Una sceneggiatura che ti “svuota”, un’arte pedagogica, personaggi costruiti con pezzi di sé, e una parola d’ordine: umanità. Questo è “America Latina”, il nuovo film scritto e diretto da Fabio e Damiano D’Innocenzo, un nucleo di concetti e dettagli che l’attrice Carlotta Gamba ci ha aiutato a sviscerare uno ad uno.
Nella storia dei fratelli D’Innocenzo, Carlotta, per la prima volta sullo schermo, interpreta la giovane Laura, una delle figlie del protagonista (Elio Germano). Immersa in una realtà familiare apparentemente ricca d’amore e perfezione, il personaggio di Carlotta troverà alcuni punti di oscurità, in una rappresentazione della vita più sincera che mai. Una sincerità, come ci ha raccontato Carlotta, complicata da affrontare, ma sempre necessaria, soprattutto quando si raccontano storie che parlano di noi: solo così, con la sincerità, si innesca la magia del cinema e del teatro che unisce realtà lontane e che, quando funziona, crea connessioni inimmaginabili ed eterne.
In una serie di riflessioni acute e profonde, Carlotta ci ha anche raccontato di come ha imparato ad adattarsi e riassettare i suoi ritmi, tra l’esperienza del teatro e quella del cinema, e a occuparsi di sé in ogni contesto della vita. Con tantissima voglia di crescere “proteggendo le proprie vulnerabilità”.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Non ho un ricordo preciso, ne ho tanti e fatico a ricordarli in ordine. So che a casa, quando ci si metteva a guardare film, era un momento sempre di condivisione, di unione, ero al sicuro, con tutti nella stessa stanza insieme.
Forse, il primo aggancio a un film è stato con “La guerra dei mondi” di Steven Spielberg, lo ricordo perché, come dicevo, riuscivo a sentirmi riunita con la mia famiglia, sia per il momento che condividevo con loro, sia perché la mia fantasia facilmente mi permetteva di immedesimarmi in Dakota Fanning e nella sua famiglia. Nella mia vita non ho mai dovuto scappare da alieni che risucchiano umani, ma la realtà famigliare nella quale loro irrompono la conosco molto bene.
Sei parte del cast di “America Latina”: qual è stata la tua prima reazione dopo aver letto la sceneggiatura? E qual è stata la prima domanda che hai fatto ai registi e sceneggiatori, i fratelli D’Innocenzo?
Ricordo molto bene il momento in cui la lessi, ero seduta al mio solito posto al tavolo della mia cucina, era mattina. La lessi tutta, e veramente mi sembrò un attimo. Più la leggevo, più volevo andare avanti. La lettura mi svuotò, è stata la prima sceneggiatura di tutta la mia vita, mi aprì all’immaginazione di quello che avremmo fatto e di quello che avrei visto fare. Fin da subito sono entrata in contatto con Massimo, il protagonista, e l’arte che i fratelli D’Innocenzo possiedono è di essere sempre così umani anche raccontando una storia che apparentemente può sembrare lontana da noi.
Io credo che la prima domanda che ho fatto a Fabio e Damiano sia stata se veramente sarei stata io Laura o se fosse tutto uno scherzo, la mia reazione quando mi dissero che avevo passato il provino e che sarebbero stati felici di lavorare con me è stata molto rocambolesca e se ci ripenso anche un po’ imbarazzante. È stata una gioia cosi grande, che non scorderò mai.
Laura, il tuo personaggio, fa parte di una famiglia apparentemente perfetta, di una perfezione che, tuttavia, si rivela oscura, e fragile: in che modo hai lavorato alla costruzione del tuo personaggio? Ti sei ispirata anche a qualche aspetto del tuo carattere o della tua esperienza personale?
Il lavoro con Fabio e Damiano è stato quello di costruirla insieme, con piccoli pezzi di ognuno di noi, è stata un’unione delle nostre sensibilità. Non è sempre stato semplice, perché loro ci richiedevano di essere sinceri, e la sincerità non è sempre bella, è anche complicata da affrontare. Questa è l’umanità di cui vi parlavo prima, che loro hanno messo nella scrittura e poi riportata a noi e con noi sul set. È stato il mio primo film, e credo di aver lavorato con la cosa che mi è più vicina: me stessa; mi sono ispirata a me, ma questo non credo sia il termine giusto.
L’incontro tra me e Laura, e quindi tra me e i fratelli ha creato l’anima di quella ragazza pura e quasi donna di nome Laura.
Il film parla d’amore, di famiglia, di luci, di ombre, di speranza e di umanità. Quali vorresti che fosse il messaggio che gli spettatori percepissero dopo aver visto il film?
Non credo che dietro a questo film ci sia la pretesa di lasciare un messaggio o una morale. Il cinema che per me è bello è quello che parla di noi, che ci fa emozionare, che ci fa entrare in contatto anche con cose apparentemente lontane; rendersi conto che è così, che una qualsiasi ragazza di 24 anni possa entrare in contatto con un dentista di 40 anni, mi rincuora, mi affascina, è la magia del cinema e del teatro. Spero che chi guarderà “America Latina” possa vedere l’onestà; quello che “America Latina” mi ha portato a pensare è che essere bravi nelle difficoltà a vedere le cose belle, le cose che ci salvano, è il dono più prezioso che possiamo avere. La forza dell’amore può salvarti da qualunque cosa, io l’ho visto in “America Latina” e ora nella mia vita ho la fortuna di viverlo.
“…essere bravi nelle difficoltà a vedere le cose belle, le cose che ci salvano, è il dono più prezioso che possiamo avere”.
Uno dei temi che il film affronta, più o meno tra le righe, è quello dell’errore umano e delle conseguenze che comporta: qual è un grande errore che gli esseri umani compiono/hanno compiuto ed esiste un rimedio secondo te?
Non credo di avere la risposta a questa domanda, ma penso che se “America Latina” avesse la forza di far pensare ad ognuno di noi ai nostri errori e di riuscire a creare una riflessione così importante, sarebbe incredibile e meraviglioso.
Come descriveresti “America Latina” in una sola parola?
In una parola è difficile. Penso ora a “sincero”.
Hai alle tue spalle una lunga lista di produzioni teatrali. Il tuo approccio alla recitazione cambia tra palco e set? E qual è l’aspetto che preferisci di queste due esperienze?
Solo arrivando sul set di “America Latina”, che è stata la mia prima volta con il cinema, ho realizzato che cosa volesse dire recitare in un set e quanto sia difficile, o almeno per me, e non credo nemmeno di averlo compreso pienamente. Per quanto mi riguarda sono davvero due esperienze differenti, cambia tutto e quindi anche tu sei portata a cambiare e a riassettare i tuoi ritmi, e devi essere brava a mantenere la concentrazione. Fabio e Damiano mi hanno insegnato tanto durante le riprese, mi hanno regalato la loro esperienza, perché mentre giri un film ti devi occupare di te sia sul set che quando torni a casa, grazie a loro ho imparato molte cose. Quando poi vedi ciò che tutti insieme si è riusciti a creare, è incredibile, è magia. Il cinema è come un viaggio che ti regala mille emozioni in mille momenti diversi e ha il dono dell’eternità. In teatro ho avuto la fortuna di viverlo di più in piccole realtà, e li fai un salto nel buio ogni sera, letteralmente, ed è magico e avviene solamente lì, in quel momento. Sono due luoghi sensibili e complicati, dove nascono storie e emozioni.
“Il cinema è come un viaggio che ti regala mille emozioni in mille momenti diversi e ha il dono dell’eternità”.
Qual è stato il consiglio più importante che tu abbia ricevuto fino ad ora e che ha in qualche modo influenzato il tuo approccio alla recitazione?
Anche se ho 24 anni e ancora poca esperienza, ho ricevuto tantissimi consigli che tengo a mente e che sono entrati in me anche inconsciamente, sceglierne uno è difficile. Sono stata fortunata, molte persone mi hanno insegnato e aiutato a perfezionarmi sempre di più. Forse un consiglio che però non riguarda la recitazione, o almeno solo in parte, che non scorderò mai, è quando mi dissero di proteggere la mia vulnerabilità, la mia sensibilità, e di imparare ad usarla rispettandomi, dandogli il valore che merita.
Il libro sul tuo comodino in questo momento.
“La suora giovane” di Giovanni Arpino.
Hai mai avuto un “epic-fail” sul set o sul palco?
Sicuramente tanti, quello che ricordo di più è stato quando all’ultima replica di uno spettacolo dell’accademia che ho frequentato, ho avuto un buco di memoria; il problema è stato che senza la mia penultima battuta il mio compagno di scena non poteva chiudere lo spettacolo. Quindi non sapevo bene come fare, ho percepito quei secondi come se fossero 20 minuti, tutti mi aspettavano e io non sapevo cosa dire, una sensazione poco piacevole. Ovviamente è diventato un episodio per cui mi hanno preso molto in giro, giustamente.
Il tuo must-have sul set.
La musica. Anche questo mi è stato insegnato su “America Latina”, per me la musica è un rifugio nella vita, da sempre è una mia compagna, e portarla con me sul set mi ha aiutato molto a mantenere la concentrazione.
L’ultima cosa che hai scoperto di te stessa?
Che mi piace giocare al basket ai videogiochi, che mi piace il basket.
Scherzo. Ho scoperto che ho tante cose che ancora devo imparare, tante cose che vorrei migliorare, ho poche sicurezze e da qui parto per crescere. Quello che sento e che sto cercando di crescere, che ho voglia di crescere.
Cosa vuol dire per te sentirti a tuo agio nella tua pelle?
Credo che voglia dire sicurezza e accettazione, queste due cose non le possiedo, o almeno quasi mai.
Faccio l’attrice per ora, quindi lavoro con me stessa, ma questo non significa che non sia in difficoltà a mostrarmi o che ami il mio corpo o il mio viso. A me piace recitare, piace la magia di cui vi parlavo prima, non c’entra la mia pelle o il mio corpo. Queste due cose ovviamente coesistono ed entrano molte volte in conflitto, perché per recitare ho bisogno del mio corpo e del mio viso.
“A me piace recitare, […] non c’entra la mia pelle o il mio corpo”.
Di cosa hai paura?
Di smettere di provare empatia, di fare del male per questo, di non riuscire ad entrare emotivamente in contatto con nulla, di non provare più emozioni. Ho paura dell’anaffettività.
E qual è invece la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Spero di fare cose più coraggiose di questa, non mi reputo una persona coraggiosa: alla fine del liceo mi sono trasferita da Torino a Roma, quando avevo 19 anni. Se penso al primo anno a Roma, è stato terribile, però sono riuscita a superarlo; continuo a preferire Torino ma ora non tornerei mai indietro.
Qual è la tua isola felice?
Ho sempre pensato fin da piccola di dover trovare un posto dove sentirmi al sicuro, la mia isola felice.
In realtà, ho scoperto che non è un posto, ma è una persona, e io l’ho trovata e farò di tutto per renderla felice a mia volta.
Photos by Johnny Carrano.
Look Fendi.
Styling by Sara Castelli Gattinara and Vanessa Bozzacchi.
Thanks to Other.