“Da questi libri veniva a Matilda un messaggio di speranza e di conforto: tu non sei sola“.
Penso che tutti noi lettori abbiamo attraversato un momento catartico quando abbiamo letto/visto per la prima volta “Matilda“: una bambina che, come molti di noi, scopriva l’immenso potere racchiuso nelle pagine e parole dei libri. Un potere che, seppur in modo diverso, ci ha accompagnato e ci accompagna tutt’ora nella vita, e che ha portati nel tempo alla creazione di una community forte, che ha saputo tramutare una passione in un vero e proprio tratto della personalità. Carlotta Sanzogni appartiene a questa community e se ne è fatta portavoce: avendo l’incredibile fortuna di lavorare anche con i libri, Carlotta ha preso la sua esperienza e il suo desiderio di rendere ancora più inclusivo questo mondo per fare la differenza. Oggi, è founder del #BookClubZeroSbatti e ha saputo utilizzare i social media, e i vari linguaggi ad essi appartenenti, per parlare di lettura in modo coinvolgente, immediato e semplice. Qui, non c’è spazio per l’elitarismo di discorsi come “questo è un genere B”, “io leggo solo i mattoni polacchi minimalisti di scrittori morti suicidi giovanissimi”, non ci sono approcci datati o superficialità, ma solo la voglia di leggere e di parlare di libri (due passioni nettamente distinte). Parlare con Carlotta è quindi facile, spontaneo e naturale, proprio come se fosse un’amica che incontri al bar (uno di Milano in particolare) per aggiornarla sulle tue ultime letture e per essere informata delle sue. Abbiamo parlato di libri certo, ma anche di sicurezze e solitudine, di linguaggi, paure e retropensieri. Alla ricerca del tempo perduto come vuole Proust, ma anche del proprio posto nel mondo (senza mai abbandonare le proprie passioni e la propria identità), come vuole Jane Eyre.
“Born to read”, leggiamo sul tuo profilo IG. Te lo ricordi il tuo primo approccio con la lettura?
Sì, me lo ricordo, è stato il mio papà che insieme a me leggeva dei libri per bambini che parlavano di animali ed erano scritti in stampatello maiuscolo. Quindi, più o meno all’asilo, con lui ho imparato a leggere in stampatello maiuscolo, a diventare indipendente su quello. Poi, da sola, ho preso in mano “Matilda” di Roald Dahl, che era in stampatello minuscolo, e mi sono dovuta ingegnare per imparare a decifrarlo, tipo le parole crociate crittografate della settimana enigmistica [ride]. Da lì ho incominciato a leggere tutti i tipi di libri. C’era questa bellissima collana che era “Gli istrici” della Salani che ho divorato, e poi altra pietra miliare della mia formazione da lettrice è stata Jaqueline Wilson, perché era quella che parlava anche delle cose un po’ più “pruriginose” come primi amori, rapporti coi genitori con risvolti diversi, e mi divertivo come una pazza a leggere i suoi libri.
Negli anni, e arrivando fino ad oggi, che cosa hai compreso di te stessa e del mondo grazie ai libri?
Di sicuro che c’erano tante altre persone come me, e quindi mi sono sentita meno sola e anche più sicura nel vedere rappresentati alcuni aspetti di me che magari non emergevano, che non riuscivo ad inquadrare bene neanche io, soprattutto un certo tipo di emotività e di pensieri che mi confondevano, in particolare durante l’adolescenza; questi li ho ritrovati tra le righe nella voce di qualcun altro e mi sono sentita capita. Quindi i libri mi hanno dato tanta sicurezza e tanta voglia di conoscere le altre persone. Nei libri ho sempre trovato compagnia, il che è sempre stato una spinta per cercare sia conversazioni con gli altri che non fossero scritte, sia altre persone con cui avere conversazioni a proposito di quello che stavamo leggendo.
C’è solo una cosa forse più bella di leggere, ed è parlare di libri. Questa è una cosa di cui sono assolutamente convinta.
“I libri mi hanno dato tanta sicurezza e tanta voglia di conoscere le altre persone”
Tra bookstagram, booktok, booktube ecc, la lettura sta passando anche attraverso i social. Come approcci questo strumento nel tuo lavoro, sia per Libraccio che come content creator?
Di sicuro, prima di tutto io vado curiosare e a smanettare col singolo canale. Si tratta di linguaggi tutti diversi, tutti sfidanti, ma soprattutto linguaggi dinamici che continuano a rinnovarsi, quindi bisogna metterci le mani. Allo stesso tempo, c’è qualcosa dell’editoria che mi ha sempre un po’ infastidita e mi ha anche creato delle difficoltà nello spiegare che cosa volevo fare e cosa mi appassionava, cioè i libri e avere a che fare con i libri, agli altri che non erano ancora entrati in questo mondo e associavano la lettura ad una cosa noiosa, scolastica, un obbligo; mi riferisco al fatto che l’editoria a volte si parla un po’ addosso, rimane lontana o ti trasmette quest’idea che c’è una barriera tra chi legge tanto e chi legge poco o legge altre cose che vengono considerate “solo intrattenimento”.
Inoltre, diffido anche del fatto che, soprattutto per quanto riguarda l’immagine femminile, il “contenuto” sia il contrario di “vanità”, ovvero che una persona che mostra parti di sé, del suo corpo, anche piacendosi, poi non possa essere anche appassionata di contenuti o di cose “alte”, che non possano convivere in una stessa persona interessi cosiddetti alti e interessi considerati frivoli. Quindi, mi interessa utilizzare i vari linguaggi per trasmettere il fatto che ci possa essere questo tipo di complessità nelle persone che leggono e che tutti sostanzialmente possiamo essere persone che leggono.
Tra le iniziative di coinvolgimento dei lettori con Libraccio, come “Ritratti tra le righe” e “Te lo leggo negli occhi”, offline, online e lettura si intersecano in chiave creativa e coinvolgente. In che modo, creare una community di lettori, una sorta di book club su più livelli, dona un valore aggiunto all’esperienza del leggere?
Leggere è un’attività che a livello simbolico viene considerata solitaria, ma non lo è per niente, perché tu mentre stai leggendo stai interagendo con qualcun altro. Lo abbiamo appena detto, alla fine la cosa più bella è poter condividere i libri con gli altri. Per esempio, in “Te lo leggo negli occhi” è emerso il fatto che noi avevamo detto di condividere il proprio libro preferito pesando che qualcuno avrebbe trovato un’altra persona con il suo stesso libro preferito, e invece le conversazioni più interessanti sono nate da chi si faceva spiegare libri che non aveva mai sentito; nello spiegare un libro che un altro non conosce, si apre un mondo, ti metti in gioco, ti alleni a usare il linguaggio, che ogni tanto tende a diventare un po’ più piatto, e fai lo sforzo di andare incontro all’altro e vedere come reagisce e capire come funziona l’empatia su vari livelli, sia su quello più superficiale del primo incontro, sia andando avanti.
C’è da fare anche tutto un discorso di forza, quando senti che non sei solo nel leggere, quindi hai la possibilità di interagire con altre persone che lo fanno e dare più valore a quest’attività, quindi vai nel mondo cercando di convincere ancora altre persone a leggere; così, acquisisce ancora più forza il messaggio che a me sta tanto a cuore, che è quello che leggere è molto bello e può essere allontanato da un concetto noioso di compito, che sperimento tanto quando incontro le altre persone. Quando dico che lavoro coi libri, la gente mi guarda quasi compatendomi, quando invece è la cosa che mi rende più felice e spero possa farlo anche trasmettendo l’idea di me come persona “cool” che ce la fa, non come un topo da biblioteca o una snob nei confronti degli altri che non condividono con me le stesse passioni.
“Mi interessa utilizzare i vari linguaggi per trasmettere il fatto che ci possa essere questo tipo di complessità nelle persone che leggono e che tutti sostanzialmente possiamo essere persone che leggono”
“Nello spiegare un libro che un altro non conosce, si apre un mondo”
Soprattutto rispetto all’approccio delle nuove generazioni con la lettura, c’è stata una vittoria personale, un momento/occasione gratificante che ti ha fatto capire di essere sulla strada giusta?
Non credo che sia un vero punto fare affidamento sull’opinione che gli altri hanno di te a tutti i costi, però ci sono state degli attestati di stima e delle amicizie che ho trovato in questo mondo con persone e cervelli che ammiro tantissimo, e che anche solo nell’accogliermi in una conversazione mi hanno fatto sentire orgogliosa di me, contenta di quello che ero e che stavo portando, e anche stimolata a migliorare e approfondire un sacco di argomenti. Poi, di sicuro, con il #BookClubZeroSbatti, sono orgogliosa di aver convinto qualcuno a leggere; io stessa per tanto tempo ho letto ma non mi sono autorizzata a parlare di libri o a farlo in maniera pubblica, sui social, ma anche nei book club, avevo timore di alzare la mano perché non pensavo di avere gli strumenti e le nozioni necessari per fare un discorso con cognizione di causa davanti agli altri. Invece nel book club che curo, appunto ZeroSbatti, e un po’ anche col mio lavoro di divulgazione, a volte mi arrivano dei messaggi che dicono: “Grazie a te ora ho meno paura e ho capito che quello che vedo io nel libro alla fine ha un valore e può essere anche diverso da quello che vedono gli altri ma è altrettanto valido”.
Basta leggere, capire cosa senti, farti delle domande e provare a esporlo.
Nel tuo #BookClubZeroSbatti si scelgono libri brevi, ma non per questo meno “importanti” o “degni di nota” di altri. Quello del “leggere solo libri grossi o di autori classici” è lo stigma che senti ancora più forte quando si parla di letture? O ce ne sono altri che vuoi, vorresti combattere?
Lo stigma di sicuro c’è nel distinguere i tipi di letteratura. È una cosa tipicamente italiana, questa distinzione che viene fatta tra i tipi di lettori anche, c’è un po’ un’ansia performativa della quantità di libri che si leggono, ed è un aspetto di una certa parte di BookTok che mi mette un po’ ansia. Il mondo di oggi è molto complicato e anche molto stimolante, tra serie tv, spettacoli teatrali, eventi, posti da esplorare, attività su cui concentrarti, app da provare, e chi più ne ha più ne metta, quindi di conseguenza il tempo per leggere e l’energia che puoi metterci nella lettura sono meno, ma chi se ne frega.
Quello che sto cercando di fare con ZeroSbatti è togliere la paura dell’affrontare tante pagine, restituirti la sensazione che con poco sforzo puoi avere una grande soddisfazione, quella di quando chiudi un libro e dici, “Oh, adesso ci penso su un secondo”. Poi, però, ho anche cercato di spaziare in vari mondi, quindi abbiamo affrontato il testo teatrale con Bennett, i racconti gotici con Shirley Jackson, i gialli. Ci tengo a dimostrare che ci sono tantissimi modi validi di fare letteratura.
Personalmente, per quanto ami parlare di libri in ogni modo possibile, trovo che la lettura sia anche e soprattutto un momento solo per me, che mi dedico ogni giorno e sto male quando viene meno. Tu invece, come vivi questo momento?
Dipende, in moltissimi modi diversi. Innanzitutto, io distinguo tra leggere per lavoro o per studio e leggere per scelta libri che approccio con una libertà diversa. Il momento della lettura a me dà sempre infinita soddisfazione, ci sono dei momenti in cui mi metto un timer e mi autorizzo per un’ora a non guardare telefoni, a non essere distratta, mi prendo quell’ora lì, e questa cosa mi tranquillizza molto, perché so che quello è un tempo dedicato, come se facessi un’ora di palestra. Altre volte, invece, leggo in ritagli di tempo: mentre il caffè sale nella moka, o quando sono sui mezzi per poco tempo, se ho un viaggio da affrontare, e proprio studiarmi quali libri portarmi dietro durante i viaggi è una cosa che adoro fare, così da alternare l’atmosfera del viaggio in modo che sia complementare al libro o completamente opposta, questo è un mio fetish [ride]. Poi, ci sono delle volte in cui leggo lentamente, altre in cui divori i libri, e insomma non ho un solo preciso momento che dedico alla lettura, né un unico modo in cui la approccio.
“Quello che sto cercando di fare con ZeroSbatti è togliere la paura dell’affrontare tante pagine, restituirti la sensazione che con poco sforzo puoi avere una grande soddisfazione“
Libri e salute mentale: come si collegano per te queste due tematiche?
Parlando di romanzi, leggendone ti rendi conto che ci sono altre voci che ti fanno sentire meno solo e più rappresentato. Ci sono stati alcuni passi avanti, soprattutto nella nostra generazione; ai tempi dei nostri genitori, per esempio, era davvero uno stigma pesante occuparsi della propria salute mentale, ed era anche considerato una cosa secondaria, si diceva “Dai, tirati su, faccela, se ce la fanno tutti, ce la fai anche tu”. Ci sono stati dei momenti di difficoltà in cui io ho avuto paura di aprire dei libri anche con trame non particolarmente problematiche a livello teorico da approcciare, perché avevo paura di trovarci dentro qualcosa che mi avrebbe disturbato ancora di più, perché per me i libri sono estremamente potenti.
Però, di sicuro i libri possono essere un antidoto e per l’approccio che ho io sono convinta che quasi sempre nei libri puoi trovarci uno specchio di quello che sei in quel momento, quindi molto spesso, se non ti aiutano direttamente, ti mostrano gli aspetti su cui andare a lavorare o, per lo meno, andare a riflettere. È importante sottolineare che i libri non sono dei sostituti della terapia, perché la salute mentale è importante tanto quanto quella fisica, però si possono avere dei momenti di solitudine in cui il nostro interlocutore è qualcuno che ha scritto e che ci accompagna per farci sentire un po’ meglio.
Qual è stato l’ultimo libro che ti ha lasciata così?
Io ho affrontato un momento un po’ strano all’inizio dell’anno, quando dal punto di vista oggettivo mi andava tutto bene, ma mi sentivo giù, e devo dire che allora ho trovato rifugio in “Fine di un matrimonio” di Mavie Da Ponte, che ha fatto un lavoro incredibile nel restituire la complessità dei sentimenti e delle sensazioni che abbiamo, sia emotive, sia fisiche, sia le due combinate, e quindi il fatto che in te possono convivere anche contemporaneamente sensazioni estremamente contrastanti. Nel libro di cui parlo, c’è lei che descrive questa moglie lasciata dal marito che si ritrova in un momento di disperazione e mancanza ma allo stesso tempo riconosce di essere stata cattiva con lui. Questo mi ha lasciato sia sorpresa, perché è un’autrice che non conoscevo, e mi ha fatta sentire anche capita e sempre meno sola. Il suo libro è l’ultimo con cui ho avuto questo tipo di forte impatto, tra l’altro uscito da pochissimo, lei è molto brava. Anche “Farmaco” di Almudena Sánchez affronta il tema della salute mentale: l’autrice parla della sua depressione e lo fa in maniera molto realistica e al contempo dolce, in un certo senso, con grande consapevolezza.
“Io sono convinta che quasi sempre nei libri puoi trovarci uno specchio di quello che sei in quel momento, quindi molto spesso, se non ti aiutano direttamente, ti mostrano gli aspetti su cui andare a lavorare o, per lo meno, andare a riflettere“
Segui molteplici format di comunicazione incentrati sulla lettura, ma hai mai pensato di scrivere qualcosa di tuo?
Sì, come tutte le persone che leggono e chi non lo ammette mente: se adori leggere il tuo sogno è saper scrivere. Ovvio che se leggi tanto e ti capita di leggere cose belle molto spesso, il benchmark diventa molto alto, quindi è difficile che una persona si reputi all’altezza del compito. Quando ero più piccola, ero spinta verso questa cosa, fino alle medie mi piaceva l’idea di mettermi a scrivere, scrivevo racconti, se recupero i miei temi mi stupisco anche della mia proprietà di linguaggio, che forse è rimasta fino a quel punto lì, poi qualcosa è andato storto [ride]. Adesso, vedendo gli altri lavorare, perché ho tanti amici che fanno questo mestiere, che sono scrittori, mi rendo conto che ci vuole una combinazione di talento e di metodo che in questo momento non penso di avere, anche in virtù del fatto che faccio un lavoro che mi appassiona tanto e mi occupa tanto tempo.
Qual è o quali sono i libri che useresti per descriverti?
Questa è bastarda! [ride]
Di sicuro, “Il respiro” di Bernhard, perché sono una brontolona e mi sento un po’ affine al suo modo di descrivere e di lamentarsi, anche se sono un pochino più solare del suo personaggio, ma anche perché lui è un autore di cui sono ossessionata, lo ammiro tantissimo. Poi, “I beati anni del castigo” di Fleur Jaeggy, perché vorrei scrivere esattamente così. In effetti, io trovo sempre dei pezzi di me in personaggi che sembrano che non c’entrino niente con me, per esempio Jane Eyre, lei tutta la vita, anche perché sono stata per tanto tempo “gerontofila” [ride]. Scherzo, in realtà perché Jane Eyre è la ragazza che voglio ricordarmi di essere sempre, come quando allo psicologo racconti una questione che ti infastidisce e lui ti dice, “Sì, okay, ma tu cosa vuoi?”, e Jane mi ricorda che cosa voglio, è il mio monito, spero mi descriverà sempre di più.
“Jane Eyre è la ragazza che voglio ricordarmi di essere sempre”
Il libro, o i libri, sul tuo comodino in questo momento.
Sono una marea: “Vite minuscole” di Michon, che mi hanno consigliato e regalato due persone speciali; “Lost in Translation” di Ottavio Fatica, idolo mondiale, persona meravigliosa, anche perché io sono ossessionata dal concetto di lavoro di traduzione. Poi, voglio leggere “L’animale che mi porto dentro” di Francesco Piccolo, mi ha sempre incuriosito.
Quale libro vorresti rileggere per la prima volta?
“Il conte di Montecristo”, invidio molto chi non l’ha ancora letto.
C’è un libro invece che ti riprometti sempre di leggere ma che non inizi mai?
Io, perché sono una basic bitch della lettura, da anni voglio leggere come si deve tutta “La Recherche”; purtroppo sono al terzo libro, volevo finirla entro il 2023, ma se l’anno si prospetta così, non so se ce la faccio.
Che cosa significa sentirti a tuo agio nella tua pelle?
Non avere pensieri e non avere retropensieri. Quando riesco a fare le cose senza doverci riflettere troppo, questo è il sintomo finale del fatto che sono contenta e sono sicura e non ho fisime.
Qual è la tua isola felice?
La mia isola felice è il Bar Jamaica di Milano, è il mio posto, quello dove non ti metti d’accordo con nessuno, ci vai anche se hai avuto la giornata peggiore possibile, bevi un bicchiere di vino, ridi con gli amici che arrivano perché ci capitano, non li hai dovuti avvisare, e poi torni a casa contenta.
Photos by Johnny Carrano
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