A distanza di due anni dalla nostra ultima chiacchierata, Carlotta Gamba non è cambiata per niente, nonostante i numerosi progetti che nel tempo hanno accresciuto la sua fama e carriera. Insomma, è rimasta la persona umile, gentile e brillante che ricordavo, saggia e appassionata come solo i veri artisti sanno essere.
Questa volta, come nostra Cover di maggio, Carlotta ci accompagna indietro nel tempo, con il suo ultimo film “Gloria” diretto da Margherita Vicario. Nel cuore pulsante del 1800, in un’epoca intrisa di tradizioni e rigide gerarchie, la storia ci trasporta nell’istituto religioso di Sant’Ignazio. Qui, il contesto storico si fonde con la rivoluzione musicale e sociale in una serie di eventi solenni e straordinari.
Carlotta ci racconta i segreti del dietro le quinte di questa produzione, dove il passato e il presente si fondono in un crescendo di emozioni. Con una profonda comprensione del suo ruolo, incarna l’anima ribelle e coraggiosa di tutto il film nei panni di Lucia, una delle giovani donne determinate a spezzare le catene dell’oppressione e a far risuonare le proprie voci attraverso le note rivoluzionarie della musica “pop”.
Ricordi il momento esatto in cui hai deciso che il cinema sarebbe stato una parte così importante della tua vita?
Mi viene subito in mente mia prima esperienza sul set. Fin da bambina ho sempre guardato film e sono sempre andata a teatro. Io studio recitazione teatrale e, infatti, il mio sogno primordiale era quello di lavorare in teatro, quindi quando poi ho conosciuto il cinema da vicino, ovvero quando sono entrata a far parte di quel mondo con “America Latina” dei fratelli D’Innocenzo, che è stato il mio primo film, lì sul set, vedendo tutti lavorare, vedendo i fratelli lavorare, l’ho trovata una realtà stupenda, in opposizione a molte persone che fanno teatro e studiano teatro che sono un po’ scettiche quando si parla di cinema. Per me, cinema e teatro sono due cose nettamente diverse, però sicuramente quando ho avuto la fortuna di incontrare i fratelli D’Innocenzo che fanno un genere specifico di cinema e quando ho scoperto il modo in cui lo fanno, mi sono detta: “Ok, devo stare qua”.
In “Gloria”, interpreti il ruolo di Lucia, il primo violino dell’orchestra dell’Istituto Sant’Ignazio. Quali sono state le sfide di preparare questo personaggio e quanto ci hai messo di te stessa in lei?
Di sicuro la parte più difficile è stata quella di studiare e suonare il violino: stare sul set e dover suonare e recitare, dover pensare a queste due cose contemporaneamente. Chiaramente, le performance musicali che nel film non sono opera nostra (per fortuna), però non suonare per niente l’avrei considerato un fallimento personale, anche se era la cosa che più mi spaventava e che effettivamente poi sul set è stato complicato fare, anche dal punto di vista della regia e fotografia. È stato complicato anche per Margherita capire come inquadrare noi, che non sapevamo suonare, in mezzo ad un’orchestra.
Invece, per quanto riguarda le caratteristiche di Lucia che mi appartengono di più, ti dico solo che quando ho visto le altre ragazze che erano state scelte per interpretare gli altri personaggi e quanto somigliassero ai rispettivi personaggi, mi sono detta, “Oddio, allora io sono una pazza antipatica!” [ride] A parte gli scherzi, Lucia è una persona molto determinata e il bello del mio lavoro è proprio vedere quanto ci si confonda, alla fine, col proprio personaggio. Insomma, Lucia ora è una parte di me. Io, però, non sono così “cazzuta” come, anche se, forse in fondo in fondo, in realtà lo sono.
A me piace pensare che di Lucia io abbia un po’ tutto e un po’ niente.
Lucia sembra essere affascinata dal progetto di Teresa di comporre musica pop con un secolo di anticipo. Qual è stato il tuo approccio nel rappresentare questa connessione tra tradizione e innovazione?
Il bello è che in questo film noi scopriamo il futuro, un po’ come in quelle storie degli alieni che arrivano sulla Terra! [ride] Raccontiamo di qualcosa che non esiste, che deve ancora accadere e che, quasi senza rendercene conto, facciamo accadere noi. Insieme, facciamo quella musica che poi, in un futuro molto molto lontano, sarebbe la musica di oggi: scopriamo il pianoforte, per esempio. È stato bellissimo cercare di interpretare quel senso di stupore che oggi abbiamo un po’ perso, perché conosciamo praticamente tutto; con Internet si può andare ovunque oramai, per esempio in Cina io non ci sono mai stata, però se voglio posso sapere com’è. Quella sensazione di stupore è difficile da ricercare, perché ormai oggi è difficile stupirsi. Quando nel film scopriamo il pianoforte, lo guardiamo come se fosse un mostro, però il bello è che a un certo punto ci viene naturale creare la musica da zero.
Insomma, questa storia è un bellissimo miscuglio di tante cose, di futuro e di passato, e pensandoci a posteriori lo stupore di Lucia nel guardare il futuro corrispondeva al mio, di Carlotta, nel guardare al passato e interpretare lei! Insomma, un incontro a due direzioni opposte.
“È stato bellissimo cercare di interpretare quel senso di stupore che oggi abbiamo un po’ perso, perché conosciamo praticamente tutto”
Il film affronta temi importanti come l’importanza della ribellione, della creatività e della solidarietà femminile. Nella tua vita, qual è stato finora il tuo più grande atto di ribellione?
Spero che il mio più grande atto di ribellione debba ancora avvenire!
Forse trasferirmi a Roma è stata una ribellione, quando mi ero messa in testa che dovevo studiare in accademia per diventare un’attrice. In verità, non mi sono ribellata a nessuno se non, forse, a me stessa. Mi sono spinta oltre i miei limiti per “conquistare” il mio lavoro e arrivare a fare quello che faccio. Però, nella vita spero di ribellarmi in maniera ancora più eclatante un giorno, avere il coraggio che hanno le ragazze del film che inseguono i loro sogni.
Lucia è attratta dall’idea di sposarsi e diventare madre, ma si ritrova coinvolta in un progetto musicale che potrebbe rivoluzionare il suo destino. Come interpreti il conflitto interiore del personaggio tra doveri tradizionali e desideri di realizzazione personale, e quali riflessioni ti ha suscitato questo tema?
Ho affrontato questi conflitti come se fossero miei. Per Lucia era giusto e naturale cercare un uomo, considerando anche che era orfana, quindi senza futuro, senza dote. Però aveva anche i suoi sogni. Di questo conflitto tra amore e musica parlavamo molto spesso anche con Margherita e con Tatiana, che è stata la nostra acting coach. Poi, l’amore per quanto riguarda Lucia alla fine non è da ridurre solo al suo Luigi, che alla fine si vede poco, ma quando gli arriva una lettera dai genitori di lui che dice, “Nostro figlio non si sposerà mai con un’orfana come te”, quando viene discriminata in quel modo, si rende conto aveva inteso l’amore in maniera sbagliata. In generale, io spero che il desiderio di mettere su famiglia e quello di perseguire i propri sogni possano coesistere, che queste due cose si possano desiderare insieme, per quanto difficile possa essere.
Comunque, è sempre bello quando ci sono dei conflitti e poi c’è una crescita del personaggio, quindi alla fine l’interpretazione è stata naturale, come un qualcosa che avrei potuto vivere io. Però chissà, magari Lucia non si sposerà mai ma farà i figli lo stesso…
“In generale, io spero che il desiderio di mettere su famiglia e quello di perseguire i propri sogni possano coesistere, che queste due cose si possano desiderare insieme, per quanto difficile possa essere”.
“Gloria” esplora anche la capacità della musica di unire persone diverse e di trasformare le loro vite. Qual è il potere della musica secondo te, sia nella narrazione cinematografica che nella vita reale? Come pensi che la musica possa influenzare il modo in cui comprendiamo noi stessi e il mondo che ci circonda?
La musica per me è l’arte più completa di tutte, che ti lascia del tutto libero, perché la puoi solo sentire e quindi lascia all’immaginazione la libertà di creare il mondo che quello che ascolti suscita. Io per esempio la musica la uso molto sui set: è stato uno dei primi insegnamenti che mi hanno dato, sul mio primo set, quello di utilizzare la musica come un modo per concentrarsi e risvegliare delle sensazioni ed emozioni che potrebbero servire in scena. Io uso molto la musica per tornare a me stessa, anche se il testo non c’entra niente con me e con la mia vita.
Secondo me, quando nell’arte in generale riesci ad empatizzare, è lì che avviene la grande magia. Il punto, alla fine, è sentirsi tutti collegati, vicini, e questa è anche la tua massima aspirazione se sei un’artista. Per me la musica ha dentro quella magia. Io ne ascolto tantissima, tranne quando sto male: allora non devo ascoltare nulla perché amplifica il mio malessere [ride]
Dato che parliamo di musica, da quale musica ti piace farti accompagnare quando ti prepari per un ruolo?
Ultimamente, un’artista che mi emoziona molto è Adrianne Lenker, la cantante dei Big Thief che fa anche suoi album, ha un suo progetto personale. Ora è uscito il suo ultimo album che trovo poetico, per i testi che scrive e la musica che fa. Lei è molto country/folk e fa un tipo di musica in cui parla di ciò che conosce, di ciò che la emoziona, e di conseguenza mi raggiunge facilmente, e quello che sente lei è come se lo sentissi anche io. Quando nell’arte c’è la sincerità, la realtà, allora mi aggancia.
Però, le canzoni che mi scuotono cambiano nel tempo, insieme a me.
Quanto influente è stato, in questo senso, lavorare con una regista che è anche musicista, come Margherita Vicario?
Margherita, ancora prima di essere una regista e una cantante, con noi sul set doveva essere colei che ci avrebbe trasmesso la sua voglia di raccontare questa storia, l’intenzione e il messaggio che c’erano dietro. Ci ha illuminati su questo set: ricordo benissimo il giorno in cui eravamo a Gradisca, durante le due settimane di prova che abbiamo fatto prima di girare, quando lei ci spiegò, col fervore e la forza che hanno Lucia, Marietta, Bettina e tutti i personaggi, perché questa storia andava raccontata, urlata, e a modo suo. Margherita aveva necessità di raccontare qualcosa. Infatti, quando guardo il film, io la vedo, la riconosco nei personaggi, nel modo in cui si muovono. Lei ci ha dirette verso ciò che aveva in mente di fare, che aveva chiaro sin dal giorno uno, e noi dovevamo solo metterci in azione.
“Margherita aveva necessità di raccontare qualcosa”
Ad oggi, quale diresti sia stato l’elemento più gratificante della tua esperienza nei panni di Lucia?
Sicuramente, le mie compagne di scena, non c’è altra risposta possibile. Le ragazze sono diventate mie amiche, ci siamo supportate a vicenda nei momenti di sconforto, di felicità, sapevamo sempre che c’eravamo le une per le altre ed è stata una grandissima fortuna. Meno male che siamo andate subito d’accordo, perché altrimenti sarebbe stato un problema! [ride] Alla fine, sui set mi sono sempre fatta molte amiche, però questa volta trovarci tutte e cinque per un mese dentro quella casa è stata la più grande fortuna, un’esperienza che mi porterò sempre dentro.
Tendi ad essere più istintiva o razionale quando approcci i tuoi personaggi?
Io penso di essere istintiva. Certo, ho studiato, quindi la tecnica la conosco, e in qualche modo fa parte di me e voglio ancora continuare a studiare e far crescere la mia passione. Però quando affronto le scene, cerco sempre di mettere d’avanti le emozioni, che siano negative o positive; queste poi prendono il loro corso, quindi è l’istinto alla fine che prevale.
Qual è stato l’ultimo film o serie che hai visto che è rimasto con te?
Un film che mi è rimasto nel cervello è “Breaking the Waves” di Lars von Trier, in Italiano, “Le onde del destino”. È il film della mia vita, penso. Oppure, anche “Snowtown” e “Nitram” di Justin Kurzel.
Mi piacciono i film che mi fanno perdere completamente, allontanare dalla mia vita e dalle mie cose.
Quindi qual è il genere cinematografico che più ti piace guardare e quello che più ti piace interpretare? C’è una differenza tra i due?
No, i film che amo sono quelli in cui desidererei lavorare. In genere, per lo più il mio genere preferito è il cinema drammatico, d’autore, il cinema che si impegna e che impegna.
Il tuo più grande atto di coraggio?
Nel mio piccolo, ad oggi, è quello di continuare a credere in questo lavoro e nel fatto che io posso farlo. Il mio lavoro è un po’ un amore tossico, una volta c’è e l’altra non c’è, e quando c’è è tutto stupendo, la vita è improvvisamente bellissima, ma quando non c’è, sembra la fine del mondo. Quindi, quando non c’è, bisogna essere coraggiosi e tenere duro, essere forti e guardare la propria strada e continuare a camminare.
E il più bel vaffanculo della tua vita?
Spero di non averlo ancora detto! Ma c’è una certa soddisfazione nel farlo, di sicuro. Qualcuno devo averlo detto, per esempio alle persone che cercavano di cambiarmi, ma non per il mio bene. Nella vita, uno cambia, cresce, migliora, ma ci sono persone che cercano di ingannarti e cambiarti, e non per il tuo bene o per il bene degli altri, piuttosto per sentire una sensazione di potere ben precisa.
Cosa ti dà speranza, invece?
L’amore! Risposta molto da Lucia [ride]
Però, sì, l’amore per la mia passione, per il mio compagno, per i miei amici, per i miei familiari. Io credo che l’amore muova tutti noi, siamo spinti a cercarlo per una restituzione personale, ma non solo. Io faccio questo lavoro per me, perché mi piace, mi diverte, mi fa pensare agli esseri umani, però chiaramente lo faccio anche un po’ per chi mi vuole bene, per regalargli qualcosa.
Quand’è che ti senti più al sicuro? E quando ti senti più sicura di te?
Sicura di me credo mai. Però, la sicurezza è il mio motore di ricerca, il punto in cui si trova il mio fuoco, la fiamma che deve bruciare; da lì, prendo la forza che mi serve per cercare lavoro, avere il coraggio di aspettarlo e poi di farlo.
Mi sento al sicuro, invece, quando mi sento bene con me stessa e con le persone con cui sto, quando so che non c’è niente di cui avere paura in quel momento.
“…la sicurezza è il mio motore di ricerca, il punto in cui si trova il mio fuoco, la fiamma che deve bruciare”.
Dopo questa esperienza, hai acquisito nuove consapevolezze o imparato qualcosa di nuovo su di te?
Secondo me, di essere antipatica come Lucia! [ride]
Ecco, ho realizzato che a volte, proprio come succede a Lucia, vengo fraintesa. Molti fraintendono la determinazione di Lucia come un’ostentazione di superiorità, come un voler sgomitare per farsi avanti, un’irriverenza. Forse, questo mi ha fatto pensare che a volte io stessa mi sono comportata così e molte persone hanno pensato la stessa cosa di me… Ma molti mi fraintendono, mi dicono che la prima volta che mi hanno conosciuta gli sembravo antipatica, e io quando capita dentro di me vado nel panico e penso: “Ho paura del mondo, voglio scappare!”.
Hai una tua routine o un’attività in particolare che svolgi quando hai bisogno di “ricentrarti”, di ritrovare te stessa?
Non è mai la stessa cosa, anche se ti tratta sempre dello stesso mondo: in generale, mi piace molto disegnare, colorare o costruire, fare cose manuali. Forse perché il mio lavoro è molto intellettuale e quando non c’è lavoro, ho bisogno di sentire che c’è qualcosa che continua a lavorare dentro di me. Anche scrivere, a volte, mi aiuta.
Attività solitarie, insomma. Che rapporto hai con la solitudine? La cerchi mai, o è qualcosa che preferisci evitare?
Sono ormai otto anni che mi sono trasferita a Roma e c’è in me un movimento di crescita in cui il mio rapporto con la solitudine sta cambiando: all’inizio, ne avevo paura, la trovavo brutta e sbagliata e non la volevo; poi, ho iniziato a starci dentro perché ne avevo bisogno per definire dov’era Carlotta e chi era Carlotta. Ora ci ho fatto pace, anche se resta un rapporto complicato: ho imparato ad amarla perché sento, a volte, di averne bisogno.
Cos’è, per te, “casa”?
Un grande dilemma per me. Io ho un rapporto molto intimo con la ”casa”, ma trovo difficile definire cos’è, provo un sento di spaesamento. È sempre stato così, in realtà, perché i miei hanno divorziato quando avevo sei mesi, ho sempre avuto due case, quindi per me è un argomento difficile. Il concetto di casa è importantissimo, ma allo stesso tempo è come se non riuscissi a definire realmente qual è casa mia. Anche questo, nel mio percorso di crescita da giovane donna adulta, sto cercando di capirlo. La mia casa sto cercando di costruirla, sto cercando quel luogo in cui sentirmi al sicuro e non avere più paura.
Alla fine, credo che “casa” sia quello che ci metti dentro: sei tu in un futuro in cui tutti gli astri si incontrano.
Photos & Video by Johnny Carrano.
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