C’era una volta a Venezia…
Molte favole cominciano così, soprattutto se si parla di Venezia, un posto che rimane nell’immaginario di tutti come un luogo magico dove vedere cose che non si credevano possibili. Ed è qui che abbiamo incontrato e conosciuto Ciara Bravo, una giovane attrice che ama il suo lavoro e non vede l’ora di scoprire quale sarà il suo prossimo passo, o meglio, la sua prossima scoperta. Perché è proprio così: tramite i suoi film Ciara ha scoperto realtà e cose di sé stessa che non immaginava e che le permettono di aprire sempre di più la mente verso il mondo con totale empatia.
Dopo il film “Cherry” dei fratelli Russo, che abbiamo adorato e in cui lei ci propone una performance magistrale accanto a Tom Holland, e “Small Engine Repair”, un film molto importante che parla di mascolinità tossica, non vediamo l’ora di vederla coinvolta in un nuovo progetto.
Ciara è anche volto dell’ultima campagna di Miu Miu che, con il suo programma Women Tales, vuole dare spazio, voce ed importanza alle donne nel mondo del cinema.
E, come dice Ciara stessa, non c’è cosa più potente di vivere liberamente, occupando il proprio spazio nel mondo e facendo sentire la propria voce.
Hai iniziato a recitare molto presto, ma ti viene in mente il tuo primo ricordo legato al cinema? C’è stato qualcosa che ti ha fatta innamorare di quel mondo, o è stata più esperienza graduale?
Sarò del tutto onesta e non ti darò una risposta molto romantica: è stata più una cosa graduale, un percorso lento ma regolare verso l’amore per l’industria del cinema. Ovviamente, adoro guardare film, ero ossessionata da – e non uso questa parola alla leggera – “Il Mago di Oz” e Judy Garland, da Dorothy in particolare, avevo le scarpette rosso rubino che mi piaceva indossare a scuola, e il mio costume di Dorothy. Quella è stata la prima volta in cui mi sono lasciata totalmente incantare da un film, ma non avevo idea che potesse essere una scelta lavorativa, non sapevo potesse essere un’opzione finché non mi si è presentata l’opportunità quando avevo 9 o 10 anni; all’inizio, pensavo solo che fosse una cosa divertente, qualcosa di nuovo da provare, e poi, a poco a poco, nel corso degli ultimi 12 anni, me ne sono innamorata, sfortunatamente [ride].
In generale, quando leggi una sceneggiatura, cosa ti fa dire di sì? Cosa cerchi in un personaggio che potresti interpretare?
All’inizio, quando leggo una sceneggiatura, prima ancor prima addentrarmi nella storia, mi piace capire chi è coinvolto, perché niente mi attira di più della prospettiva di lavorare per persone che siano appassionate a ciò che stiamo raccontando. Poi, per quanto riguarda i personaggi, a me piacciono le donne complesse, difettate; ritengo sia importante, soprattutto nei tempi in cui stiamo vivendo, con la lotta per l’uguaglianza e la diversità nel filmmaking che stiamo combattendo, cercare di mostrare un quadro verosimile e accurato degli esseri umani. Oltre a questo, apprezzo davvero una prospettiva che sia nuova ed interessante, soprattutto quando si tratta di film di genere: se riescono ad introdurre qualcosa di completamente nuovo nel mondo, ne sono sempre attratta perché farlo è difficile, è davvero difficile.
“A me piacciono le donne complesse, difettate”.
Come vivi la moda nella tua quotidianità? Svolge un ruolo importante nella tua vita? Dev’essere fondamentale per l’interpretazione di un personaggio, perché ti aiuta ad entrare nella giusta mentalità, probabilmente…
Temo di vivere una situazione di alti e bassi con la moda, ma provo un amore ed un rispetto profondo nei suoi confronti, perché credo sia una tra le forme d’arte più accessibili, e uno dei modi più semplici per esprimersi. A volte mi viene naturale, e mi elettrizza l’idea di svegliarmi e decidere che aspetto avrà la “felicità” nel mio armadio quel giorno, ma altre volte mi sento sopraffatta e frustrata, e l’unica cosa che ho voglia di fare è mettermi i pantaloni della tuta, ma anche quello è comfort, è trovare una maniera per sentirsi a proprio agio, a volte potente, a volte solo sé stessi, in pace. Amo la moda, mi fa paura e la amo.
Anche io!
Cosa significa per te “sentirsi a proprio agio nella propria pelle”?
Bella domanda… Quando mi sento a mio agio nella mia pelle, trovo più semplice interagire con le persone che mi circondano – credo che la paura degli altri diminuisca un po’, perché mi sento più forte e sicura di me; mi risulta più facile anche imporre dei limiti dove è necessario imporli, e trovare più gioia nella quotidianità, nelle piccole cose.
Miu Miu Women’s Tales è una piattaforma molto influente alla Mostra del Cinema di Venezia, dedicata alle donne nel cinema, alle attrici, alle registe: cosa ti fa sentire potente in questa industria, in contrasto con ciò che hai detto, invece, durante il panel, ovvero che in realtà, a volte, ti senti impotente?
Sì, come dicevo durante il panel, in quanto attrici è facile sentirsi impotenti, ma considerando la direzione in cui ho visto che l’industria si sta muovendo dai 10+ anni in cui ne faccio parte, ogni anno che passa mi sento più potente, ho la sensazione che ci sia più spazio su questa piattaforma per far sentire la propria voce ed è un risultato che, ad essere sincera, attribuisco alle altre donne nell’industria. È per questo che adoro ciò che Miu Miu sta facendo, per esempio, anche solo dare alle donne uno spazio per parlare, creare arte ed esistere senza rimorsi – questo genere di cose mi fa sentire potente.
“…uno spazio per parlare, creare arte ed esistere senza rimorsi – questo genere di cose mi fa sentire potente”.
C’è una regista con cui ti piacerebbe collaborare?
Ce ne sono alcune. Senza dubbio, Greta Gerwig è in cima alla lista, è una risposta banale, ma è banale per un motivo, ovvero perché lei è eccezionale, adoro il suo stile, adoro le storie che racconta, adoro il modo in cui le racconta. Sono anche una grande fan di Miranda July, che in realtà è il tramite che mi ha fatto conoscere le Miu Miu Women’s Tales: secondo me, lei è così pienamente sé stessa, e questa cosa mi affascina molto.
Hai anche detto che ti piacerebbe dirigere qualcosa, e magari anche produrla. Cosa ti fa venir voglia di farlo e che tipo di progetti ti piacerebbe produrre?
La regia e la produzione sono due aree che mi piacerebbe padroneggiare, considerate le mie competenze, e soprattutto grazie al fatto che sono cresciuta sul set, ho avuto l’opportunità di imparare da così tanti registi e produttori diversi. Mi piace anche l’idea di aiutare qualcuno a costruire un mondo e portare in vita una storia. Il motivo per cui amo il mio lavoro e ciò che mi procura la maggiore quantità di gioia è stare sul set e l’atto vero e proprio del recitare e raccontare storie. Il resto è solo la ciliegina sulla torta, osservare le reazioni della gente e vedere l’impatto che queste storie hanno, ma – e so che è una cosa un po’ egoista [ride] – la mia vera gioia è stare sul set, quindi mi piacerebbe vivere ogni singolo aspetto di quest’esperienza.
C’è un tipo di storia che ti piacerebbe raccontare, in particolare?
Ho 24 anni e mi sembra di essere nata ieri, mi sento un neonato [ride], quindi mi piacerebbe prendermi del tempo per imparare la vita e capire cosa voglio dire davvero, prima di tutto. Ci risentiamo tra un paio di anni a proposito!
“Cherry” mi è piaciuto tantissimo. È uno di quei film che ti rimane in testa per giorni. C’è una scena in cui tu e il personaggio di Tom Holland siete stesi sul letto e la sua voce fuori campo dice che tutto sta andando a rotoli, ma nonostante ciò lui avrebbe comunque deciso di andare avanti e continuare la loro storia. È una scena molto toccante, molto intensa, e io mi ci sono ritrovata tantissimo, perché a volte non hai idea di come possano andare a finire le cose in qualunque tipo di relazione. Com’è stato per te vivere personalmente queste emozioni attraverso il tuo personaggio?
È stato emotivamente estenuante e snervante, ma è in qui momenti che mi sono anche sentita fortunata di avere un partner come Tom Holland, qualcuno che sapevo avere sempre al mio fianco, che provava le stesse cose che stavo provando io e che era in un certo senso in grado di farti stare a galla quando sentivi che tutto stava diventando un po’ troppo da gestire, quando ti sembrava di affogare. Detto ciò, anche se è stata dura, lo rifarei senza pensarci due volte, è stato molto gratificante e, in quanto attrice, è stato molto bello avere la possibilità di andare in quei posti e raccontare quella storia nel modo in cui l’abbiamo raccontata. E poi, guardando il film, la sensazione che provi è frustrazione, è dura, vedi questo ragazzo e questa ragazza fare un errore così grosso, ma penso che sia quello che ha fatto funzionare il tutto, perché mostriamo le zone grigie della vita e quei momenti di cui tu, col senno di poi, riconosci l’impatto, ma lì per lì, quando li stai vivendo, percepisci solo la sofferenza a cui ti sottopongono – non per sembrare arrogante o insensata [ride]. È stato difficile da girare, è stato gratificante da girare, lo rifarei senza pensarci due volte.
Io rivedrei il film senza pensarci due volte! È stato uno dei miei preferiti dell’anno.
Durante il panel di Miu Miu, hai detto di essere andata in un centro di riabilitazione per fare ricerche più approfondite. Com’è stato indagare e costruire il tuo personaggio in questa maniera?
Credo che aver vissuto quell’esperienza e visitato quella struttura mi abbia sconvolto la vita. In America, è molto difficile trovare qualcuno che non sia mai stato colpito dall’epidemia degli oppiacei, me stessa inclusa, soprattutto se vieni dal Midwest, che in pratica era Ground Zero; detto ciò, comunque, mi ritengo molto fortunata a non aver avuto nessuna esperienza diretta di quel genere. Andare lì e parlare con queste persone è stato un bagno di umiltà, queste sono storie che non ti capita di sentire spesso, i dettagli intimi della battaglia di qualcuno contro la dipendenza, di solito ne vedi solo una versione filtrata attraverso l’esperienza cinematografica patinata di Hollywood; quindi, ascoltando in maniera veramente senza filtri le cose orribili che questa gente ha passato, ma anche sapere che hanno cercato di curarsi, e che si stanno facendo aiutare e che ora stanno meglio, è stato devastante ma, al tempo stesso, mi ha riempita di tanta speranza.
L’arco di sviluppo del tuo personaggio è incredibile, perché, all’inizio, sei una persona fredda, in un certo senso, ma così angelica, indossi il tuo nastro e cose così, e poi vieni risucchiata da questo mondo. È stato difficile subire tutti questi cambiamenti nel corso della storia?
Per me è stato un sogno, perché di solito ti viene offerto solo uno scorcio sul tuo personaggio per interpretarne la vita, ma i fratelli Russo, i nostri registi, hanno impostato il tutto in modo da agevolarci, abbiamo praticamente girato tre film – quattro per loro, tre per me; abbiamo iniziato con “Dope Life”, abbiamo girato tutte le scene di quel capitolo, e poi siamo passati alla fase in cui siamo sposati, quella dell’inizio della dipendenza, prima che diventasse troppo grave, e poi abbiamo concluso con “College Life”, la parte iniziale in cui ci conosciamo e ci innamoriamo. È stato fantastico procedere così, perché ci ha dato un sacco di tempo per prepararci mentalmente e fisicamente prima di iniziare a girare la parte più difficile, e così abbiamo anche avuto modo di conoscerci meglio, fino alla fine del film, quando abbiamo girato le scene dell’innamoramento – ci conoscevamo bene ormai, quindi potevamo svilupparle con un po’ più di chimica, il che era utile. È stato un modo fantastico di girare un film, mi è piaciuto tanto.
Sei anche appassionata di documentari: cosa ti affascina del genere?
Credo sia il fatto che mi espongano ad argomenti con cui di solito non avrei modo di confrontarmi, o di cui non saprei niente altrimenti. Sono un modo fantastico per imparare, direi. Mi piacciono quelli interessanti e coinvolgenti, anche le docu-serie crime su Netflix [ride].
“È stato un modo fantastico di girare un film, mi è piaciuto tanto”.
Hai un preferito o uno che ci consigli di guardare?
Quello sui Bee Gees [“The Bee Gees: How Can You Mend A Broken Heart”] è il primo che mi viene in mente, perché l’ho appena finito; anche “Il mio amico in fondo al mare”, ho pianto come un bambino, è bellissimo, parla di quest’uomo e del rapporto che instaura con un polpo nel corso di un anno e mezzo; adoro conoscere la vita di qualcosa che nessuno di noi ha modo di vedere nella quotidianità in maniera così intima, mi ha scombussolata emotivamente, e sono un po’ masochista, immagino, perché mi è piaciuto! [ride] Mi serve una buona ragione per piangere… È un gran bel documentario, se non l’avete visto.
La musica è un’altra tua passione. C’è una canzone che descrive questo momento della tua vita, oppure un pezzo che stai ascoltando spesso in questi giorni?
Domanda difficilissima… “Love and Happiness” di Al Green, quella è la mia preferita probabilmente, non so se descrive questo momento della mia vita, ma mi fa sentire molto felice.
Cosa puoi raccontarci di “Small Engine Repair”?
È un progetto molto speciale per me, le riprese sono cominciate all’inizio del 2019 – che sembra ieri, ma in realtà sono già passati due anni – con tre degli uomini più meravigliosi che io abbia mai incontrato in tutta la vita; è una storia molto speciale per me, tratta un argomento molto delicato, e lo affronta in maniera molto diretta, ci mette alla prova: l’argomento in questione è la mascolinità tossica, è così che interpreto il film in quanto donna; secondo me, la storia ci costringe a guardare dritto negli occhi la questione e a riflettere su come ci comportiamo nella nostra quotidianità, su come le nostre azioni condizionano le altre persone e come, spesso, sopportare cose che, lì per lì, reputiamo insignificanti, possa avere delle conseguenze. L’intento delle nostre azioni non è sempre così importante come crediamo, e l’impatto che le nostre azioni hanno sulle persone è altrettanto (se non più) importante.
Come hai lavorato al tuo personaggio?
Io interpreto Crystal, la figlia di Frank, che attraversa un periodo parecchio difficile. Mi ritengo fortunata, perché gran parte del personaggio era praticamente già scritto; personalmente, quando lavoro alla costruzione di un personaggio, mi piace scrivere un diario e chiedermi quale sia il suo ricordo più imbarazzante, o il più bello che ha, il suo cibo preferito, questi piccoli dettagli che ovviamente non verranno esplicitati nel film, ma mi aiutano a trasformarla in un personaggio realistico. Ciò che ho preferito immaginare, in particolare, è stato cosa potesse esserci nella cassettiera di Crystal, il tipo di vestiti che aveva, dove nascondeva i suoi gingilli o i suoi averi speciali; mi siedo e riempio pagine e pagine di questi dettagli e poi mi addentro nelle esperienze più drammatiche che ha vissuto, e ne parlo in maniera approfondita e dettagliata, e poi butto tutto via, così quando vado sul set, è tutto lì, ma senza sembrare forzato o innaturale in nessun modo.
Magari mi sbaglio, ma ho l’impressione che ogni volta che voi attori vi cimentate in un nuovo progetto e ci lavorate su, scoprite anche qualcosa di nuovo su voi stessi. Con questo progetto, hai scoperto qualcosa di nuovo su te stessa?
Sì, ho scoperto che quando mi arrabbio, inizio a parlare con un accento del New Hampshire [ride], ed è una cosa imbarazzante perché non sono neanche lontanamente di lì! Dopo aver girato la serie “Wayne”, che è in streaming su Amazon Prime Video US, e poi con questo progetto, che è molto simile, ho capito che è quella la personalità in cui mi trasformo quando mi arrabbio o me la prendo con qualcuno [ride], e mia sorella lo sa bene.
Qual è il tuo must-have sul set?
Sul set, ci sono due cose di cui non posso fare a meno: una è un giubbotto caldo, perché io ho sempre freddo, quindi mi serve sempre un giaccone, anche quando ci sono 60 gradi e il sole che splende, io sono sempre bella coperta; poi, io mi porto sempre dietro un thermos quando viaggio, quindi sul set ho sempre con me del caffè, così sto sempre calda e comoda.
Qual è il libro che consigli a tutti di leggere?
Dipende dalla persona con cui parlo e cosa piace leggere a lei o lui, di solito. Ho letto recentemente una raccolta di racconti brevi intitolata “Florida” di Lauren Groff, un bel libro, tutte le storie sono ambientate in Florida, e ne percepisci l’atmosfera quando le stai leggendo – ce n’è una in particolare che parla di due ragazze su un’isola che mi è piaciuta tantissimo, è stupenda. Mi piace anche consigliare alle persone “The White Album” di Joan Didion: adoro il suo punto di vista sul mondo, adoro il modo in cui ha scelto di vivere, è bellissimo. “Il Profumo”, se siete alla ricerca di un personaggio davvero disturbato e molto ben scritto… Non ho ancora visto il film tratto dal libro e ho paura di farlo, non voglio che me lo rovini.
Di cosa hai paura?
Di tutto… [ride] Ho paura di mettermi in imbarazzo, in effetti è la mia paura più grande, in tutta onestà. E poi, le profondità dell’oceano.
Qual è la tua isola felice, invece?
Mi piace essere circondata dalle pareti della mia camera da letto, e il mio letto, ma anche, se penso ad una situazione ideale, trovarmi su un’amaca nei boschi, nel mezzo di una bellissima area verde. È l’isola felice dei miei sogni.
Photos and Video by Johnny Carrano.
Thanks to Miu Miu.
Styling by Samantha McMillen.
Makeup by Lila Guéant.
Hair by Mariassunta Acri.