In nome del tempo che sembra non essere mai abbastanza, in onore di chi ne fa il miglior uso possibile: guardare la serie “Le fate ignoranti” di Ferzan Özpetek, tutta d’un fiato o dosata e goduta, è un bellissimo modo per riempire le nostre giornate, di storie, personaggi, esempi di umanità e di relazioni che ci fanno riflettere, emozionare, imparare. Edoardo Purgatori è la persona ideale con cui passare il tempo a parlare di vita, passione, del valore della genuinità sul set e fuori dal set, e de “Le fate ignoranti”, in cui lui interpreta il giovane banchiere Riccardo. Attualmente disponibile su Disney+, la serie tratta dal film cult omonimo del 2001, diretto dallo stesso regista italo-turco, è una “rivoluzione”, per citare le parole di Edoardo, che quella rivoluzione ha avuto modo di respirarla dall’interno della casa delle fate, dai panni di uno degli “emarginati sociali” protagonisti della storia. Non troppo distante, ma nemmeno anacronisticamente troppo vicina al film, puntata dopo puntata la serie cresce, si riempie e si svuota di relazioni, dialoghi e dettagli, ruotando intorno al fulcro del mondo: l’umanità e l’amore per la vita.
Edoardo ci ha raccontato il suo punto di vista, la sua esperienza pluriennale di collaborazione con Ferzan, e qualche aneddoto personale, in una chiacchierata stimolante tutta dedicata alla bellezza del cinema e all’importanza di alimentare le nostre passioni.
Da figlio d’arte quale sei, con tua madre attrice e tuo padre sceneggiatore, di ricordi legati al cinema devi averne tanti. Qual è il primo che ti viene in mente?
Io, fin da quando ero piccolo, andavo al cinema con mio padre tutte le domeniche, e con mia mamma andavo a teatro. Poi, ho il ricordo di quando tornavamo a casa io, mio fratello e mia sorella, e mia mamma ci dava quei primi modelli di telecamera, quelli con le cassette, e noi registravamo quello che vedevamo; quindi, per esempio andavamo a vedere “Indiana Jones”, “Star Wars”, “007”, e poi ricreavamo i nostri piccoli film noir. Sono cresciuto con la passione per questo mondo.
Tra i tuoi ultimissimi progetti c’è la serie “Le fate ignoranti” di Ferzan Özpetek, disponibile sulla piattaforma Disney+. C’è un aspetto particolare del progetto che ti ha fatto venir voglia di farne parte?
Intanto, è stato un onore e un piacere, perché il film da cui è tratta la serie è un cult, un film che ha segnato una generazione. Quando ho conosciuto Ferzan come regista, i suoi primi due film, che poi sono quelli che più mi hanno colpito, ovvero “Il bagno turco” e “Le fate ignoranti”, mi hanno da subito trasmesso una passione per la persona di Ferzan e il suo mondo, quello che lui racconta, quindi è stato molto facile dire di sì al suo nuovo lavoro! [ride]
La bellezza di questo progetto era il fatto di poter stare a contatto con Ferzan e con tutte le persone che abitano il suo mondo, e per tanto tempo, perché se sul set di un film ci stai un mese, su quello di una serie ci stai quattro mesi, quindi l’esperienza diventa davvero uno scambio meraviglioso a livello umano.
Oltre alla serie “Le fate ignoranti”, hai recitato in “La dea fortuna” e nell’adattamento per il teatro di “Mine Vaganti”: non è, dunque, come dicevi, la prima volta che lavori con Özpetek, anzi! Com’è nato questo rapporto con lui e come si è sviluppato nel tempo?
Io feci il primo provino – che poi, con Ferzan, non è mai un provino: è un incontro in cui si chiacchiera e quindi non sai mai se quello che dici è giusto o sbagliato – per “La dea fortuna”, perché mi venne a vedere Pino Pellegrino, che è il casting director, in occasione di uno spettacolo che feci a teatro su un calciatore omossessuale che nasconde la sua omosessualità al mondo del calcio, e mi disse: “Guarda, secondo me, per l’età, per il ruolo che hai interpretato, e perché sei stato veramente bravo, ti voglio portare a conoscere Ferzan”. Poi, è un terno al lotto, perché quando vai all’incontro, lui ti fa domande di qualunque tipo, e qualunque cosa dici potrebbe essere giusta o sbagliata, quindi tanto vale essere genuini e sinceri senza provare a leccare il culo, a essere chi non sei. Che poi è la cosa più difficile. Quando mi è arrivata la telefonata, è stato un momento che ha segnato la mia carriera.
Molti dicono che c’è un “prima” e un “dopo Ferzan”. Io ho avuto la fortuna di lavorarci tanto negli ultimi tre anni, e gli devo tantissimo, è diventato non solo una persona a cui voglio molto bene, umanamente, ma anche una specie di mentore, perché poi quando fai quattro o cinque progetti insieme (noi abbiamo fatto anche degli spot), diventa uno scambio umano molto bello.
Io ho imparato tantissimo e continuo ad imparare tanto da lui, lavorarci insieme per me è un sogno, perché Ferzan ti dà tutti gli elementi per poterti esprimere al meglio, senza doverti guidare in modo esagerato, e proprio questo ti permette di esprimerti al meglio. Lui si fida molto di me, ormai ci capiamo al volo, se c’è qualcosa che non va, è un gioco di sguardi, ed è una cosa che io amo, significa che c’è una grandissima sintonia e un vero ascolto reciproco, che ci capiamo umanamente e artisticamente, lui sa come funziono io e io so come funziona lui, e poter dire questo di Özpetek a 33 anni è una figata, per quanto mi riguarda! Poi mi ha portato bene, perché quando questo tipo di persone ti danno sicurezza, e penso sia la stessa cosa per te nel tuo lavoro, quando ti viene data fiducia (ed è la cosa per cui io lo ringrazio di più), automaticamente ti fai coraggio.
E poi, la fiducia ti fa vedere delle cose che tu ancora non vedevi di te e ti permette di fare quel salto che magari non pensavi di essere in grado di fare prima di conoscere quella persona, che può essere un allenatore, un regista, un mentore…
Questo è uno dei motivi per cui a Ferzan io devo veramente tanto. Dopo, per me sono arrivati registi come Virzì, Veronesi, e io ero pronto per confrontarmi con quel tipo di artista.
“Molti dicono che c’è un ‘prima’ e un ‘dopo Ferzan’…”
C’è stato qualcosa di diverso, di speciale, magari, nella preparazione e realizzazione de “Le fate ignoranti” rispetto alle altre vostre collaborazioni? Soprattutto considerando che si tratta di una serie adattamento del suo grandissimo film omonimo del 2001…
Diciamo che lui, come noi, sentiva il “peso” del film, però è anche lì che si è manifestata la grande intelligenza di Ferzan, ovvero il volerlo rinnovare. Infatti, alcune tematiche che venivano affrontate 20 anni fa adesso sono un po’ datate, non sono più così attuali, quindi è stato giusto escludere quelle e trattarne altre, come quelle del personaggio di Filippo [Scicchitano] e del mio, o quelle di Ambra Angiolini e Anna Ferzetti, e invece togliere il personaggio di Gabriel Garko e spostare tutta l’attenzione sul rapporto tra i membri della famiglia delle Fate.
Ferzan ha creato da subito un clima, prima durante le letture e poi sul set, in cui non sembrava nemmeno di lavorare davvero. Per me, da dentro, è stata un’esperienza umana molto bella e molto forte e, siccome non è una storia basata sul plot, spero sia trasparito anche sullo schermo.
Certo, si basa di più sui rapporti tra i personaggi, e ne venite fuori come un gruppo molto affiatato, e alle ultime puntate quasi ti dispiace pensare che stai per lasciarlo…
Okay, esatto, vuoi stare in loro compagnia! Bene, allora abbiamo raggiunto il nostro obiettivo.
Quando hai ottenuto la parte e ricevuto la sceneggiatura, qual è stato il primo pensiero e la prima domanda che hai rivolto al regista e a te stesso?
Dunque, all’interno della casa, il mio personaggio (Riccardo) e quello di Filippo (Luciano) di fatto erano quelli con meno profondità a livello di coppia e di quello che veniva raccontato, come scelta per una seconda stagione che eventualmente si potrebbe fare, infatti il focus è sul triangolo Scarpetta-Argentero-Capotondi, oltre, ovviamente, al rapporto tra Ambra e Anna Ferzetti, il personaggio di Serra, e poi c’è anche il personaggio di Burak Deniz.
Giustamente, in otto puntate puoi raccontare un po’ di cose, ma non puoi raccontare tutto, anche relativamente al personaggio di Lilith [Primavera], per esempio, che a livello di attualità è molto importante. La nostra coppia è quella che viene vista come la coppia dei due pappagallini, quindi la nostra sfida è stata quella di darle uno spessore e un’umanità importante che potesse incuriosire, però allo stesso tempo anche lasciare spazio per un’eventuale prossima stagione. La vera fortuna è stata che Filippo e io ci conosciamo da parecchio tempo, abbiamo già lavorato insieme ad altri progetti, facciamo pugilato insieme, siamo amici, quindi c’è stata una sintonia che ha permesso a entrambi di lavorare non in competizione, ma come squadra, per provare a far uscire al meglio questi personaggi che sulla carta erano, all’interno della casa, quelli un po’ meno approfonditi. Poi, però, come succede sempre con Ferzan (è questa è una bellezza), quando sei sul set la sceneggiatura puoi anche prenderla e buttarla via, perché tanto lui cambia tutto mille volte. Detto fra di noi, la prima volta me la sono fatta sotto perché, sai, mi sono chiesto: “E mo’ che cazzo faccio?”. Però, per fortuna, facendo teatro da tanti anni, venendo dall’improvvisazione, da un certo tipo di percorso di studi, ho potuto affrontare al meglio la sfida.
Ci siamo divertiti molto io e Filippo, mentre con Ferzan la questione è stata più che altro quella di trovare il nostro spazio all’interno del gruppo senza dover pretendere di essere visti di più, però avendo la dignità di personaggi che non stanno solo lì perché sono carini e fanno colore, ma che ci sono perché hanno una loro ragione d’esistere.
“Trovare il nostro spazio all’interno del gruppo”
A proposito del tuo personaggio, quanto c’è di te in lui?
Sai, io penso che alla fine, senza parlare per forza del mestiere della recitazione (perché secondo me un attore che parla di questa roba annoia tantissimo), l’attore debba per forza dare qualcosa di suo al personaggio: tu dai la carne e l’anima ad un personaggio che esiste solo sulla carta; quindi, per forza di cose ne prendi da te e non solo, da mille cose, gli stimoli e gli spunti per un attore possono essere infiniti. Da qui, anche, la grandezza della serie: io, quando ho studiato il personaggio, non ho mai pensato cose del tipo, “Oddio, sono gay…”: Riccardo e Luciano sono due persone che si amano, che stanno insieme da una vita, fondamentalmente uno dei due vuole sposarsi e l’altro no. Io, poi, sono sposato e ho un figlio, sto con mia moglie da quasi 15 anni, quindi alcuni meccanismi li conoscevo, e l’obiettivo era andare a raccontare il dilemma umano, non tanto quello dei personaggi in sé, e provare a vedere se risuonasse nel pubblico.
In che modo avete affrontato l’impresa del “costruire la chimica” tra i membri di un cast così numeroso, che spesso si ritrova a condividere la scena?
Quello è l’“elemento Ferzan”: non si sa come, lui fa da collante per tutto, quindi non è stato per niente difficile.
Poi, molti di noi si conoscevano già: con Serra abbiamo già lavorato, con Paola [Minaccioni] anche, così come con Anna Ferzetti ed Edoardo Siravo, quindi alla fine eravamo un gruppo di persone che sentivano tutte di essere privilegiate a lavorare su un set del genere. È stato molto facile, ci siamo affidati a Ferzan e a quello che era stato scritto da lui e dagli sceneggiatori, e ci siamo lasciati trasportare con tanto amore in questa avventura.
“L’elemento Ferzan”
Come descriveresti la serie con una sola parola?
È tosta… Direi, da un lato, rivoluzionaria, però te lo devo spiegare: la tematica in sé non è rivoluzionaria, però il fatto che una serie del genere sia la prima serie originale Disney in cui i canoni della famiglia, dei principi e delle principesse, vengono un pochino cambiati, lo è. Dunque, la serie non tratta tematiche di per sé rivoluzionarie, però il fatto che sia in un contesto come quello di Disney lo è. Insomma, adesso principi e principesse possono essere non solo neri, cinesi, o altro, ma possono essere anche gay oppure trans e comunque rientrare nel mondo Disney.
Questo mi piace pensare che sia una piccola rivoluzione.
E poi è un prodotto italiano, non è la tipica serie americana “fuori dagli schemi”…
Esatto, e noi siamo molto indietro rispetto a loro, se pensiamo a serie come “Euphoria” o “Sex Education” per esempio. Poi, c’è un’altra parola che mi viene in mente per “Le fate ignoranti” ed è semplicemente “casa”, nel senso di calore, di sentirsi in compagnia di persone che sono casa.
Reciti in film, serie TV, produzioni teatrali, e sei anche un doppiatore: a quale mondo senti di appartenere in maniera più intima?
A tutti quanti. Io vengo dal teatro, è la prima cosa che ho fatto e che mi ha fatto innamorare di questo mestiere, ma mi sento me stesso in tutti quei contesti. Semplicemente, io mi affeziono e mi appassiono alle storie, ai personaggi che raccontiamo: una volta posso farlo solo con la mia voce, una volta davanti alla telecamera, o sul palco di un teatro, non mi importa la forma, è la storia che andiamo a raccontare che conta per me.
“Io mi affeziono e mi appassiono alle storie”
Qual è stato l’incontro cinematografico più significativo della tua carriera, finora?
Ferzan lo è assolutamente, gli devo tanto. Umanamente, mi ha fatto crescere molto, negli anni mi ha sfidato il giusto, mi ha dato le giuste batoste e le giuste conferme in vista di dove sono oggi. Quindi per me è Ferzan.
Chi o cosa ti ispira sul lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni?
La passione.
Chi mette la passione in quello che fa, e non per compiacere, ma perché è profondamente convinto di quello che sta facendo e ci mette tanto amore.
“La Passione”
Il primo VHS/DVD che hai comprato?
“Il re leone”. L’ho visto anche cinque volte al cinema.
Un personaggio di un film o serie TV che ti piacerebbe avere come amico?
Questa è una bella domanda! Mi vengono in mente quelli dei “Peaky Blinders”, con un Tommy Shelby penso mi potrei divertire troppo, oppure Ted Lasso, i personaggi di quella serie mi fanno troppo ridere. Poi, vorrei un papà tipo Milo Ventimiglia in “This is Us”.
Un personaggio realmente esistito che ti piacerebbe interpretare?
Ce ne stanno troppi… Adesso ti dico Hemingway, perché era un personaggio, un alcolizzato, uno che faceva sempre a botte. Poi, io sono molto appassionato di storia, e poco fa stavo sentendo il podcast di Alessandro Barbero, in particolare la storia di una spia tedesca che stava in Giappone, si chiamava il dottor Sorge, ti consiglio di ascoltarla, ti verrà da chiederti com’è possibile che non ci abbiano fatto ancora un film.
Un epic fail sul set?
Io sono famoso perché faccio sempre delle gaffe epiche, perché sono molto genuino, e poi sul set, secondo me, chi non risica non rosica, quindi devi rischiare, le figure di merda le devi fare perché sennò, se giochi troppo protetto, rischi di non fare scoperte rivoluzionarie.
Un epic fail recente risale ad uno spettacolo che ho fatto a teatro… Finisce lo spettacolo e vado a cena con tutta la compagnia; c’è il nostro capo comico, Pannofino, che sta a tavola con delle persone e si parla di chiusura di teatri eccetera, e io faccio: “Eh, certo, mo’ dobbiamo sentire quello che dice ‘il capoccia’!”. Ovviamente, chi c’era a tavola con noi? La figlia, che mi guarda e sbianca [ride].
“…se giochi troppo protetto, rischi di non fare scoperte rivoluzionarie”.
Il tuo must have sul set?
Musica.
La musica mi aiuta tantissimo a entrare nel mondo del mio personaggio o in quello che andiamo a raccontare. Mi creo delle playlist che mi aiutano ad entrare in quel mondo. La musica per me è la cosa più immediata, mi piazza proprio da un’altra parte.
Cosa significa per te “sentirsi a proprio agio nella propria pelle”?
Poter fare delle cazzate, poter rischiare, non dover dar conto a nessuno, non avere la paura di poter essere un totale coglione davanti a tutti.
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Scegliere di fare questo mestiere, andando contro mio padre che non era proprio d’accordo. E scegliere di farlo con amore e passione ogni giorno che passa.
Di cosa hai paura?
Ho paura che non mi basti il tempo per fare tutte le cose che desidero fare.
Qual è l’ultima cosa/persona che ti ha fatto sorridere, oggi?
Mio figlio e mia moglie.
La tua isola felice?
La mia famiglia. Anche la mia passione per il pugilato, perché la mia palestra di pugilato è uno dei luoghi in cui, quando ci vado, sono semplicemente Edoardo, nient’altro, vado lì, sudo con gli altri, a nessuno frega niente di chi sei, quello che fai, dove vai e cosa vuoi.
Photos&Video by Johnny Carrano.
Grooming by Adelaide Fiani.
Styling by Sara Castelli Gattinara.
Styling Assistant Bianca Giampieri.
Thanks to Others srl.
LOOK 1
Total look: Giorgio Armani.
LOOK 2
Cardigan and leather pants: DSQUARED2.
Shoes: Carshoe.
LOOK 3
Jacket and shirt: DSQUARED.
Jeans: Levi’s
Shoes: Carshoe.