Barbara è unica. E speriamo di non smettere mai di incontrarla a Milano, Venezia o ovunque ci porti l’amore per il cinema. Questa volta ci ha portati nella sua camera d’hotel dove non potevamo non riprendere il suo “regno”, fatto di caos. Perché, come lei, il caos è fatto di energia, e non può farne a meno.
Qui l’abbiamo incontrata per il film “Mondocane”, per la regia di Alessandro Celli. Il film tratta la storia di una società devastata, di un futuro utopico dal sapore tristemente plausibile, in cui il crimine è padrone e la giustizia è messa in ginocchio. Barbara Ronchi è “la giustizia” che lotta per riappropriarsi della tranquillità rubata dai violenti: il suo personaggio, la poliziotta Katia, è tra i pochi a schierarsi dalla parte dei buoni, con un passato misterioso che sotterra per il bene della sua missione. Un film che già dallo script l’aveva catturata e che tutti noi non vedevamo l’ora di vedere.
Insomma, proprio come dice lei, una figata pazzesca.
Sei tra i protagonisti del film “Mondocane”, in concorso alla Settimana Internazionale della Critica del Festival di Venezia. Il film è ambientato in una Taranto futuristica, devastata e con pochi superstiti, in cui gang criminali esercitano e vivono di violenza per il dominio del territorio. Qual è stata la tua prima reazione quando hai letto la sceneggiatura?
Ho pensato fosse una figata pazzesca, perché partendo dal macro problema della catastrofe ambientale mondiale a cui stiamo assistendo, la sceneggiatura decideva di ambientare la storia a Taranto, la città dimenticata dalle istituzioni, ponendosi una domanda: che possibilità ci sono di poter migliorare la propria vita in un mondo in cui regna il caos? E cosa succede ad un’amicizia che ha resistito alla fine del mondo, quando subentra l’ambizione?
E qual è stata la prima domanda che hai rivolto al regista, Alessandro Celli, e a te stessa, a proposito del tuo personaggio, la poliziotta Katia?
Gli ho chiesto come mai Katia avesse scelto di diventare poliziotta, perché in un mondo senza regole decidere di vivere per mantenere l’ordine appare senza senso. Mi sono concentrata su questo aspetto, come se lei potesse rappresentare il fallimento di un’intera comunità in una sorta di accanimento terapeutico su una società ormai allo sbando. Per questo abbiamo deciso di presentarla inizialmente con la faccia completamente tumefatta.
“Mondocane: Ho pensato fosse una figata pazzesca”
La Taranto di “Mondocane” è una città post-apocalittica, scenario tristemente plausibile, data la situazione critica in cui Taranto si trova oggi, e con cui si trova a fare i conti da ormai molti anni. Com’è stata la tua esperienza sul set? Come hai vissuto la città, trasformata per lo schermo in un ambiente che, seppur “fantascientifico”, è spaventosamente credibile e prevedibile?
Quando abbiamo girato ‘Mondocane’ eravamo nella prima ondata post Covid con molte restrizioni alla vita che conoscevamo perciò pur essendo in trasferta a Taranto sono uscita molto poco e ho avuto pochi contatti con la città. La cosa che mi ha colpito di più è quando ho capito che Taranto ai lockdown è abituata da almeno dieci anni perché quando le polveri si alzano tutti sanno che è meglio chiudere le finestre e non uscire di casa.
Il tuo personaggio è tra i pochi “buoni” rimasti in città, una donna dai sani principi, segnata dal suo passato, e in cerca di giustizia per ripristinare l’ordine in un ambiente in cui regnano caos e criminalità. Katia sembra, tuttavia, un personaggio ambiguo, combattuto tra l’urgenza di svolgere il proprio mestiere e catturare i cattivi, e il desiderio di essere semplicemente, e finalmente, una donna, magari una madre, come si intuisce dal trattamento speciale che riserva all’orfana Sabrina (Ludovica Nasti), magari un’amica o qualcosa di più, come lascia intendere la scena del primo incontro/scontro tra Katia e Testacalda (Alessandro Borghi) e il loro eloquente scambio di sguardi e gesti. Come hai costruito il complesso profilo psicologico del tuo personaggio, e come ti sei “coordinata” e “sintonizzata” con il resto del cast?
Un’altra cosa che mi affascinava molto della sceneggiatura era che dovevamo creare tutti insieme una back story dei personaggi, specie per i due adulti della storia, Katia e Testacalda, il personaggio che interpreta Alessandro Borghi. Ci siamo divertiti a immaginare che fossero stati amici in orfanotrofio, o addirittura fratelli, e che si fossero allontanati a causa del progetto di distruzione che vuole mettere in atto Testacalda. Come se fossero stati amici un tempo, proprio come Mondocane e Pisciasotto.
Una parola per descrivere “Mondocane”?
FORMICAIO.
“Mondocane” è solo l’ultimo tra i tuoi progetti che raccontano di spaccati della storia e dell’attualità italiana o di probabili sviluppi futuri, c’è un altro scenario della nostra storia ed identità che ti piacerebbe rappresentare sullo schermo?
Mi piacerebbe molto raccontare prima o poi una storia sui tabù della maternità, di come sia diverso per ognuna di noi questo incredibile passaggio nella vita adulta, quello che perdi per sempre, quello che ti lascia.
Hai numerosi progetti interessanti in uscita, tra cui i film “Io sono Babbo Natale” di Edoardo Falcone, e “Sulle nuvole”, di Tommaso Paradiso, e una serie tv attualmente in onda, “Imma Tataranni – Sostituto procuratore”. Serie tv e lungometraggi: cosa cambia nel tuo approccio a questi due diversi tipi di produzioni? A quale dei due mondi senti di appartenere di più e in quale ti senti più a tuo agio?
Il mio approccio rimane sempre lo stesso, sono molto esigente con me sul lavoro e lo sono anche con gli altri. L’unica cosa che cambia sono i tempi: il cinema permette tempi più lunghi, in una giornata si girano una, massimo due scene, c’è il tempo per provare, si fanno molte più inquadrature e hai il tempo di capire cosa funziona, cosa togliere e cosa aggiungere. In una serie tv ormai si girano minimo 5 scene al giorno, il mio record personale è 7: diciamo che devi fare affidamento a tutto quello che hai imparato negli anni per fare bene una scena e allo stesso tempo cercare di far accadere qualcosa di inaspettato. È complicato, ma diventa bello quando ti succede di farlo con amici: come nel caso di Imma Tataranni, la serie che ho girato con Vanessa Scalera. Avevamo già lavorato insieme, siamo amiche, così la fatica la senti meno.
“Mi piacerebbe molto raccontare prima o poi una storia sui tabù della maternità”
L’ultima cosa che hai scoperta di te stessa?
Riesco a stare 9 ore sui tacchi. Poi inizio a barcollare. Me l’ha insegnato Venezia quest’anno.
Cos’è per te il caos? (riferimento puramente casuale alla tua stanza di hotel ahah)
Il caos è il mio regno, è il posto dove mi muovo meglio. Nel disordine mi ritrovo, mi lascio andare, ricreo il caos appena posso, le camere d’albergo lo sanno bene. Poi sistemo tutto ed è come se non fossi mai esistita. Ma finché ci sono, faccio casino.
Di cosa hai paura?
Ho paura delle persone che pensano solo a loro stesse, come fossero eterne.
Cos’è per te la creatività?
Il bisogno di dover creare qualcosa che prima non c’era, un prolungamento dell’infanzia in cui si può fare finta che la sedia sia un castello e un grembiule un abito da sera. È esprimere se stessi e capire che non si è da soli, perché quello che hai creato a qualcuno racconta la sua storia. È connessione tra le persone.
Una canzone per descrivere questo momento della tua vita?
“MODERN LOVE” di David Bowie.
La domanda che non ti è mai stata fatta in un’intervista e che vorresti che ti venisse fatta?
Allora Barbara, Parlami dell’ultimo libro che hai letto. Wow Grazie della domanda! Adoro leggere, sto cercando di finire “Yoga” di Carrere ma ci sto mettendo mesi, c’è qualcosa che mi blocca e devo capire cos’è. Ho amato il “Colibrì“, sto finendo “Il buio oltre la siepe” che non avevo mai letto.
“Il bisogno di dover creare qualcosa che prima non c’era, un prolungamento dell’infanzia in cui si può fare finta che la sedia sia un castello e un grembiule un abito da sera”.
Se ti venisse data la possibilità di essere la madrina della Mostra del Cinema, di cosa parleresti nel monologo di apertura?
Avrei parlato della responsabilità che abbiamo noi artisti in questo momento storico in cui abbiamo perso tante cose, soprattutto la spensieratezza, un libero e fiducioso abbandono a tutto quello che di bello ci offre la vita. Questa pandemia ci ha divisi ancora di più e sarebbe sciocco pensare che Venezia e la Sala Grande raccontino davvero la rinascita del cinema. Sarà faticosa e forse tante cose cambieranno. Ma ci sarà sempre bisogno di persone che raccontino quello che proviamo, e di sale buie dove ridere e piangere tutti insieme, siamo stati per troppo tempo soli in casa chiusi nei nostri divani a vedere film davanti una scatola.
Usciamo nelle strade, balliamo, facciamo festa, tendiamo alla luce e a rischiariamo questi tempi per noi, e per quelli che verrano dopo di noi. Ed ora…Dichiaro aperta la 79 edizione della Mostra Internazionale del Festival di Venezia!
Photos by Johnny Carrano.
Styling by Other.
Look: Ermanno Scervino.
Cintura: Christian Louboutin.
Scarpe: Christian Louboutin.
Gioielli: Crivelli.
Makeup Artist: Charlotte Hardy.
Makeup and Hair by Armani Beauty.