Abbiamo intervistato Donald due volte su The Italian Rêve: la prima quando era stato nominato ai BAFTA per il suo lavoro in “Blade Runner 2049” mentre, la seconda volta invece, per il suo magistrale lavoro (ancora una volta), per “First Man – Il primo uomo”. Quest’uomo insomma, non smette mai di stupirci e, con il suo lavoro di head makeup designer, ci ha travolti anche con il suo ultimo film “Dune”.
Ma con Donald non si tratta mai solo di un’intervista: con lui si parla anche di pause, riflessioni, della bellezza di farcela e della paura di non farcela, delle avventure che vive e delle difficoltà che può incontrare. Per non parlare del fatto che Donald è sempre stato ed è un grande mentore, aiutando la nuova generazione di makeup designer del mondo del cinema a trovare la propria strada, condividendo preziosi spunti che non vengono solitamente e facilmente divulgati.
Questa volta, ci siamo concentrati sul suo lavoro svolto in “Dune”, l’ultimo film di Denis Villeneuve (“Arrival”, “Prisoners”) che sta conquistando tutto il mondo. Ed è proprio qui che insieme a Villeneuve, con cui ha collaborato moltissimo in passato, con un cast meraviglioso e un team unico, Donald ha trovato l’ispirazione, la forza e le idee per inserirsi in un tassello che ha reso tutto, semplicemente, perfetto.
L’ultima volta che ci siamo visti, a Los Angeles, abbiamo parlato di “Dune”, e tu mi hai detto che era qualcosa di “ENORME”. Com’è stato tornare a lavorare con Denis Villeneuve e con questo enorme cast?
È stato incredibile, non riesco a credere di aver fatto una cosa simile. Ho quasi la sensazione di essere stato folgorato, come se gli dei, o chiunque ci sia là fuori, mi avessero detto: “Fallo, andrà benissimo”.
Io sono convinto che Denis sia magico, lavorare con lui, Patrice [Vermette], i costumisti, i meravigliosi Bob Morgan e Jacqueline West, con Greig Fraser, il direttore della fotografia, e Joe Walker, il montatore… È stato come quando hai la sensazione che tutto sia perfetto. E non succede molto spesso, nemmeno nei progetti più belli. Gergley [Galisz] e Paul Lambert erano i curatori degli effetti speciali, e anche loro sono miei amici, il che ha fatto una grande differenza, mi piacevano tanto i miei colleghi. Abbiamo lavorato sodo per “Dune”, ne sono molto orgoglioso.
Abbiamo finito la produzione nell’agosto di due anni fa, nel 2019, e in quel momento mi sentivo molto diverso rispetto a come mi sento adesso, a causa del Covid – mi sorprende che non siamo impazziti tutti, mi sorprende che abbiamo tutti fatto del nostro meglio, almeno tutti quelli che conosco – e, per quanto mi riguarda, credo che “Dune” abbia segnato la mia grande transizione, perché il primo anno che sono tornato al lavoro, quando non stavo bene, era il 2018, e “Dune” mi ha aiutato a tornare in me. Ero molto depresso, malato, insoddisfatto di tante cose, quindi “Dune” mi ha fatto tornare in me creativamente e mi ha fatto pensare: “Wow, sono fortunato ad avere questa seconda opportunità e occuparmi di questo progetto enorme e sicuramente stressante”; molti dicono che bisognerebbe evitare le situazioni stressanti, ma io vivo di stress! Ora, a distanza di due anni, riconosco che è stata una grande conquista: molta gente mi chiedeva: “Sicuro di voler accettare un lavoro così impegnativo?”, ma io sono contento di averlo fatto.
Credo sia stato un passo importante per me.
I personaggi sono tutti così diversi l’uno dall’altro, e immagino tu abbia lavorato insieme a Villeneuve per capire come modellarli. Com’è stato per te creare così tanti personaggi diversi? C’è qualcosa che hai aggiunto tu, personalmente, al processo creativo?
Premetto che lavorare con Denis è un po’ diverso rispetto al lavorare con altre persone, perché il rapporto che abbiamo ora è speciale, io so che lui mi manderà un sacco di immagini di riferimento, quelle che manda anche a costumisti e scenografi, quindi ci ritroviamo tutti catapultati nella stessa atmosfera, ci troviamo nello stesso mondo sin da subito. Quindi, lui mi manda idee, com’è stato per i Sardaukar, per le Bene Gesserit, Charlotte Rampling, per gli Harkonnen, ma all’inizio è tutto molto generico e variabile, iniziamo con una sola grande idea. Siamo partiti da subito con la famiglia, con Timmy [Timothée Chalamet], Rebecca [Ferguson], Josh Brolin, Oscar Isaac, e chi sono nel loro mondo. Il personaggio di Rebecca è bellissimo, è una concubina, giovane per essere la moglie del duca e anche per essere la madre di Timothée Chalamet, ma in realtà, avrebbe l’età perfetta; quindi, per farla sembrare vera, autentica, bella, eterea, naturale, ma allo stesso tempo chiedersi, guardandola, “possibile che sia la madre di Timothée Chalamet?”, abbiamo dovuto lavorarci su con molta cura. Io dovevo farle un trucco e acconciature che larendessero un po’ più statuaria, perfetta, un po’ più Grace Kelly, era quella l’idea che avevo per lei. Per esempio, quando indossa la tuta distillante, sembra molto più giovane, una ragazzina: è in forma, combatte, mentre il duca abbiamo dovuto invecchiarlo, e curargli la barba. Dunque, con Denis abbiamo discusso di ogni personaggio e quello che avrei potuto creare, ed è una cosa che faccio sempre con Denis, inizio in ufficio, con le immagini di ogni attore, e creo un file: raggruppo riferimenti da riviste di moda, antropologia, film, ritagli vari, video, e creo un file, componendolo come fosse un puzzle.
Proprio come fosse una rivista di moda.
Per esempio, la cicatrice di Josh Brolin, non sapevo dove collocarla. Avevamo immagini di un giocatore di hockey coinvolto in un brutto incidente durante il quale uno skateboard lo ha colpito dritto in faccia, poi abbiamo provato a vedere come gli stessero i capelli biondo platino, tutto con Photoshop. Quando ho incontrato Denis per il nostro primo o secondo incontro, gli ho mostrato tutto quello che avevo. Riesco a distinguere quando mi crede fuori di testa, e quando pensa, “Ho capito, dimmi di più”, poi a volte mi dice, “Raccogliamo le idee”, ma ci sono anche volte in cui so che le mie idee non gli piaceranno mai e poi mai. Quando gli mostrai la mia prima idea di makeup per Javier Bardem, per esempio, mi disse che sembrava “I Pirati dei Caraibi”, perché gli avevamo messo capelli lunghi, barba e eyeliner; lui disse, “L’eyeliner va bene, ma dobbiamo pensare ad un look diverso”. Quindi, una volta pronti i costumi meravigliosi di Jackie and Bob, così mediorientali, io gli ho fatto questo trucco scuro, la matita nera e i tatuaggi, e allora era perfetto, Denis l’ha adorato. È tutto parte di un processo. Inoltre, per alcuni dei personaggi, non abbiamo fatto la prova camera, come Javier Bardem e Chen Chang ad esempio: loro arrivano sul set, gli fai trucco e capelli, gli metti il costume, e iniziano le riprese. Con Javier Bardem, sono riuscito a fargli una prova il giorno prima, con Zendaya invece, nessuna prova, solo una telefonata, una fotografia, e un “Ci vediamo domattina!”. [ride]
“…è una cosa che faccio spesso con Denis […], creo un file, componendolo come fosse un puzzle”.
Com’è andata con Stellan Skarsgård invece? Mi pare che abbia detto che ci sono volute 8 ore per realizzare il suo trucco!
5 ore e mezza in realtà… [ride]
Denis e io ne discutemmo molto, non sapevamo a che azienda affidarci, che tipo di trucco fargli, eccetera, ma lui voleva che me ne ho occupassi io, così come del concept principale. Quando seppi chi sarebbe stato l’attore, iniziai a farmi qualche idea, avevo alcuni nomi in mente, dato che sarebbe stato compito mio assumere una squadra che si occupasse di quel tipo di trucco, perché avremmo dovuto creare una tuta di grasso. Incontrai Tanya [Lapointe] e Denis a Santa Monica, un giorno, per decidere alcune cose, e lui allora mi disse, “Devi prenderla come un esperimento, potrebbe funzionare oppure no, ma io mi fido di te, fatti venire qualche idea”, e io gli dissi, “Io il Barone lo immagino come Marlon Brando in due film: ‘Apocalypse Now’ e ‘L’isola perduta’, dove ha quel trucco bianco: questa è la mia idea. Altri riferimenti che avevo erano il Cardinale Richelieu della Nuova Francia in Quebec, da dove veniamo sia io sia Denis, quindi sapevo che avrebbe colto il riferimento, e un paio di personaggi dei cartoni animati. Pensai che fossero idee interessanti, quindi ci mettemmo al lavoro. Il primo concept che preparai per Denis era, come lo chiamò lui, “un uomo-gorilla”, un uomo con un grosso petto, una grossa faccia e un grosso collo, ma doveva fare paura, e a volte il grasso fa ridere, come dissi a Denis: “Potrebbe venir fuori ridicolo, quindi dobbiamo stare molto attenti ed essere rispettosi, non deve risultare offensivo per chi è in sovrappeso”, perché non c’è niente di male ad essere grassi, infatti siamo stati molto attenti in quel senso; allora, gli dissi: “Proviamo”.
Prendemmo in considerazione un paio di idee e poi io ebbi un’epifania: “i miei amici Love Larson e Eva Von Bahr, con cui ho già lavorato, si trovano in Svezia, conoscono Stellan, hanno un laboratorio di makeup in Svezia, io sarò a Budapest, è perfetto”; quindi, li chiamai, li proposi allo studio, non sono makeup artist molto conosciuti, ma sono fenomenali e lavorano spesso con me, quindi cercai di promuoverli, e riuscii a convincere Joe Caracciolo, Denis e la Legendary. All’improvviso, mi venne un grosso nodo in gola, pensai, “Oddio, cosa ho fatto?” e anche Love disse, “Oddio, cosa hai fatto? Ho un nodo in gola”, e decidemmo di iniziare a preparare il tutto. Ci sentivamo ogni giorno, una volta alla settimana preparavamo un concept e io lo mandavo a Denis; lui, una delle prime volte, ci disse, “Devo dire che il primo concept mi ha dato l’impressione che siate tutti un po’ nervosi, forse non funzionerà”, e lì iniziammo a spaventarci, ma io dissi, “è un dolore che cresce, un singhiozzo”. Sistemammo rapidamente quello che non funzionava e, man mano che andavamo avanti, dissi, “Chiamiamo Stellan, facciamo un live cast”. Avevamo già iniziato a girare, ma per fortuna le scene di Stellan erano le ultime in programma, quindi avemmo parecchie settimane per preparare il tutto. Love, Eva e altre quattro o cinque persone iniziarono a scolpire i modelli, fecero il live cast, una prova trucco su Stellan, me la mandarono, la studiammo insieme, facemmo alcune modifiche prima di mandarla a Denis, poi la mostrammo a Herbert [W. Gains] e a tutti quelli della Legendary, e la adorarono. Poi, portammo Love in Svezia, facemmo una prova con una controfigura, ci raggiunsero Eva e l’intera squadra, e facemmo una prova trucco su Stellan davanti alla telecamera, per mandare il video a Greig Fraser, il direttore della fotografia…
… e il resto è storia.
Ottimo lavoro, davvero!
Qual è stata la sfida più grande o il personaggio più difficile da concepire, dal punto di vista del makeup?
È buffo, verrebbe spontaneo dire il Barone, e da alcuni punti di vista è stato lui, ma il fatto è che, con il Barone, si sa che è trucco, tutti lo sanno, e poi è praticamente nudo, e il suo look comprende tanti elementi diversi, e siamo stati in tanti a lavorarci su, in cinque. Ci abbiamo messo cinque/sei giorni in totale.
Avevo un team di artisti fenomenali, ci terrei a menzionarli tutti, se possibile: Jo Mac Neil, la mia key makeup artist, Rocky Faulkner, il mio makeup artist degli effetti speciali, Cheryl Daniels, il capo degli hairstylist, Jennifer Stanfield, che si è occupata del trucco e dei capelli di Jason Mamoa, Ama Arful, Kata Husza, Balasz Silk, Kornel Hidas, i miei hairstylist, la troupe che si è occupata del trucco del Barone e, per le sequenze con tante comparse, gli altri makeup artist, responsabili del trucco prostetico, e ancora hairstylist provenienti da Europa, Regno Unito, Stati Uniti e Canada; poi, ovviamente, Love Larson (il designer del Barone), Eva Von Bahr (la key makeup artist del Barone), più la loro troupe, Oskar Wallroth, Mathias Tobiasson, Hannah Holm, i nostri tantissimi fornitori, e Charlotte di Paul Edmonds London. Inoltre, ringrazio la troupe che ci ha aiutati con le scene extra durante il periodo più brutto della pandemia… Così tante persone mi hanno aiutato a fare una buona impressione, così tante persone sono venute anche solo per due settimane a dare una mano.
I trucchi più difficili sono stati quelli degli Harkonnen, di Dave Bautista e di David Dastmalchian, perché dovevano tutti essere calvi e bianchi, senza sopracciglia. È stato un lavoraccio. Dave Dastmalchian avrebbe dovuto rasarsi completamente, ma ecco com’è andata davvero: avrebbe dovuto rasarsi a zero e forse tagliarsi anche le sopracciglia, ma io gli dissi, “No no no, possiamo coprire le sopracciglia col trucco, con una protesi”, ma lui poi avrebbe dovuto girare un altro film, “The Suicide Squad”, quindi non poteva rasarsi a zero, e noi avremmo dovuto creargli una calotta calva, allora dovetti andare da Denis e spiegargli che non potevamo tagliargli i capelli, quindi quell’opzione fu eliminata. Dave Bautista invece non ha praticamente mai capelli, quindi con lui siamo stati più fortunati, ma il fatto è che ha un aspetto così possente, e ha fatto un sacco di film in cui era molto truccato, come “Guardiani della Galassia”, quindi ho pensato, “e se lo rendessi quasi bello, stiloso?”; infatti penso abbia quasi un bell’aspetto, con il viso e le sopracciglia chiarissime, mi ricorda un po’ l’opera “Mefisto”, è teatrale, liscio e perfetto, quindi con lui abbiamo lavorato in questo modo. Gli Harkonnen sono tutti un po’ diversi tra loro: Dave Dastmalchian indossa una calotta calva e protesi per coprire le sopracciglia, mentre Dave Bautista ha le protesi per le sopracciglia ma niente calotta (gli abbiamo rasato i capelli). È stato il loro trucco la sfida più grande, il lavoro per cui ho avuto bisogno del maggior numero di makeup artist, perché avevamo così tanti sfondi e comparse.
“Avevo un team di artisti fenomenali…”
Ti piace lavorare agli sci-fi? Abbiamo già parlato del fatto che ti occupi spesso di film realistici e che ti piace molto, film in cui il trucco non ha un ruolo da protagonista, pur restando fondamentale, anche se molti non se ne rendono conto, perché è impercettibile; poi, però, hai lavorato a questo film, che è completamente diverso, ma è stato super divertente, vero?
Lo è stato! Un tempo, mi piaceva pensare che avrei voluto lavorare a film in costume, ma ora, più vedo film in costume, più mi rendo conto di quanto sia meraviglioso quello che fanno, ricreano le epoche in maniera straordinaria. L’anno scorso, mi è piaciuto tantissimo “Pinocchio”, adoro il lavoro che hanno fatto, ciò che ha fatto Mark Coulier, ogni singolo trucco, costume, acconciatura, il piccolo Pinocchio, è incredibile, tutto quanto – il modo in cui l’epoca è stata ricreata, il trucco prostetico, aveva tutto al posto giusto, quindi, per me è stato il makeup film perfetto, non avevo mai visto un makeup del genere in un film. Ora, tornando a “Dune”, il mio pensiero è stato, “Wow, non avevo mai considerato il genere sci-fi”, ma è buffo perché quando ero giovane mi piaceva la fantascienza, adoravo Margaret Atwood, e lei è un’autrice di sci-fi, “Occhio di gatto”, “Il racconto dell’ancella”, amavo tutti i suoi libri; poi, ho pensato, “Magari, di lì posso pescare qualcosa per ‘Dune’”, perché adoro basarmi sulle ispirazioni: c’è un po’ di Medioevo, un po’ di futurismo, e prende in prestito molto anche dalle storie in costume, è un po’ futuristico e moderno, adoro il genere.
“Dune” affronta anche varie tematiche importanti e molto attuali, come il cambiamento climatico. Secondo te, quale è il ruolo che questo racconto così potente ed eloquente riveste nella nostra realtà, non solo dal punto di vista letterario, ma anche considerando l’emergenza climatica che stiamo tutti vivendo?
Secondo me, ci siamo dentro da molto tempo, e non sono un esperto, io mi occupo semplicemente di makeup, ma, guarda, secondo me siamo tutti responsabili, dobbiamo tutti dare una mano, ed informarci, ascoltare gli esperti, gli scienziati e gli specialisti.
Per quanto riguarda “Dune”, quando ero lì, ricordo di aver pensato, “Abbiamo parlato di tutto”, della crisi del petrolio, la carenza di acqua, una situazione che noi conosciamo bene – io vivo in California, e capisco benissimo – così come la carenza d’acqua dolce. In un posto come il Canada, non capisco come sia possibile che certe persone in certe comunità non abbiano acqua dolce, ma siamo tutti responsabili di questa situazione. Io sono originario del Canada, che è al secondo posto tra i Paesi più grandi più ricchi di risorse a livello mondiale, e lì ancora oggi esiste il problema della carenza di acqua potabile per gli indigeni, è un dato di fatto e lo è stato per molti anni. Penso che “Dune” comunichi un messaggio molto importante. Quando ero preoccupato per la mia sicurezza durante le riprese – perché mi è successo, dopo il Covid, di preoccuparmi per la mia sicurezza sul set –, ho detto a uno dei miei assistenti, “Dovresti guardare un film di John Schlesinger che si chiama ‘Il giorno della locusta’, e lui mi ha detto, ‘Non l’ho mai sentito’, e io, ‘Non è vecchissimo, è del 1975, ma penso tu debba guardarlo, perché parla di quanto sia pericoloso girare film, di quanto il nostro lavoro sia pericoloso, e di come spesso non diamo retta a chi ci dice di stare attenti’-”.
Secondo me, qualsiasi film che trasmette un messaggio di avvertimento e narra una storia su qualcosa di terribile, come il Covid, la lotta contro le infezioni, la povertà, le poche persone che possiedono acqua e aria pulita – ed è di questo che parla “Dune”, no? – fa paura, in un certo senso.
“Abbiamo parlato di tutto”.
Sì, e noi stessi abbiamo vissuto in una specie di film nell’ultimo anno e mezzo, quindi…
Esatto. Quando tutto è iniziato, pensavo sarebbe durata sei mesi, che poi sono diventati un annetto… Quando ho ripreso a lavorare, è stato perché avevamo qualche altra piccola scena extra per “Dune” da girare, un anno dopo aver terminato la produzione, a luglio del 2020: siamo tornati sul set con mascherine, visori, e ci siamo messi al lavoro. Devo ammettere che è stato molto difficile ricreare tutti i personaggi con parrucche e barbe, Oscar Isaac e Josh Brolin sono tornati con barba e capelli corti, quindi abbiamo dovuto ricreare i look. È stato un lavoraccio, ma sono stato felicissimo di rivedere tutti quanti, è stato un bel modo per ritrovarci. Poi, però, il film è stato rimandato in continuazione, per DUE anni.
Sono convinto che abbiamo tutti bisogno di una bella pausa, tutti noi che non ci siamo arresi, solo per non esserci arresi, abbiamo fatto qualcosa di davvero straordinario. Allo stesso tempo, se per noi è stata dura, per tante altre persone è stata ancora più dura, infatti mi guardo allo specchio e mi dico, “Io ho lavorato, non sono morto di fame, non sono stato cacciato di casa”, quindi vorrei semplicemente ricordare alle persone che non è andata così per tutti quanti. Il Covid mi ha fatto infuriare, perché ho capito subito, e sapevo che sarebbe successa una cosa del genere, che la gente che soffre di più nella vita avrebbe sofferto di più anche in questa situazione, i poveri, i diseredati, i malati, gli anziani, e i giovani in età scolare, che non vanno a scuola ma devono continuare a pagare la retta. Abbiamo sofferto tutti, ma quello che mi dà più fastidio è che ad alcune persone invece è andata bene, le aziende farmaceutiche, quelle che hanno prodotto i test anti-Covid, a loro è andata benissimo! Questa cosa mi fa infuriare, e devo ammettere che, quando sono tornato a lavoro, gli esperti anti-Covid sul set non mi hanno mai dato l’impressione di essere lì per la nostra sicurezza, erano lì solo per tenersi stretto il lavoro; nessuno si è preoccupato di noi, e ci tengo a dirlo perché, oltre alle nostre riprese extra per “Dune”, ci sono stati molti altri progetti a cui ho partecipato e in cui non mi sono sentito sicuro, in cui ho avuto l’impressione che a loro non importasse di quello che avrebbe potuto capitarci. Ero molto turbato, perché ho fatto moltissime cose con la SNC Montreal Union, con il BAFTA, con l’Academy, con l’IATSE, ho partecipato alle loro iniziative, ho cercato di impegnarmi e collaborare con i giovani, di mantenere alte le speranze e crederci davvero, ma mi sono anche arrabbiato e ho contrattaccato, perché molti di noi invece non si sono ribellati alla situazione con i responsabili Covid sul set, né al fatto che siamo perdendo il lavoro e assumendo persone che non hanno l’esperienza necessaria per rivestire il ruolo di esperti di Covid sul set. È ridicolo. Sono furioso, onestamente, un giorno voglio far sentire la mia voce e dire: molte persone non ci hanno trattato come avrebbero dovuto durante la pandemia.
È stato un momento difficile, ma ora ho capito chi sono i miei veri amici, senza ombra di dubbio.
Almeno, adesso lo sai.
Adoro parlare con te anche perché cerchiamo sempre di affrontare l’argomento “salute mentale”. A proposito di “Dune”, hai detto che prima di iniziare quel progetto non stavi molto bene. Una volta iniziate le riprese, c’è stata una routine che hai seguito o qualcosa che ti ha aiutato a restare concentrato e mantenerti in salute?
È strano a dirsi, ma ero estremamente lucido durante quel film. Lo ero anche con “Blade Runner 2049”, ma allora stavano succedendo tante altre cose di natura diversa. Con “Dune”, sapevo che avrei dovuto compiere delle scelte, ci sono stati alcuni piccoli inconvenienti con il mio team o con un paio di persone che avrebbero potuto causarmi dei problemi, ma credo che ad un certo punto della vita capiti di realizzare che “è andato tutto alla perfezione, sono qui, sono vivo, sto facendo il lavoro che volevo fare con il regista con cui volevo lavorare”; dal punto di vista creativo, sento che Denis si fida di me, ma allo stesso tempo mi sfida affinché faccia davvero un buon lavoro, e io voglio circondarmi di brave persone che mi aiutino a fare un buon lavoro. Senza dubbio, comunque, prima di quel progetto non stavo bene. Non è un segreto, sono stato male per circa un anno, a livello mentale, fisico, emotivo, non sono stato bene per gran parte del 2018, e nel 2019 ho provato una certa delusione, ero turbato da molte cose, preoccupato per la mia salute.
Ora, per me è molto importante dire questa cosa: le persone con cui lavori non sempre diventano tuoi amici, a volte è solo business, ma Timmy Chalamet mi ha trasmesso così tanta gioia quando eravamo sul set; la prima volta che l’ho incontrato, ci ho passato insieme un ora o due, poi ho conosciuto Rebecca [Ferguson], ho parlato al telefono con Josh Brolin, ho incontrato Javier Bardem a Budapest, abbiamo fatto una piccola prova trucco; Javier lo conoscevo già dal film di James Bond, conoscevo anche Josh Brolin per “Sicario”, con Rebecca, siamo entrati in sintonia dal secondo in cui abbiamo iniziato a parlare, e io sentivo che si fidavano tutti di me, perché si fidavano di Denis Villeneuve, quindi tutti credevano nel mantra “fai ciò che lui ti dice di fare”, e sentivo che ci credevano davvero. Ho subito pensato, “queste sono le persone migliori con cui avrei potuto trovarmi”. Con Timmy ci siamo divertiti tantissimo, anche quando eravamo in Giordania, lui ogni domenica mi chiamava e andavamo a mangiarci un club sandwich a bordo piscina, solo io e lui, nessun altro, e passavamo delle bellissime ore, parlavamo tanto – forse, perché sono parecchio più grande di lui, per me è come fosse mio figlio, abbiamo un rapporto bellissimo. Rebecca è molto alla mano, e ci tiene a dare il suo meglio, ma non è una questione di vanità, infatti mi diceva spesso cose del tipo, “Guarda, forse dobbiamo fare così e provare questa cosa, perché magari non è bellissimo da vedere se i capelli sono acconciati così”, e si fidava molto di me e io le sono molto grato.
Ogni singolo attore di “Dune”, tutti quelli che sono saliti a bordo, hanno portato con loro energia positiva, nessuno è arrivato con spirito negativo, nessuno ha mai contraddetto nessun altro, nessuno aveva un brutto carattere. Capita raramente, ma era un cast perfetto.
“Capita raramente, ma era un cast perfetto”.
Ti trovavi nel posto giusto con le persone giuste.
Posto giusto e persone giuste, e poi sono passati due anni, e quando l’ho realizzato, mi sono un po’ emozionato, ma mi sono reso conto che sono passati due anni anche dalla mia crisi, dal periodo in cui sono stato male, è successo esattamente due anni fa. Quando abbiamo finito “Dune”, ho pensato, “Wow, sono davvero fortunato ad essere vivo e ad aver fatto tutto questo, e l’ho portato a termine, e sono in ottima forma”, e sono subito tornato al lavoro per un altro film. Sono tornato a Los Angeles e ho iniziato “Fino all’ultimo indizio” con Jared Leto. È stata una bellissima esperienza, adoro Jared, e mi è piaciuto finire un film e passare subito ad un altro, è stato un bell’anno per me, sono stato molto fortunato.
Sono così felice per te. Sono certa che tutti quanti riusciremo a cogliere la gioia con cui hai lavorato a “Dune”, e ti meriti il meglio.
Lo spero. Adesso, è un momento difficile, ma ci aspettano giorni migliori, se siamo arrivati fin qui, niente può fermarci.
Credits images to Warner Bros.