“Una giovane donna che si isola dal rumore e vede il quadro generale”: è così che descrive quello che Mulan, l’eroina della Disney, ha fatto nelle nevose distese cinesi. Ma forse non si rende conto che è anche ciò che ha fatto lei stessa durante il suo percorso di vita, dall’adolescenza all’età adulta. A modo suo, è una moderna eroina d’Irlanda.
Dalla saga di Harry Potter a un libro autobiografico, Evanna Lynch ha imparato a concedersi la possibilità di indossare più vesti, ma mai una sull’altra. Questa intervista è stata insieme una benedizione e una lezione sotto molti punti di vista, e c’è un insegnamento che mi ha particolarmente colpito: è con piccoli passi che si può a onorare la propria creatività ed essere produttivi, secondo i propri tempi, con un obiettivo principale: essere sempre autentici. E non è questione di predisposizioni d’animo, piuttosto è una maniera per alimentare la sensibilità degli esseri empatici come lei. Perché è questo il verso senso dell’”essere presenti” nel mondo. È questo il vero senso di metterci tutti noi stessi.
La nostra chiacchierata con Evanna è stata più unica che rara: lei con noi si è aperta in un modo che ne ha rivelato non solo la natura professionale e creativa, ma anche un’anima profonda e amorevole, di una persona che mette sempre in discussione il proprio ruolo nella società e sul pianeta, senza alcuna traccia di egoismo.
Nel corso della sua carriera, dall’etichetta “spaventosa” di attrice che le è stata affibbiata sin da piccola, fino alla consapevolezza dell’importanza di validare la propria creatività “in qualunque forma si manifesti”, Evanna ha esplorato insieme a noi il suo percorso verso la valorizzazione delle esperienze viscerali, tenendo alla larga il più possibile la sé stessa adolescente. È così che ha iniziato a praticare yoga aereo, la nobile arte della “manifestazione”, e l’adozione di pesci con nomi di umani; è così che è diventata “senza genere”.
Negli ultimi anni, il suo percorso di guarigione e un sincero bisogno di connessione con le persone l’hanno spinta a sperimentare in un paio di nuovi settori: la scrittura e il beauty vegano. Con l’obiettivo di riparare il rapporto rovinato tra natura e umanità, Evanna è la co-founder di “Kinder Beauty” insieme a Daniella Monet e Andrew Bernstein: per avvicinare il pubblico ai migliori brand cruelty-free dell’industria di beauty e rendere i prodotti vegani e cruelty-free più facilmente accessibili. Ora, nel 2021, ha pubblicato “The Opposite of Butterfly Hunting: A Powerful Memoir of Overcoming an Eating Disorder”, un libro nato dalla sua frustrazione con le numerose false versioni mediatiche di una storia che solo lei può raccontare per com’è davvero.
È questo il momento, per Evanna, di raccontare la storia originale nella maniera più vera possibile: a parole sue.
E non vediamo l’ora di ascoltarla.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Il momento di cui conservo il ricordo più vivido è la volta in cui ho visto “Mulan” al cinema nel 1998. Secondo me, una delle più grandi fortune dell’essere stati bambini negli anni ’90 è l’aver potuto vedere sul grande schermo questi film iconici del Rinascimento Disneiano: un’esperienza cinematica davvero epica ed irripetibile. Non dimenticherò mai l’impatto della scena sul campo di battaglia, questa vasta distesa di neve e un mare di soldati che si precipitano giù per la montagna diretti verso Mulan e la sua piccola squadra. Ricordo di essermi sentita così sopraffatta dalla paura e dal terrore che questo personaggio che amavo potesse morire. È stato un momento molto forte da assimilare, perché era un esempio di giovane donna che si isola dal rumore e vede il quadro generale, sfidando le proprie autorità e scegliendo, piuttosto, di onorare i propri istinti.
Non avevo colto il concetto in quei termini, a 7 anni, ma quel film ha risvegliato qualcosa in me.
In questi ultimi anni, hai lavorato molto pubblicamente per supportare le cause e le associazioni in cui credi: in che modo il grande e il piccolo schermo possono contribuire a diffondere messaggi importanti? E oltre a questo, cos’altro dovrebbe fare l’industria dell’intrattenimento per catturare l’attenzione del proprio pubblico?
Beh, il piccolo schermo e internet hanno aiutato ad abbattere i muri che ci proteggevano dagli orrori a cui sono soggetti gli animali sfruttati per cibo, moda, intrattenimento, ecc. Io ho imparato così tanto dalle foto e dai video realizzati da attivisti e filmmaker con un gran coraggio, che si sono avventurati in situazioni molto pericolose, in questi campi infernali noti come allevamenti intensivi. A mio parere, dobbiamo continuare a raccontare questi orrori per aprire gli occhi delle persone e convincerle di quanto sia sconveniente chiuderli di fronte ad un rapporto così deteriorato tra la natura e l’uomo.
Sai, c’è una bella differenza tra il sapere qualcosa e il crederci e secondo me tu puoi anche avere tutti i dati a disposizione, e comprenderne anche la logica, ma alcuni problemi sono troppo grandi perché il cervello umano li possa cogliere, alcune statistiche sono troppo orribili da credere.
Secondo me, il segreto per rendere tutti questi problemi comprensibili in una maniera tale da colpire le persone è ridurli all’esperienza di un singolo individuo, che condivida i propri personali dolori e gioie. Mi posso relazionare con una mucca che muggisce disperata perché le hanno portato via il cucciolo ma le statistiche di milioni di mucche che soffrono lo stesso trattamento fa sembrare tutto semplicemente troppo distante per toccarmi nel profondo. Mi ha commosso molto il film “Okja” qualche hanno fa: ha rappresentato in maniera molto delicata e umana l’amicizia tra una bambina e un maiale, e la sua missione nel cercare di salvarlo da un destino terribile. Non c’erano etichette, discorsi politici, campagne varie legate al film, solo una struggente storia che ha dato spazio alle persone di poter sentire e vivere a pieno le proprie emozioni riguardo alla storia stessa.
“Sai, c’è una bella differenza tra il sapere qualcosa e il crederci…”
Siamo felici nel dire che è quasi impossibile descrivere cosa fai dato che fai così tante cose, come descriveresti quello che stai facendo attualmente, e come gestisci tutto quanto?
È una cosa molto bella da dire, grazie! Mi ci è voluto un po’ per accettare questo lato di me, per darmi il permesso di indossare molti “cappelli” come persona creativa perché volevo così tanto avere “successo” ed ero dell’idea che se ti impegni in una sola disciplina, sarai di più produttivo in quel campo. Ma penso che sia un’idea capitalista che valorizza la produttività fine a sé stessa rispetto all’autenticità, ed è così che i creativi si esauriscono o realizzano opere d’arte “vuote”.
Personalmente, vedo la creatività come un’energia selvaggia che non dovrebbe essere ridotta o inibita dalle etichette. Non sono completamente irrealistica al riguardo, capisco che le scadenze debbano essere rispettate, che bisogna utilizzare etichette per chiarezza nella comunicazione, ecc. Bisogna creare una struttura attorno a questa caotica energia creativa. Ma lo spazio e la fluidità sono importanti per creare qualcosa di autentico.
A volte ripenso a quando ho ottenuto la parte in “Harry Potter” e le persone hanno subito iniziato a identificarmi come “attrice”. Ricordo di averlo trovato molto bizzarro all’epoca, chiedendomi cosa avessi fatto per qualificarmi improvvisamente come tale, cosa c’era di diverso in me rispetto al giorno prima. Davvero, nulla era cambiato, ero solo una persona creativa che amava le storie. Penso di essere stata così lusingata da quell’etichetta così altisonante che l’ho accettata come la mia identità, ma di solito dopo un po’, le etichette diventano gabbie. Quindi, ultimamente, sto cercando di tornare quella bambina curiosa e creativa a cui piaceva esplorare le storie. Mi sto concentrando su questo obiettivo, piuttosto che preoccuparmi delle norme e delle percezioni sociali.
Un sensitivo di recente mi ha definita “genre-less” [senza genere], descrivendo che tipo di creativa sono, e mi è piaciuta molto questa definizione! L’ho trovata molto forte come espressione, quasi come se mi avesse restituito il potere di plasmare il mio destino e di onorare la mia creatività indipendentemente dal mezzo.
In termini di come gestisco il mio lavoro, onestamente, non sono molto organizzata. Tendo a lavorare con diversi picchi di produttività: ho periodi in cui scrivo o elaboro trame fino alle prime ore del mattino, ma poi ci sono settimane in cui decido di esplorare i miei hobby. Non è il sistema migliore però, non funziona benissimo e infatti sto cercando di trovare più equilibrio.
Equilibrio e moderazione sono qualità che non mi vengono naturali.
Ti capita mia di sentirti sopraffatta? Se sì, come affronti questi momenti?
Assolutamente sì! Sempre! Ogni volta che apro le mie mail. Ma mi sforzo molto per non lasciare che questi sentimenti mi distraggano dal dedicare tutta la mia attenzione e presenza a qualunque cosa stia facendo perché credo nel portare le cose a termine e nel non diluire e disperdere i miei sforzi. Quindi, quando scrivo, scrivo ossessivamente. Quando sto parlando con una persona, ha i miei occhi e la mia mente. Certo, non è facile, e inevitabilmente la vita ti tira in più direzioni contemporaneamente a volte, ma per quanto possibile cerco di resistere dall’essere distratta dal momento presente. Ho imparato molto dall’insegnante spirituale Eckhart Tolle su questo, ciò che lui chiama “presenza” e credo che si debba praticarlo. Bisogna trovare cose che insegnino ad essere presente come la natura o la meditazione. Per me è lo yoga aereo, che è così fisicamente impegnativo che mi costringe a essere nel momento presente e bandire i pensieri di qualsiasi altra cosa. Suppongo che quando mi sento sopraffatta vuol dire che non riesco a concentrarmi e sto facendo troppo nello stesso momento. Quindi, devo chiedermi: “perché mi manca la concentrazione?”, “perché non voglio impegnarmi in questo compito?” e poi “come faccio ad essere di nuovo concentrata?”. Di solito è perché sto cercando di accontentare molte persone, cercando di essere in molti posti contemporaneamente, il che è abbastanza assurdo e mi impedisce di essere pienamente presente nel momento.
Quindi cerco di concentrarmi su una cosa alla volta perché non mi piace essere poco convinta o poco entusiasta di qualsiasi cosa io stia facendo.
Nella nostra realtà, con The Italian Rêve, stiamo cercando di fare luce sulla salute mentale, offrendo uno spazio sicuro e una piattaforma in cui le persone si sentano libere di parlare dei propri sentimenti, lotte, difficoltà e così via senza doversi nascondere a causa di tabù, cosa che purtroppo in Italia è ancora abbastanza presente. Con le tue parole, scritte o dette, sei stata un esempio e un’ispirazione per molte persone nel corso degli anni, com’è stato il viaggio per raggiungere il momento in cui sentivi di poter parlare? Qual è stata la parte più difficile?
A dire il vero, non credo che avrei potuto evitare di parlare delle mie lotte e difficoltà. Ero arrivata a un punto in cui non potevo che tirare fuori le parole perché mi sentivo sola nel non poter parlare della verità della mia esperienza, sentivo come se nessuno conoscesse la vera me. E questo è qualcosa che la fama fa a una persona, ti aliena da gran parte della società e dà a tutti questi estranei l’illusione che ti conoscano, e sentivo questa disparità tra chi ero e l’immagine che si era creata di me dal lavoro che stavo facendo ed era incredibilmente frustrante.
Sono un’attrice e una scrittrice perché desidero “disperatamente” trovare una connessione con le persone, avere interazioni reali e profonde con gli altri su questa sconcertante e complessa esperienza multidimensionale che chiamiamo “essere umani”. Quindi, il mio bisogno di iniziare a parlare delle mie difficoltà è venuto dalla frustrazione per la discordanza tra l’essere un vero essere umano con pensieri oscuri, paure e difetti, ed essere percepito come un personaggio.
E poi, una volta che ho iniziato a parlare delle mie esperienze, ho notato che le persone hanno iniziato a romanzare anche quelle, a descrivermi come una sorta di sostenitrice trionfante della salute mentale e anche questo sembrava falso. Quindi tutto il mio esprimermi deriva da un desiderio e un’urgenza di condividere una verità più vera, di cercare connessioni più profonde. Ciò non significa che non sia spaventoso esprimere queste cose perché voglio anche piacere e non sentirmi fuori luogo e ho paura di mettere a repentaglio l’affetto delle persone se distruggo l’immagine che hanno creato di me.
Ma, secondo la mia esperienza, più condividi la tua verità, più legami significativi creerai nella tua vita.
“Sono un’attrice e una scrittrice perché desidero ‘disperatamente’ trovare una connessione con le persone”.
A questo proposito, com’è nato il tuo libro, “The Opposite of Butterfly Hunting”?
È nato da quel senso di frustrazione di cui ho parlato prima. Sin da quanto ero adolescente, ho sempre parlato apertamente della mia salute mentale con i media, e se da un lato questo era un atto liberatorio, dall’altro poi ho realizzato che si stava sviluppando una narrativa ben precisa intorno alla mia verità, che rispondesse agli obiettivi dei media, ovvero semplicemente scioccare o attirare l’attenzione delle persone, attirare click, eccetera. La maggior parte della stampa mainstream deve avere una certa vena sensazionalistica, motivo per il quale i giornali tendono a contorcere e manipolare le tue parole per raggiungere quello scopo. Mi ha infastidito molto vedermi dipinta come una paladina della guarigione, un’eroina, o anche come una vittima. Tutte le sfumature e la complessità della mia storia erano state rimosse, e questo mi ha fatto sentire come se non fosse più la mia storia, e non mi piaceva.
Leggevo articoli su me stessa, che mi ritraevano in parole attraverso le lenti della prospettiva di qualcun altro, e qualcosa in me è scattato, per cui ho pensato: “No. Come vi permettete di scrivermi e di scrivere la mia storia? Io la mia storia posso scriverla meglio di così”. Cosa più facile a dirsi che a farsi, ovviamente! Ma, alla fine, sono arrivata ad un punto in cui ero così stanca di essere il soggetto di qualcun altro e delle ripercussioni di quelle narrative sulla mia vita reale, che ho sentito il bisogno di sedermi e scrivere tutto a parole mie, dall’inizio alla fine. Non era una storia che morivo dalla voglia di scrivere, ma avevo bisogno di raccontarla. Alla fine, scriverla e chiudere quel capitolo in particolare, quella parte della mia vita, è stata la cosa migliore che abbia mai fatto per me stessa.
Qualunque cosa gli altri vogliano scrivere sul mio percorso dopo la pubblicazione di quel libro mi va bene, perché ormai la storia originale è stata raccontata, a parole mie.
Qual è stata la reazione migliore che hai ricevuto da qualcuno che ha letto il libro?
Venire a sapere di gente a cui il libro ha spinto a ritornare a coltivare una passione che avevano abbandonato.
Il mio cuore si riempie di gioia ogni volta che leggo messaggi del genere, perché il mio libro è esattamente un’esaltazione della creatività e della sua supremazia sul perfezionismo. In sostanza, il libro era la concretizzazione di me stessa, mi scuotevo le spalle e mi dicevo: “perché continui a perdere tempo ad auto-demolirti quando potresti integrare nel mondo bellezza, colore e vita?!”. Ho cercato di svincolarmi dai cardini del perfezionismo in modi che così tante persone brillanti e creative mi hanno insegnato, per incitarmi a scegliere sempre l’auto-espressione piuttosto che l’auto-repressione. Quindi, sapere che il libro aveva avuto quell’effetto su altre persone creative e sensibili che come me tendevano a reprimere la loro creatività è l’unico tipo di conferma di cui ho bisogno per convincermi a non smettere di scrivere. Alcuni mi hanno raccontato di aver iniziato a prendere lezioni di circo o di aver ripreso a fare danza come facevano da bambini, o addirittura una donna mi ha detto di aver iniziato a perseguire la propria passione legata alla riforma della salute mentale per gli adolescenti! Vedere esempi di questo genere di fuoco creativo interiore che viene rialimentato e arde intensamente nei lettori è una cosa che adoro in maniera indescrivibile, è bellissimo, e quando la gente condivide questi aneddoti con me mi fa un grande regalo.
“Scegliere sempre l’auto-espressione piuttosto che l’auto-repressione”
Cosa diresti alla te stessa più giovane?
Mi sarebbe piaciuto dirle di fidarsi del proprio istinto, aveva un ottimo istinto. Mi piacerebbe dirle di valorizzare e dare priorità a quei forti sentimenti di pancia, piuttosto che a ciò che le dicevano gli altri. Ma, ironia della sorte, dubito che mi avrebbe dato retta perché ero e sono molto testarda. La maggior parte delle cose che ho imparato le ho assimilate attraverso una qualche esperienza viscerale.
Hai rituali o cose che fai quando ti svegli al mattino o quando vai a dormire? Per esempio, alcune persone, prima di andare a letto la sera, fanno una lista di cose per cui sono grati, o simili elenchi… Cosa fai tu, invece?
Io adoro visualizzare prima di andare a dormire.
Si tratta di una pratica che molti fanno in maniera intuitiva, credo che alcuni la chiamino “sognare ad occhi aperti”, di cui la visualizzazione è una sorta di versione più intenzionale. È un metodo attraverso cui manifestare qualcosa nella tua vita, un momento in cui visualizzi con l’immaginazione qualcosa che vorresti accadesse e ti concedi di provare le emozioni di gioia e piacere e soddisfazione che scaturiscono da quell’esperienza, e questo aiuta a far sì che diventi realtà. È una pratica fondata sul concetto di legge di attrazione, in cui frequenze simili risuonano, o i simili si attraggono. Quindi, se stimoli il sentimento dell’innamoramento, attrarrai l’amore, per esempio.
Ho letto che visualizzare prima di andare a dormire è uno strumento particolarmente potente perché in quel momento di solito ti trovi in uno stato d’animo più quieto e questi sentimenti positivi riescono a permeare i tuoi sogni e il tuo inconscio, che ha un potenziale di manifestazione al di là del tuo pensiero cosciente. A parte il fatto che sia, effettivamente, uno strumento efficace di manifestazione, è così piacevole e bello addormentarsi immaginando cose gradevoli, aspetto sempre con ansia questo momento della giornata. Inoltre, è un modo per allenare la mente a pensare in positivo e aspettarsi cose belle, un po’ come una lista della gratitudine.
Nel 2018, hai fondato, insieme a Daniella Monet e Andrew Bernstein, “Kinder Beauty”, un espediente geniale per far avvicinare i consumatori ai migliori brand cruelty-free nell’industria del beauty, e per rendere i prodotti vegani e cruelty-free più facilmente accessibili. Come funziona il vostro “beauty subscription box” e com’è nata l’idea di dargli origine?
È abbastanza semplice: i clienti si iscrivono ad un piano mensile su kinderbeauty.com e ogni mese noi mandiamo loro una box contenente una selezione di prodotti make-up, skincare e per capelli, tutti vegani, cruelty-free ed ecologici. Il tutto ad una tariffa mensile fissa che parte da $23, ma una box può arrivare a valere anche $165, quindi è un’occasione per i clienti di risparmiare denaro e scoprire dozzine di brand di beauty etiche durante il percorso, e inoltre noi doniamo una porzione del ricavato mensile ad associazioni e santuari per la salvaguardia degli animali. E spediamo in tutto il mondo, per chi si stesse chiedendo se la piattaforma funzioni solo negli Stati Uniti!
L’idea è nata dal fatto che noi tre fondatori siamo vegani, eticamente motivati e volevamo creare un brand di beauty che facilitasse ai clienti la scelta di prodotti vegani e cruelty-free. Crediamo fermamente che i prodotti beauty non debbano avere un’origine e dei metodi di produzione riprovevoli, e c’è qualcosa di sinistro in quelle pubblicità di beauty immacolato che nascondono, invece, una realtà molto tragica e dolorosa per animali vulnerabili, dunque volevamo offrire un’alternativa, un’opzione facilmente accessibile per i beauty addicted più devoti. E ad essere sincera, è piuttosto semplice come business perché la richiesta di brand che siano etici in tutte le fasi della produzione è estremamente alta in questo periodo. La maggior parte delle persone sono inorridite dall’idea degli esperimenti sugli animali e non sanno nemmeno come questa sia una pratica in realtà prevalente nell’industria del beauty perché i brand usano un linguaggio sviante in maniera molto astuta, per dare l’impressione che stiano alzando bandiera contro la crudeltà sugli animali. Quindi, il nostro obiettivo è quello di rendere mainstream il beauty cruelty-free, educare i consumatori e facilitare la scelta di acquisti etici, rendendola anche economica e molto divertente.
Quali sono i tuoi brand di beauty preferiti?
Adoro follemente Inika per il makeup, la loro matita labbra e i mascara sono i miei prodotti preferiti da anni, e sono completamente vegani, cruelty-free e sostenibili. Amo Earth Harbor per la skincare, formulano prodotti fantastici e naturali e si impegnano molto per proteggere gli oceani. Un altro brand di skincare che trovo meraviglioso è Honua Skincare, un brand hawaiiano che sfrutta metodi curativi tradizionali ed erbe medicinali. Sono anche molto sostenibili e incentivano il sistema di riciclaggio.
“C’è qualcosa di sinistro in quelle pubblicità di beauty immacolato che nascondono, invece, una realtà molto tragica e dolorosa per animali vulnerabili…”
Il tuo più grande atto di ribellione?
Scrivere il mio libro.
Il bello dei libri è questo, il fatto che scriverli è un’avventura solitaria, nessuno ti dice di farlo. Io, poi, avevo già dei lavori, un podcast e richieste da parte di molte persone; quindi, ritagliarmi lo spazio e il tempo necessario per scrivere un libro mi sembrava, inizialmente, un atto di egoismo e auto-indulgenza. Ho dovuto dire mille no mentre scrivevo, ed è stata dura giustificare tutto il tempo che mi ero presa per lavorare esclusivamente su qualcosa che era importante per me. Mi ci è voluto un grande spirito di ribellione, testardaggine e impegno a ribellarmi contro le aspettative che la gente nutriva su di me. Non ho dovuto fare tutto da sola, lo ammetto – dopo pochi mesi, ho assunto un agente e poi ho avuto un contratto editoriale e un editore, quindi è stato un percorso abbastanza liscio. Nutro un gran rispetto per chiunque sia stato ribelle e dedicato al punto da continuare, testardamente, a scrivere un libro senza il supporto che ho avuto io. Eppure, la scrittura resta il mio più grande atto di ribellione.
Cosa ti spaventa di più?
L’acqua alta. È strano, perché sono riuscita a superare paure fisicamente estreme come quella dell’altezza o degli sport estremi, ma l’acqua per me è una forza misteriosa che non potrei mai sopraffare. Ho provato a imparare a nuotare diverse volte, ma nel momento in cui l’acqua raggiunge l’altezza delle mie orecchie, ogni tipo di razionalità mi abbandona e tutto quello che provo è panico totale e il mio corpo reagisce in una maniera tale che mi è impossibile imparare a galleggiare. È interessante, perché solo recentemente ho scoperto che anche mio padre ha il terrore di nuotare in seguito ad un’esperienza molto traumatica che ha vissuto da ragazzo. L’ho scoperto solo un paio di mesi fa, eppure sembra che in qualche modo io abbia ereditato questa fobia e diffidenza nei confronti dell’acqua. Non penso la supererò mai, è troppo grande e poi, francamente, sto molto bene sulla terraferma.
L’acqua, semplicemente, non è il mio elemento.
Qual è la tua isola felice?
Le lezioni di yoga aereo, oppure Waterlow Park nella zona nord di Londra.
Lo yoga aereo è il momento in cui spengo il rumore che fanno i miei pensieri ed entro in contatto con il mio corpo. Waterlow Park è il mio parco preferito a Londra. Ha le papere, gli scoiattoli, le colline, le altalene, il caffè, e tanti ricordi romantici.
Cosa ti fa ridere?
Gli animali con nomi di persone, lo trovo così divertente. Di recente, abbiamo adottato un pesce koi – un vicino si stava trasferendo e voleva donare il suo pesce koi ad un negozio di animali, così il mio ragazzo ha deciso di costruire un laghetto nel nostro giardino e ha adottato il pesciolino. È favoloso, ha un aspetto così esotico, e lo abbiamo chiamato… John. Mi fa morire dal ridere dire “Ciao John!” al mattino e “Buonanotte, John!” alla sera, e guardare nel laghetto e vedere questa strana creatura baffuta che sembra tutto fuorché un “John”.
Cosa ti infastidisce di più invece?
Non mi piace quando la gente parla ad alta voce delle proprie faccende private al telefono, in luoghi pubblici. Sì, abbiamo tutti questa curiosità perversa di farci i fatti degli altri e conoscerne tutti i dettagli più sordidi ed è dura non ascoltare, ma alcuni di noi stanno cercando di leggere! Secondo me, poi, è una cosa che denota una totale mancanza di empatia per gli altri e un senso di legittimazione del fatto che i problemi di quella persona siano la cosa più importante al mondo e tutti sull’autobus debbano subirli.
Dai, non scherziamo, ognuno di noi ha già i propri problemi con cui fare i conti, quindi abbassa il volume, amico!
“Lo yoga aereo è il momento in cui spengo il rumore che fanno i miei pensieri”
Quando ti senti più al sicuro?
Nel mio giardino, la sera. Lì abbiamo un cerchio per fare yoga adesso, e il laghetto, e una ghirlanda di bandierine colorate e un coniglietto che saltella in giro; non è molto grande e il treno che passa sui binari dietro la casa a volte fa parecchio rumore, ma per me resta un bellissimo santuario in cui posso rifugiarmi e sognare ad occhi aperti a fine giornata.
Il libro sul tuo comodino?
Beh, innanzitutto è libri. Ho sempre voglia di leggerne più di uno insieme! In questo periodo, alterno “Sixty Harvests Left” di Philip Lymbery, “Who Cares Wins” di Lily Cole, “How Veganism Can Save Us” di Emma Hakansson, e anche “Sacred Sex” di Gabriela Herstik, perché ci vuole sempre un po’ di pepe nella vita, e poi “Intransigenze” Vladimir Nabokov, che è uno di quei libri che finisco e ricomincio in continuazione perché è una grande fonte di ispirazione.
3 libri che raccomanderesti.
“Visualizzazione creativa” di Shakti Gawain, “Una nuova terra” di Eckhart Tolle, “Sabotaggio d’amore” di Amélie Nothomb.
All’inizio dell’anno, ha avuto luogo un evento epico: la reunion di Harry Potter. Com’è stato tornare in quel mondo, dopo tutto questo tempo?
Ho provato molti sentimenti complicati. È stato un onore parteciparvi ed essere accolta da quel gruppo di persone così affiatate, perché mi sono sentita sempre un po’ come quella fuori posto tra di loro, sia per il personaggio che interpretavo che per il fatto che sono entrata nella saga a metà strada. Quindi, è stato un grande regalo avere quel tipo di accettazione. Però, mi è anche sembrato tutto così surreale, è stato come se due mie diverse personalità fossero state costrette ad incontrarsi.
Dopo le riprese, siamo andati tutti a cena insieme quella sera, e io ero lì che ascoltavo il cast abbandonarsi ai ricordi dei primissimi giorni sul set, degli inizi del fandom, quando nessuno aveva idea di quello che sarebbe diventato il fenomeno “Harry Potter”, e io non avevo niente da dire perché durante il periodo di cui parlavano io ero dall’altra parte dello schermo, seduta sul pavimento del mio salotto a guardare le loro facce in tv. Quindi, è stato surreale perché mi sentivo di certo parte della reunion, ma ero anche una mosca sul muro, un’estranea che origliava racconti di esperienze a cui io non avrei dovuto partecipare. È stato un po’ come quando torni a casa per Natale per fare visita alla tua famiglia: sei emozionata e nervosa all’idea di rivedere tutti, e hai una voglia disperata di fare una buona impressione, ma quando sei lì, il fantasma della te adolescente torna a tormentarti e devi lottare duro per non trasformarti di nuovo in lei. Devi ripeterti queste parole: “Sono un’adulta forte e capace! Ho una casa tutta mia. E un gatto! Ho fatto tante cose! Non mi odio più!”.
Ma è testardo, quel fantasma.
Ultima domanda, ma non per importanza… Ci sono nargilli nel tuo giardino?
Nel giardino no, perché è il mio ragazzo che lo cura, e fa il giardiniere di professione, quindi non c’è pericolo che quelle canaglie lo infestino… ma non avrei nulla da ribattere se qualcuno diagnosticasse alle piante che ho dentro casa un’infestazione di nargilli, perché questo spiegherebbe perché ogni pianta che compro finisce sempre per seccarsi e morire. O è colpa dei nargilli, oppure le annaffio con troppo ardore. Eppure, trovo così tragica l’idea che un eccesso di amore e di cure possa essere fatale! Quindi, diamo la colpa ai nargilli.
Photos & Video by Johnny Carrano.
Styling by Alexandria Reid.
Makeup by Wendy Turner.
Hair by Davide Barbieri at Caren using Maria Nila.
LOOK 1
Cream suit: The Deck London
Gloves: Elissa Poppy
Earrings: Deborah Blyth
LOOK 2
Lilac knitted dress: Milo Maria
Bra and Pants: Elissa poppy
Earrings:Tilly Sveaas
LOOK 3
Blue dress: Lado Bokuchava @ Koibird
Socks: Falke
Heels: Aldo