A pochi giorni dall’anteprima alla Festa del Cinema di Roma per presentare il suo nuovo progetto, Coco Rebecca Edogamhe, non smette di stupirci.
Il 26 ottobre esce su Netflix il suo ultimo progetto, proprio quello presentato al festival romano, diretto da Renato De Maria: “Rapiniamo il duce”, un action che l’ha spinta ben al di là dei confini della sua comfort zone.
Con un’umiltà e gentilezza mai scontate, Coco ci ha raccontato le difficoltà e le emozioni della vita sul set, sempre più intense e sempre più totalizzanti, da “Summertime” in poi. Interpretare una ladruncola nell’Italia del ’45, tra peripezie e capitomboli per recuperare il tesoro di Mussolini, è stata un’esperienza che le ha insegnato tanto: osservando i “grandi” all’opera, la “bambina” Coco è cresciuta, diventando perfino un’esperta di stunt.
I tempi in cui fantasticare di vivere nei film per lei sono evidentemente finiti: adesso Coco non finge più, e i suoi personaggi li incarna corpo e anima, abbandonandosi sempre ai “brividi delle prime volte”.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Non so se ho un primo ricordo specifico, però so che da piccola mi piaceva molto guardare i film a casa con i miei genitori, e mi immedesimavo sempre nello scenario della storia. Una volta finito, se per esempio era un film di spionaggio, facevo finta di essere una spia anche io, giocando con mia sorella [ride]. Immergermi nei film che vedevo, far finta di essere dei personaggi, è sempre stata una mia tendenza sin da piccola: appena vedevo qualcosa che mi affascinava, volevo subito imitarla, viaggiavo con la fantasia.
Di sicuro, il primissimo film che ho visto in sala è stato un cartone della Disney o della Dreamworks, forse “Nemo”.
Il tuo prossimo progetto in uscita è il film di Netflix “Rapiniamo il duce” di Renato De Maria, su un gruppo di ragazzi che tentano di sottrarre il leggendario tesoro di Mussolini, che pare avesse con sé durante il suo tentativo di fuga. Che reazione hai avuto quando hai letto questa sceneggiatura?
È stata una successione di eventi molto particolare. Il mio agente mi avvisò di questo progetto e io andai a fare il provino, perché mi intrigava moltissimo, era diverso da “Summertime”, quindi pensai che sarebbe stata sia una prova di recitazione sia una sfida con me stessa. Però, dopo aver fatto il provino, non seppi più niente a riguardo per molto tempo, fin quando, alla fine, venni a scoprire che non mi avevano presa. Ci rimasi molto male perché ci tenevo tantissimo a far parte del progetto. Per fortuna, riuscii a non pensarci troppo, perché nel mentre stavo ancora girando “Summertime”, quindi avevo la testa altrove, ero concentrata sul mio lavoro lì su quel set.
Ad ogni modo, quando avevo ormai perso le speranze, perché avevo capito che per quel progetto avevano scelto un’altra ragazza, mi ricontattarono, dicendomi che quest’attrice non avrebbe più fatto il film, e che quindi io avrei preso il suo posto. Inizialmente, ero sconvolta, e poi è successo tutto molto in fretta: mi sono ritrovata a dover fare le prove per un film di cui, sì, ricordavo la storia, ma a distanza di molti mesi avevo dimenticato i dettagli. Ho fatto una settimana di prove con gli stunt e poi sul set mi sono ritrovata ad interpretare un personaggio totalmente diverso da ciò a cui ero abituata, con un carattere molto lontano da Summer, in un contesto storico molto diverso, con persone che non conoscevo e che erano attori già affermati, che non avevo avuto modo di conoscere prima, perché loro avevano fatto le prime prove con la ragazza che aveva avuto la parte prima di me.
È stato molto strano, i primi giorni di set mi sentivo una bambina in un mondo di adulti e di grandi attori con tanta esperienza alle spalle, a differenza mia, che dovevo ancora entrare in quel loop e abituarmi all’idea che stavo incominciando a fare qualcosa di diverso e ad affermarmi in questo mondo. Però, è stata un’esperienza molto bella, mi sono trovata benissimo con i miei colleghi, e proprio per il fatto che si trattava di qualcosa di diverso per me, provavo costantemente quell’emozione, quel brivido della prima volta, e mi sono lasciata trasportare da tutte queste sensazioni.
“I primi giorni di set mi sentivo una bambina in un mondo di adulti e di grandi attori con tanta esperienza alle spalle, a differenza mia…”
Ti va di raccontarci qualcosa sul tuo personaggio? Che tipo di ricerche hai fatto e come ti sei preparata per svilupparlo?
Interpreto un personaggio secondario, in una storia ambientata nel 1945: faccio parte del gruppo che va alla ricerca del tesoro di Mussolini. È un film d’azione, per cui ho dovuto settare la mia mente su un genere completamente diverso rispetto a ciò che ho fatto in passato. Avendo avuto poco tempo, o quantomeno non quello che avrei voluto per prepararmi, il mio personaggio l’ho costruito un po’ sul momento, giorno per giorno, partendo dai costumi e dalla trama.
Io per fortuna sono una persona che ama tantissimo ascoltare e guardare gli altri, quindi stare su un set su cui c’erano attori e attrici con esperienze importanti alle spalle è stato molto utile, perché ho potuto “rubare” da loro, apprendere da loro un sacco di cose. Inoltre, ci ritrovavamo spesso anche fuori dal set, a cena per esempio, e anche solo sentirli parlare, conoscere il loro modo di vedere il mondo, mi ha arricchita tantissimo. È sempre molto interessante avere a che fare con gente che ti stimola, ed essere stimolato continuamente aiuta ad arricchire il tuo bagaglio personale, per poi dopo poterlo riversare nel tuo personaggio e utilizzarlo in scena.
Si tratta, come dicevi, di un genere notevolmente diverso rispetto ai tuoi lavori precedenti: di solito cosa ti spinge a dire di sì ad un nuovo progetto?
Forse un po’ l’istinto, quello che sento dentro, la curiosità.
È un po’ strana da descrivere questa sensazione che ho in mente, non è razionale, e dipende da un sacco di dettagli. Prima di tutto, da che tipo di progetto è, se si tratta di qualcosa che possa mettermi alla prova, che mi faccia venir voglia di mettermi in gioco e di superare i miei limiti ed uscire dalla mia comfort zone. Dicono che se una cosa ti fa paura, allora vuol dire che la devi fare, quindi, sai, all’inizio è sempre un po’ una scelta di pancia, per quanto mi riguarda. Forse, poi, crescendo ti fai anche un’idea più precisa su cosa ti piace e cosa non ti piace, ma io sono ancora agli inizi, sono giovane, quindi mi faccio guidare più dall’istinto. A volte ho ragione, a volte ho torto, però penso sia anche giusto concedersi di sbagliare, perché è così che si impara come affrontare e valutare le cose.
Qual è stata la scena più difficile e quella più divertente che hai girato?
La scena più difficile, proprio a livello fisico, è stata sicuramente una che ho girato insieme alla mia stunt, di cui però non voglio spoilerare troppo [ride]. Le più divertenti sono state quelle corali, in cui eravamo tutti insieme, perché ci sono dei personaggi molto divertenti e poi, essendo un film d’azione che però ha anche dei momenti comici, era impossibile non ridere e non lasciarsi coinvolgere.
Se quel tesoro di Mussolini (che pare avesse un valore complessivo di circa 610 miliardi di lire) lo ritrovassi tu, che cosa pensi ci faresti?
Oddio, bellissima domanda! [ride]
Se potessi, lo userei per procurarmi una macchina del tempo per vedere con i miei occhi e comprendere la situazione dell’epoca del film, e tutto quello che stavano vivendo gli Italiani durante quel periodo. Mi piacerebbe vedere dal vivo quello che stava succedendo, perché quello che studiamo sui libri di scuola sicuramente non è sufficiente, sarebbe tutta un’altra cosa poter vedere con i propri occhi quel tipo di vicende e di guerra e come ha cambiato il mondo, conoscere tutti i segreti che nascondevano le persone dell’epoca.
Recitare serve anche ad imparare a conoscersi: hai scoperto qualcosa di nuovo su te stessa durante tuo percorso fino ad ora?
Tantissime cose! Fare l’attore è un lavoro che ti costringe, per così dire, a fare una ricerca introspettiva molto profonda, anche quando magari a volte non vorresti. Recitando, acquisisci una sensibilità diversa nel tuo modo di vedere le cose.
“Fare l’attore è un lavoro che ti costringe, per così dire, a fare una ricerca introspettiva molto profonda, anche quando magari a volte non vorresti”.
Quando mi confronto con voi attori, mi rendo conto di come spesso abbiate una sensibilità maggiore rispetto alla media. Avete questa capacità di analizzare voi stessi e gli altri che è difficilissimo trovare nelle persone, e forse è proprio quest’arte che vi aiuta a svilupparla…
Sicuramente. Questo mestiere ti dà la possibilità di confrontarti con tante persone diverse, nuove o che conosci già, è sempre un po’ una “lavatrice” di cose, un continuo di emozioni, a volte è dura, però mettersi in dubbio, scavare nel profondo di te stesso per cercare qualcosa da dare al personaggio, anche quando ci sono delle aree di te che non vorresti esplorare o far vedere ad altre persone, diventano abilità che affini sempre di più con il tempo e con l’esperienza, che impari a controllare. È un processo molto complesso, ma quando inizi a capirne il meccanismo, ti dà tanto, e riesci ad esorcizzare delle cose tue, personali, che in altri modi non riusciresti ad affrontare, impari a metterti nei panni delle altre persone. Anche interpretare un personaggio che non c’entra niente con te ti dà una sensibilità di sicuro maggiore, però allo stesso tempo sono il tuo corpo e la tua anima che stanno incarnando quella personalità, ed è tutto parte di un gioco che ti insegna tanto.
Cosa, invece, di te non è mai cambiato e pensi che non cambierà mai?
Direi proprio la curiosità. Non la perderò mai.
Di solito, quando crei un personaggio, sei più razionale o istintiva?
Per adesso, il mio approccio ai personaggi è sempre un po’ istintivo, considerato che ho iniziato questo percorso senza aver mai studiato recitazione. Quindi, le basi che magari una formazione avrebbe potuto darmi, mi mancano: la mia scuola sono stati il set di “Summertime” e quello di “Rapiniamo il duce”. Io, comunque, di natura sono molto curiosa, vado sempre a guardarmi interviste con attrici e attori, registi, per capire che tipo di inquadrature fanno, che tecniche utilizzano, perché cerco sempre di imparare da persone che stimo, che mi affascinano e sono appassionate a questo lavoro.
Qual è il peggior consiglio e il miglior consiglio che ti abbiano mai dato?
Il peggior consiglio… Forse nessun consiglio! [ride] Il peggio è quando di consigli non me ne danno affatto, perché a me piace riceverne. Il miglior consiglio che abbia ricevuto, invece, è stato quello di non far finta, soprattutto in questo lavoro, in cui è facile far finta di provare le emozioni che si recitano. Recitare, invece, non dovrebbe essere finzione, le emozioni del personaggio devono essere vissute per davvero.
Chi o cosa ti ispira sul lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni?
Io mi faccio ispirare un po’ da tutti, nel senso che osservo molto e, banalmente, anche solo quando esco a fare una passeggiata e incrocio estranei e li vedo fare qualcosa che cattura la mia attenzione, quella per me diventa una fonte da cui posso prendere qualcosa. Poi, ascolto anche tantissima musica e sono una persona molto visiva, quindi mi lascio ispirare anche da foto e video; mi piace tanto parlare con gli amici, confrontarmi con persone più grandi di me che mi raccontano le loro esperienze di vita e come affrontano i momenti difficili.
Secondo me, si può prendere ispirazione da qualsiasi cosa.
“Non far finta”
Una canzone o un album che descrive questo preciso momento della tua vita?
Difficilissimo! [ride]
Ti dico che l’album che sto ascoltando tantissimo ultimamente è l’ultimo di Beyoncé, “Renaissance”. Non descrive a pieno come mi sento in questo periodo della mia vita, perché è un album molto forte, di rinascita, appunto, come dice il titolo, però mi aiuta a ricaricarmi, o a distrarmi da certe situazioni pesanti, mi fa sentire bene e a mio agio, lo ascolto quando ho voglia di ballare e di sentirmi un po’ più sicura di me, mi aiuta a sentirmi meglio.
Un epic fail sul set?
Ne ho avuti tantissimi, soprattutto il primo anno di “Summertime”! Iniziando questo lavoro da zero e ritrovandomi lì su un set nel ruolo della protagonista, in quel periodo mi sono sentita una pressione assurda addosso. Poi, io sono molto critica e severa con me stessa, quindi quando non riuscivo a fare qualcosa, mi arrabbiavo, perché volevo farcela a tutti i costi. Di epic fail, quindi, ce ne sono stati diversi, anche scene in cui avrei voluto raggiungere un certo stato emotivo, ma non ci riuscivo. Però, fa parte del gioco, del percorso, quando meno te lo aspetti succedono cose che vanno al di fuori dal tuo controllo, spesso non va come vorresti, però va bene così, capisci che non sei una macchina e che non sei invincibile, ed è giusto così.
Il tuo must-have sul set.
Porto sempre con me l’iPad e le cuffiette, oppure un libro o un quaderno su cui scrivere o disegnare, perché i momenti morti, le ore in camerino ad aspettare senza far niente, possono mandarti fuori di testa [ride]. Sul set ci si annoia molto facilmente, quindi quando non sto lavorando, vado a chiacchierare con i vari reparti, quello dei costumi, quello di trucco e capelli, oppure, se voglio stare per i fatti miei, mi metto a disegnare o ad ascoltare musica, faccio qualcosa che, anche se mi distrae, riesce a rilassarmi e non mi fa annoiare.
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Non mi viene in mente una cosa specifica, ma sicuramente è stato un atto di coraggio l’essermi messa alla prova ed essere riuscita a superare i miei limiti, cosa che spesso mi spaventa fare. A volte mi maledico, infatti, quando mi ritrovo a faticare tanto, però dopo mi guardo indietro e mi dico, “Wow, sono davvero riuscita a superare dei limiti che non pensavo di poter superare né fisicamente né mentalmente”. Però, quando realizzo di avercela fatta, capisco che posso spingermi fino a quel punto.
Di cosa hai paura invece?
Di tante cose! [ride] Di non riuscire a fare al meglio il mio lavoro, di essere giudicata, anche perché è un lavoro particolare. Poi, visto che certezze nella vita non ce ne sono, fa sempre tutto un po’ paura!
Il tuo più grande atto di ribellione?
Essere uscita dalla mia comfort zone, aver fatto cose che non avrei mai pensato di fare, a mostrare un po’ più di carattere in determinate situazioni e a farmi valere.
Cosa significa, per te, sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Significa riuscire ad accettarsi, che però non vuol dire amarsi e piacersi totalmente, ma significa essere consapevoli di avere dei difetti o delle cose che non ci piacciono di noi, e capire che non devono limitarci e impedirci di sentirci bene, ma che sono nostri compagni di viaggio.
L’ultima cosa o persona che ti ha fatto sorridere?
È molto facile farmi sorridere. Però, direi mia sorella e i miei amici. Passare del tempo di qualità con persone che mi fanno stare bene mi ricarica sempre.
La tua isola felice?
Sai che forse devo ancora individuarla?
In realtà, io amo il mare, qualsiasi mare mi fa stare benissimo. Quest’estate sono stata in Sicilia, a Pantelleria, in Sardegna, e mi sono piaciute tutte tantissimo, ma direi che qualunque posto ti trasmetta serenità è un’isola felice, è la tua isola.
Photos by Johnny Carrano.
Styling by Vanessa Bozzacchi and Sara Castelli Gattinara.
Total Look: DESQUARED2
Jewels: Pomellato
Thanks to Other srl