In occasione della quarta edizione del FeST, il Festival delle Serie TV di Milano, ci siamo fatti quattro chiacchiere (e tante risate) con il co-conduttore di quest’anno: Edoardo Ferrario.
Esemplare di “stand-up comedian”, podcaster, attore e doppiatore che dal politicamente corretto non si lascia frenare, ma anzi, lo appoggia a pieno, Edoardo crede fermamente nel potere della comicità onesta e rispettosa, che esprime idee e crea confronti in nome del divertimento del pubblico pagante.
Nel dietro le quinte del FeST, al termine di un panel esilarante in cui, insieme al suo collega Luca Ravenna, ha catturato la platea con la brillantezza e il talento per le imitazioni che lo contraddistinguono, Edoardo ci ha raccontato cos’è per lui la vera commedia e quali sono le responsabilità del comico. In nome della fedeltà al pubblico di spettatori.
Ricordi il momento in cui hai capito che ti piaceva fa ridere la gente?
Guarda, sì, me lo ricordo bene, risale a quando da ragazzino vedevo i programmi della Gialappa’s e di Serena Dandini. Io andavo a scuola dalle suore, e un giorno la suora scoprì che ero bravo a fare le imitazioni (infatti, io imitavo quelli che vedevo, la Gialappa’s, le Guzzanti). Durante una gita in Abruzzo, mi misero nei primi sedili del pullman con il microfono e io iniziai a fare le imitazioni delle imitazioni che vedevo in televisione, e mi ricordo che risero tutti, sia i miei compagni di classe che i genitori. Quindi, sai, questa cosa di far ridere la trovavo molto divertente e quello è stato il momento in cui ho pensato che avrebbe potrebbe essere carino farne, forse, in futuro, una professione.
La comicità sta cambiando adattandosi ai tempi, alle tecnologie, ai nuovi stili di vita e taboo – basti pensare al “politicamente corretto”, per esempio, e a come sta influenzando i contenuti d’intrattenimento in generale. La tua comicità è dovuta scendere a patti con qualcosa in particolare nel corso degli anni? Com’è cambiata, se è cambiata?
La mia comicità non è cambiata. Il mondo invece è cambiato e il linguaggio, fortunatamente, è cambiato, quindi il fatto che non si possa più far ridere dicendo parole che oggi non sono più tollerate lo trovo giusto, perché quelle parole erano sbagliate anche all’epoca, e non è che le persone allora vittime di quegli insulti erano contente. Quindi, secondo me è giusto che non si possa più utilizzare un certo linguaggio.
Detto questo, io credo che il comico possa scherzare su quello che vuole, su argomenti sensibili, sulle cosiddette minoranze, sul rapporto fra gli uomini e le donne, perché il comico esprime un’idea, e impedirglielo sarebbe come chiedere a un giornalista di non scrivere un pezzo sugli omosessuali o su minoranze etniche. Il comico esprime un punto di vista e la battuta è un confronto, non è un insulto. Secondo me, oggi invece si continua a pensare che la battuta debba necessariamente essere un insulto: quindi, secondo questo ragionamento, se faccio una battuta su una categoria più sensibile di altre, vuol dire che allora la sto insultando. Invece, innanzitutto io mi sto riferendo a quella categoria e la sto prendendo in considerazione, sto facendo una battuta per creare un confronto. Ciascuno di noi pensa e si relazione alle persone in un certo modo: se ti relazioni alle persone in maniera razzista, allora fai una battuta razzista, se ti relazioni alle persone in maniera curiosa, fai una battuta che farebbe una persona di una cultura diversa che nota delle differenze nell’altra cultura. La cosa peggiore che possiamo fare è che, avendo il terrore di dire la cosa sbagliata, smettiamo di parlare di chi non è come noi, e questa per me è la fine dell’arte e la fine della comicità.
Ritengo che sia più giusto dire una cazzata ogni tanto, perché può capitare, ma continuare a relazionarci e a divertirci parlando l’uno con l’altro, piuttosto che smettere di parlare o fare battute tutte uguali in nome di un politicamente corretto che non si sa bene da chi è stabilito.
“La cosa peggiore che possiamo fare è che, avendo il terrore di dire la cosa sbagliata, smettiamo di parlare di chi non è come noi, e questa per me è la fine dell’arte e la fine della comicità”.
Sei l’autore del primo stand-up comedy show su Netflix: che tipo di responsabilità senti sulle spalle e come la affronti?
La responsabilità forse l’ho sentita all’epoca, quando me l’hanno detto. Tra l’altro, non solo era il primo in Italia, ma era il primo Special uscito in 190 paesi, quindi in questo senso è stata una bella responsabilità, perché ho pensato: “chissà chi mi vedrà, chissà come funzionerà tutto questo”.
Io, in realtà, ho sempre parlato al pubblico, ho sempre considerato il pubblico come la cosa più importante in assoluto per un comico, quindi cerco sempre di essere fedele al pubblico, di essere originale e di dargli cose che per me sono importanti, e che per loro sono divertenti. Quando è uscito lo Special, ho semplicemente pensato: “magari questa cosa mi porterà più pubblico, magari mi vedranno anche all’estero”. Così è stato, infatti, e di questo sono molto contento, però credo che la comicità sia una forma espressiva così democratica che non ci possono essere trucchi: se sali su un palco, devi far ridere, e non ci sono scorciatoie, puoi aver fatto uno Special su Netflix, puoi aver fatto sei film, essere famoso su TikTok, Instagram, però, se poi non fai ridere il pubblico che hai davanti, nessuno è disposto a continuare a vederti. Quindi, il mio dovere rimane sempre quello di scrivere cose divertenti e originali ogni anno per le persone che pagano il biglietto per vedermi.
C’è un tema in particolare su cui ti piacere scherzare? E invece uno su cui non ti piace scherzare?
Un tema che non mi diverte è la satira sui politici, perché la trovo molto stantia. Ormai, tra l’altro, i politici vanno a cercare quegli algoritmi strategici, le cose che l’elettorato vuole sentirsi dire; è sempre stato così, in realtà, ma oggi è ancora più facile trovare argomenti su cui i politici possono fare delle dichiarazioni, quindi sono uno specchio talmente tanto essenziale dell’elettorato che non ha più senso, secondo me, fare satira sui di loro. Invece è doveroso, e mi diverte tantissimo, fare satira sugli elettori, perché nonostante tutto, nonostante i politici non facciano buona politica, trovo che sia molto più interessante trovare le debolezze e le fragilità degli elettori, perché tutto parte dagli elettori e dalla nostra scelta. È molto facile fare satira sui politici di destra se poi vengono votati da milioni e milioni di persone…
È molto più importante la satira sociale rispetto alla satira politica.
Insieme a Luca Ravenna, sei l’autore di “Cachemire”, uno tra i podcast più ascoltati in Italia. Come cambia il tuo modo di approcciare satira e humor tra stand-up comedy, podcast e ora, con “Beavis e Butthead”, doppiaggio? Ce un ambito che preferisci?
Io continuo a preferire il live.
Il live per un comico è la cosa più bella che si possa fare, per l’ovvia ragione che il pubblico è lì davanti a te e anche solo per quello è un modo molto bello per essere a contatto con le persone. Secondo me, però, il bello di “Cachemire” è che abbiamo pensato a quello che facciamo prima di scrivere un monologo di stand-up comedy e abbiamo provato a portarlo in una dimensione più simile al video; quindi, le chiacchierate che facciamo io e Luca sono quelle chiacchierate che precedono la scrittura di un pezzo di stand-up. Abbiamo sempre notato che la parte divertente della scrittura di stand-up comedy è la parte in cui racconti a un amico quello che vorresti scrivere. Sin da subito, abbiamo pensato di proporre quelle chiacchierate che facciamo su YouTube: non potremmo farlo su altri mezzi, perché YouTube ci dà la possibilità di farlo per un’ora e mezza, ovvero per un tempo molto dilatato. Viviamo e abbiamo vissuto, durante il lockdown, in un’epoca in cui abbiamo tutti molto tempo per ascoltare contenuti, quindi ognuno può scegliere quello che vuole sentire, per cui possiamo concederci il lusso di prenderci un’ora o un’ora e mezza per fare questo tipo di intrattenimento. Però, credo che “Cachemire” e la stand-up comedy abbiano molto in comune.
A me piace la comicità declinata su tutti i mezzi, che sia televisiva o solo per YouTube; spesso mi piace anche declinare la stessa idea su diversi mezzi. Sicuramente, con “Cachemire” abbiamo avuto la possibilità di farlo in tanti modi, un po’ a metà fra televisione, radio e stand-up, e questa è la cosa che probabilmente ci stimola di più.
A proposito di serie tv invece, in che modo scegli cosa guardare e a cosa presti particolare attenzione di solito?
Mi piacciono moltissimo le serie che insistono sui personaggi, che li raccontano con grande verità. Mi piacciono anche le serie che umanizzano personaggi difficili; a questo proposito, per esempio, ho adorato “Succession”, la trovo un capolavoro, perché racconta una famiglia di miliardari, una fra le famiglie più potenti del mondo, facendotela sentire molto vicina, raccontando che anche i miliardari hanno dei problemi simili a quelli che può avere chiunque. Questo discorso vale per le serie drammatiche, non mi piacciono quelle paracule che inseguono i trend, che raccontano mondi che non esistono se non nella mente degli sceneggiatori. Per quanto riguarda le serie comiche, invece, mi piacciono quelle molto molto divertenti, che mi fanno ridere davvero. Sono un grande fan di “The Office”, in particolare quello di Ricky Gervais, da sempre, per me è una delle cose più belle mai scritte a livello di comicità, perché è una serie che ti racconta le persone per come sono davvero, una dinamica in cui tutti si possono rivedere. Mi piace moltissimo anche “Arrested Development”, è una delle mie serie preferite, e “Louie” di Louis C.K., che è una serie comica ma fondamentalmente drammatica.
Insomma, la scrittura dei personaggi per me è la prima cosa, sia in una serie drammatica che comica.
“Mi piacciono moltissimo le serie che insistono sui personaggi, che li raccontano con grande verità”.
Cos’è che fa ridere te?
Le scoregge, come al solito, sono la cosa più divertente in assoluto! Dopo di quella, ti posso dire che mi fa ridere la sincerità nel comico, che è la cosa più importante, mentre non mi fa ridere quando i comici seguono i trend del momento. La comicità per far ridere deve sorprendere, e in un’epoca come la nostra, sorprendere significa dire delle cose che non si potrebbero più dire. Mi piace quando il comico fa il suo lavoro, cioè dice quello che vuole, facendo ridere tutti, ma senza dire le bestialità che, come dicevamo all’inizio, oggi non si possono più dire.
Ciò che in assoluto mi fa più ridere, insomma, è quando il comico fa bene il suo lavoro.
Horizontal photo by Alessandro Scrocca.
Thanks to FeST.