per te? Qual è l’elemento che la rende tale?
Per me casa è dove sono mio figlio e il mio compagno, facciamo una vita da girovaghi ma appena siamo tutti e tre, anche una camera d’albergo diventa casa.
Photos by Johnny Carrano.
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