Venezia 75 è stata importante per molti motivi, ma uno dei principali è stato il ritorno di Orson Welles con “The Other Side of the Wind”!
Mentre era in vita il grande regista non ha avuto un rapporto felice con la Mostra di Venezia, dopo che il suo “Otello” è stato distrutto dalla critica, mentre oggi viene acclamato come uno dei più grandi di sempre proprio nelle stesse sale in cui era stato additato come sopravvalutato.
Sulla restaurazione del film è stato creato anche un documentario, presentato sempre a Venezia 75, dall’importante titolo “They’ll Love Me When I’m Dead”, disponibile dal 2 novembre su Netflix.
Fra coloro che hanno lavorato a questo progetto troviamo Daniel Wohl, compositore e sound designer, che ci ha parlato del suo mondo, di come si sta evolvendo l’universo sonoro nel cineme e di come sia per lui relazionarsi con grandi nomi del cinema.
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Il film è incentrato sull’ultimo lavoro di Orson Welles. Il tuo lavoro per questo film è stato influenzato dalla colonna sonora di Michel Legrand, il compositore delle musiche di “L’altro lato del vento”, 3 volte premio Oscar e Parigino come te?
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Sono un fan del lavoro di Michel Legrand, soprattutto di quello che ha fatto per “F come falso”. Ho evitato ogni richiamo diretto alle sue colonne sonore per i film di Welles, ma forse ci sono comunque alcune similitudini ispirate alle immagini dei suoi film.
Morgan [Neville, il regista ndr] ha un grande interesse e delle idee specifiche per quanto riguarda la musica: il suo approccio è molto consenziente e sensibile. Un’influenza importante è data dai primi anni di musica elettronica, in particolare modo dalla musique concrète di Pierre Schaeffer, il quale usa campioni registrati di tutti i giorni e ricerca suoni musicali. Allo stesso modo, i sintetizzatori analogici figurano in abbondanza nella colonna sonora. Inoltre, una fonte di ispirazioni per gran parte della mia musica è stato trovare un modo per affiancare e mescolare questi suoni elettronici con quelli degli strumenti acustici, in particolare modo degli strumenti a fiato e a corda.
Tutti questi materiali diversi hanno dato vita a una colonna sonora piuttosto eclettica. Specifici elementi e strumenti musicali vengono utilizzati per rappresentare i diversi aspetti del carattere eclettico di Orson. Il suo humour e la sua giocosità vengono resi con gli strumenti a fiato come il fagotto e il clarinetto, mentre l’impeto del suo processo creativo viene comunicato tramite il crescendo dei rapidi arpeggi del sintetizzatore. Ogni tanto si sente uno stile di produzione sfuocato o crudo per rievocare l’era pre-digital di Welles.
Lo stile musicale, i mix e l’approccio specifico per ogni indizio variano notevolmente lungo il film.
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A quale compositore ti ispiri di più?
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Ci sono molti compositori che mi hanno ispirato. Ho studiato con David Land, e recentemente ho collaborato con lui ad una composizione. La sua musica è sia disciplinata che intuitiva allo stesso tempo. È molto facile da ascoltare ma diventa sempre più interessante man mano che la ascolti. È concettuale senza essere pretenziosa, il che è incredibile.
Debussy è stato il mio primo amore musicale. Sono andato a scuola a Saint-Germain-en-Laye, il suo luogo di nascita, e scoprendo i suoi pezzi per pianoforte piuttosto presto ho capito di voler diventare un compositore.
Compositori come Ligeti, Penderecki e Xenakis o Reich, Riley e Glass mi hanno influenzato molto allo stesso modo.
E poi c’è la musica elettronica, importantissima durante i miei anni a Parigi, mi ha influenzato molto. Quando lavoro ad un progetto il mio approccio è a metà strada tra quello di un compositore classico e di un produttore di musica elettronica.
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Senza alcun dubbio, Welles è stato un genio totale. È stato uno dei registi più all’avanguardia e importanti di sempre. Secondo te, chi ha preso le sue redini? E invece, chi sono i geni musicali del passato e di oggi?
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Alcuni dei miei registi preferiti sono italiani, come Paolo Sorrentino e Luca Guadagnino, due dei miei preferiti, ma non direi che hanno preso le redini del lavoro di Orson Welles, perché il loro stile e lignaggio sono totalmente diversi.
Alcuni punti di forza del lavoro di Welles sono la narrativa non lineare e gli angoli o gli effetti resi con la camera in maniera inusuale. Amo questi elementi nel lavoro di Michel Gondry, forse lui è quello che più richiama qualcosa dell’estetica avanguardista di Welles.
Dei geni musicali del passato e del presente e al cui lavoro mi rifaccio spesso sono ad esempio Messiaen, Johann Johannsen e Oneohtrix Point Never. Tutti questi compositori usano il colore e il timbro in modi molto diversi e innovativi, il che è una priorità per me nella mia musica.
“Colore e timbro usati in modi molto diversi e innovativi,
è una priorità per me nella mia musica”.
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Il tuo stile è interessante perché mescola la tradizione acustica con quella elettronica. Pensi che il futuro della musica verrà monopolizzato dai suoni elettrici o ci sarà comunque spazio per i suoni orchestrali?
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Penso che certi suoni siano eterni, come quello del piano o degli strumenti a corda. Sono suoni speciali perché complessi, ricchi e prodotti in modo acustico. C’è una gran precisione nel crine di un arco su una corda o nel feltro di un martelletto che colpisce una stringa nel caso del piano. Nonostante queste componenti siano la parte più alta del suono generale, fanno una grande differenza nel modo in cui li percepiamo.
Anche la psicologia inerente ai suoni acustici è qualcosa che mi sorprende sempre: le nostre associazioni culturali con un fagotto o oboe sono completamente diverse dalle nostre associazioni con un sintetizzatore. Non penso che gli strumenti acustici verranno sostituiti a breve finché serviranno a dar vita ad emozioni diverse da quelle dei suoni elettronici.
“C’è una gran precisione nel crine di un arco su una corda o nel feltro di un martelletto che colpisce una stringa nel caso del piano”.
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Qual è secondo te il futuro del sound design?
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Penso spesso che il sound design e la musica si fondano insieme. Sento che anche alcuni dei miei pezzi potrebbe quasi essere sentiti come rumori. Il futuro del sound design è probabilmente un suono iper-reale, intricato, palpabile e spaziale al di là delle capacità di stereo o dei sistemi 5,1.
Molte persone stanno lavorando sul suono in realtà virtuale in modo che quando si esplora uno spazio virtuale il suono si muova in base alla loro posizione.
L’audio spazializzato ha una lunga storia nella musica elettronica sperimentale e accademica, il pezzo di Varése “Poème électronique” è stato realizzato con un sistema di oltre 300 altoparlanti nel 1958 e ci sono un sacco di compositori che lavorano ancora seguendo questa tradizione. Ma penso che queste idee e tecniche giocheranno un ruolo più importante nel sound design mainstream del futuro.
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Orson Welles ha avuto un rapporto difficile con il Festival del Cinema di Venezia dopo il flop del suo “Otello”, e il titolo del tuo documentario rende ancora più sensata la premiere proprio qui a Venezia. Durante gli ultimi anni, hai lavorato anche alla produzione di “Madre!” di Aronofsky, che è stato criticato alla sua presentazione a Venezia.
Perché credi sia successo? E pensi che potrebbe essere rivalutato in futuro?
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“Madre!” è stato un progetto interessante. Ho lavorato su questo film per un po’ con il grande Johann Johannsson. Mi aveva mandato alcuni spunti sui cui stava lavorando per aggiungere strati o texture, ecc.
A metà strada Johann ha convinto Aronofsky a non avere alcuna colonna sonora, per ottenere una resa migliore del film. Posso dire però che la musica su cui Johann stava lavorando era meravigliosa, ma sembrava invece che ciò che il film richiedesse fosse la totale assenza di musica e la presenza del solo sound design.
Ho pensato che la decisione fosse valida e che il silenzio si integrasse effettivamente molto meglio al dramma del film.
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Cosa ci può dire della nuova serie TV “Project Blue Book”?
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È basato sui retroscena del lavoro di un medico, Allen Hynek, che era stato assunto dal governo americano per verificare gli avvistamenti UFO come parte di un programma di aeronautica chiamato Project Sign, creato nel 1948. Il suo compito era quello di studiare i rapporti sugli UFO e giudicarne la legittimità.
Per i primi anni, Hynek pensava che la maggior parte dei rapporti fossero solo un’errata identificazione di cose comuni come aerei o stelle cadenti, ma le opinioni di Hynek sugli UFO cominciarono a cambiare nel corso dei decenni, decidendo che alcuni rapporti mostrassero prove autentiche di oggetti estranei.
Hynek ha avuto una storia interessante in prima persona con il film. Era sul set con Spielberg per “Incontro del terzo tipo” e Spielberg ha in parte basato la sua idea per il film sulla ricerca di Hynek.
Bob Zemeckis, produttore esecutivo di “Project Blue Book”, è stato un pupillo di Spielberg e naturalmente ha scritto “Contact“, che è un film che ho sempre amato. La storia e le ispirazioni sono interessanti, è emozionante essere parte di questo mondo.
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Come hai detto, la serie TV vedrà come produttore esecutivo Robert Zemeckis, che ha lavorato con alcuni dei più grandi nomi nel campo delle colonne sonore. Com’è stato lavorare con un’istituzione simile?
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È un onore lavorare a un progetto prodotto da Bob Zemeckis. I suoi film sono stati parte della mia infanzia quindi è stato un po’ surreale essere dall’altro lato dello schermo ora. È stato di grande aiuto per il nostro lavoro per “Project Blue Book”. La colonna sonora di questa serie TV è un mix interessante tra horror e sci-fi. Ci sono un sacco di archi dissonanti, cluster, effetti graffianti, e altre tecniche insolite con gli archi con ulteriori editing ed elaborati effetti per di più. Sono davvero contento di come sia venuto e non vedo l’ora che esca!