“Padre Pio”, di Abel Ferrara, è esattamente quello che non ti aspetti.
Shia Labeouf interpreta un febbricitante Padre Pio, uomo di fede che alla fine della Prima Guerra Mondiale approda a San Giovanni Rotondo, una terra povera, violenta e violentata, dominata dalla Chiesa e dai ricchi proprietari terrieri. Così, Padre Pio fa il suo ingresso in uno sperduto convento di cappuccini per iniziare il suo ministero, nel mezzo di un momento tragico della storia italiana del secolo scorso, l’eccidio di San Giovanni Rotondo il 14 ottobre del 1920, quando in piazza Municipio vennero uccise 14 persone e più di 60 restarono ferite.
Noi abbiamo chiacchierato con uno dei protagonisti del film presentato in anteprima alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia: Brando Pacitto, che ci ha raccontato la sua esperienza nei panni di Renato, uno dei padroni di San Giovanni Rotondo che cerca in tutti i modi di ostacolare qualsiasi desiderio di autodeterminazione tra i cittadini. A partire da un copione scarno, su un set internazionale, con una trama manipolata da un regista visionario, Brando ci ha parlato di quanto “Padre Pio” sia stato “qualcosa di diverso da tutto ciò che aveva fatto in precedenza”.
La versione dei fatti di Ferrara, infatti, com’è stata raccontata da Labeouf, com’è stata amplificata da Brando, non ha nulla a che vedere con la semplice storia di vita del frate e dei motivi della sua beatificazione: piuttosto, è un racconto crudo, inedito, creativo, di tormenti e vocazioni di un uomo di Chiesa, un film che strizza l’occhio al grande cinema di Bertolucci e di Pasolini.
“Padre Pio” è un film unico nel suo genere, parla di redenzione ma allo stesso tempo di colpa e di rivoluzione. Come ti sei preparato per il tuo ruolo?
Abel prima di iniziare le riprese ci ha mandato un documentario da lui diretto intitolato “Searching for Padre Pio” che racconta in ottica prettamente storica ciò che è raccontato nel film; la visione di quelle immagini e l’approfondimento storico sono stati elementi fondamentali per rappresentare un uomo con un ruolo ben specifico nella società di quel tempo.
In “Padre Pio” c’è stata una scena per te che è stata particolarmente difficile da affrontare? Anche solo al pensiero di relazionarti con un personaggio “non buono”?
In realtà non vedevo l’ora, e lavorare con Abel l’ho trovato il modo migliore per approcciare a qualcosa di così diverso da ciò che avevo fatto in precedenza; dunque è stato si difficile, ma estremamente nuovo, quindi stimolante.
Abel Ferrara, il regista, non ha voluto utilizzare luci artificiali, molte delle inquadrature ricordano quasi dei dipinti e ha un modo particolare e unico di raccontare questa storia, quasi minimalista, essenziale ma che proprio per questo “rimane con te”. Quando hai letto la sceneggiatura, qual è stato il tuo primo pensiero? E qual è stata la prima domanda che hai fatto ad Abel?
Abel è un autore, ha la visione totale del film, e dunque oltre al livello estetico, ha chiarissimi i personaggi che vuole far vivere nel film e agli archetipi che rappresentano. La sceneggiatura era molto scarna, molto di quello che si vede nel film è stato orchestrato e manipolato sul set da intuizioni di Abel e del cast. Un modo di lavorare che ho trovato estremamente interessante ed organico.
“[Abel] ha chiarissimi i personaggi che vuole far vivere nel film e agli archetipi che rappresentano”.
Nel film, l’assenza di Padre Pio a tutto quello che sta succedendo diventa quasi una delle presenze maggiori del film. Nella vita, quando ti fa incazzare l’indifferenza?
Come dici te, l’indifferenza come l’assenza sono prese di posizione, quindi hanno delle conseguenze sull’individuo che le subisce. L’indifferenza può esistere solo quando funzionale alla crescita ed alla comprensione di un messaggio. Sbagli, so che stai sbagliando perché io in primis conosco, dunque penso sia giusto lasciar correre così da non indottrinare qualcosa ma lasciare che l’esperienza faccia il suo.
Ci sono invece tante altre realtà dove credo che l’indifferenza sia una forma di violenza, dalla politica all’emotività.
Come ci siamo già detti, vedere il lavoro di un maestro come Abel, in collaborazione con un artista come Shia Leboeuf è un qualcosa che ti ha colpito molto, che ancora adesso fa venire i brividi. Cosa ti sei portato a casa di questa esperienza? Hai scoperto qualcosa di nuovo di te stesso?
Banalmente aver visto Shia Labeouf lavorare. Aver visto Abel dirigerlo e dirigere il set. Tutto abbastanza fuori di testa e libero.
Il film parla molto anche di isolamento, solitudine. Come vivi la vivi tu? La accogli nella tua vita o cerchi di respingerla?
Amo la collettività e la condivisione, ma ho dovuto per forza di cose imparare le dinamiche della solitudine, renderle mie amiche, ed iniziare ad amarle per quello che possono darmi.
In generale, cosa ti fa dire di sì a un progetto?
Dipende, può essere una cosa specifica come il regista o la scrittura, o l’insieme di cose. Vorrei lavorare sempre di più con persone ed artisti che hanno una visione specifica e più o meno politica.
Che cos’è una foto per te?
Io, come vedo, come vorrei vedere.
Perché decidi di scattare una foto?
Per nutrire o aiutare la mia malinconia. Non l’ho ancora capito.
Scrivi?
Molto meno di quanto vorrei.
“Come vedo, come vorrei vedere”
Quando prepari un personaggio, sei più razionale o istintivo?
Parto dalla razionalità, cerco di dimenticarmi tutto, e di far uscire i concetti che ho fatto miei in maniera istintiva. Poi ovviamente dipende dal personaggio e dalla storia. Ci sono personaggi con più cervello e pensiero dietro all’azione, altri legati più alla pancia.
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Prendermi cura di me, quando sono stato in grado di farlo.
Di cosa hai paura invece?
Del cielo blu.
Il tuo più grande atto di ribellione?
Essere il più coerente possibile alla mia sensibilità e alla mia visione del mondo e dell’arte.
Cosa significa, per te, sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Non l’ho mai saputo.
La tua isola felice?
Il mare con le onde.
L’ultima cosa o persona che ti ha fatto sorridere.
Veramente mia sorella. Per finta tante altre.
Photos by Johnny Carrano.
Thanks to Other srl.