Il primo set estero, il confronto con una nuova cultura, con un nuovo modo di fare film e, soprattutto, con una lingua diversa in cui recitare. Una sfida a dare il meglio di sé, mille passi al di fuori dalla propria comfort zone. Federica Sabatini questa sfida l’ha accolta a braccia aperte con la serie Netflix “Toy Boy” in cui si è poi ambientata alla perfezione, tra l’ansia di incomunicabilità e il velo di ambiguità che oscura il suo personaggio. Rania, tuttavia, è stato un ruolo che l’ha divertita, che ha interpretato con passione e curiosità per la sua anima guerriera, nella lotta alla sopravvivenza e relazione claustrofobica con il fratello.
Federica è la nostra Cover Story di aprile. Grazie al potere del mare, della natura, e al supporto della spiritualità, riesce ad affrontare ogni sfida che le si presenti con spirito di iniziativa e intraprendenza.
Tra esperienze cinematografiche indelebili e la necessaria ribellione delle “grandi fughe”, Federica si è raccontata, aprendosi su ciò che conta e dovrebbe contare davvero per lei e per tutti noi, uomini e donne di questo secolo: “prendersi cura della propria interiorità, della propria testa, perché è lo spazio in cui avviene tutto”.
Quando ci siamo viste, mi hai già un po’ raccontato dell’esperienza sul set di “Toy Boy”. Cos’è che ti ha fatto dire “sì, voglio farlo”, cosa ti è piaciuto di più del progetto?
Ho conosciuto il mio personaggio ai provini, e mi sono divertita tantissimo. Mi piaceva moltissimo lei, l’ho trovata interessante da interpretare, quindi non c’ho pensato due volte. Poi, mi ha convinta anche il fatto di poter lavorare fuori: sarebbe stata la mia prima esperienza all’estero, quindi avrei avuto la possibilità di sperimentare il mio modo di lavorare insieme al modo di lavorare di un’altra cultura, di altre persone che vivono in un altro contesto cinematografico. È stato davvero interessante.
C’è stata una domanda che hai rivolto agli sceneggiatori o al regista, quando hai letto il copione e la partitura del tuo personaggio? C’erano cose di cui volevi sapere di più?
In realtà, credo di avergli fatto un sacco di domande [ride]. Io sono andata lì avendo già letto una parte dei copioni, me l’avevano inviata per mettermi a conoscenza di tutto, quindi una volta arrivata, avevo dubbi in sospeso riguardo alla storia: avevo bisogno di capire il rapporto del mio personaggio con il fratello, che è molto particolare e all’inizio anche molto ambiguo, e non si capiva quanto dovesse essere spinto sull’ambiguità, o dovesse rimanere quello che era. Il mio personaggio è italiano, quindi ha tutto un background che noi conosciamo e che, nell’ottica di una nuova stagione, probabilmente sarà messo più in evidenza, anche se già in questa viene spiegato abbastanza, in un paio di momenti, da entrambi i fratelli. Il mio dubbio, quindi, era come inserire questo background italiano all’interno della Costa del Sole, oltre a capire bene come funzionava la linea narrativa, perché il mio è veramente un personaggio tosto. Lei vive due realtà simultanee da sempre, una interiore e una che è la sua risposta al mondo, come agisce, come si comporta affinché possa mantenere le cose sotto controllo; però, dentro è sempre in opposizione a quello che fa vedere fuori, è un personaggio su più livelli…
… e tutto da capire! [ride]
C’è qualcosa di te nel tuo personaggio? Senti che ti ha lasciato, insegnato qualcosa?
La cosa di cui mi sono più stupita è quanto io mi sia divertita con questo personaggio. In qualche modo, mi ha anche intimorita, perché era difficile da interpretare, però dall’altro lato, la voglia di fare era talmente tanto grande che ciò che mi è più rimasto dentro è stata quanto mi sono divertita a fare Rania. È stata una roba nuova, affrontare la paura con questa spinta di felicità nel fare il “salto”, invece di dirmi: “Oddio, da qui è troppo alto!”. Okay, sembra altissimo, ma lo farò ‘sto salto, vediamo come va. Quindi, il mio personaggio mi ha lasciato una grande energia dentro. Per il resto, è una persona poco stimabile [ride], ma la sua faccia tosta mi è stata utile.
“Il mio personaggio mi ha lasciato una grande energia dentro…”
L’aver fatto questa esperienza, come dicevi tu, in un altro paese, un’altra cultura, un’altra lingua, ti ha spaventata inizialmente? Come hai vissuto l’esperienza?
Io ho un piccolo problema di perfezionismo, quindi la situazione sicuramente mi metteva a disagio. Innanzitutto, mi spaventava il non poter parlare del mio lavoro con chiunque si trovasse sul set in qualsiasi momento con tutti i termini necessari per farlo, dai responsabili di trucco e parrucco, agli scenografi, al regista, allo sceneggiatore, saper parlare dei personaggi come ne parlo nella mia lingua, con tutta la stessa gamma di parole e di possibilità; quindi quello era il mio primo obiettivo, arrivare con una base linguistica tale da permettermi di affrontare la parte più pratica.
Il personaggio lo stavo già costruendo, per la lingua avevo una coach lì, quindi da quel punto di vista sapevo di avere un sostegno, però mi dovevo anche auto-sostenere in quanto Federica, perciò mi sono esercitata in conversazione tutto il tempo che avevo, e di tempo ne ho avuto poco, circa un mese e mezzo da quando ho saputo di essere stata presa all’inizio delle riprese. Prima di partire, ho fatto conversazione in Italia, con una professoressa madrelingua, e poi dopo sono andata lì. I primi giorni in cui dovevo recitare in spagnolo, ho “rapito” la coach che stava sul set, poverina, (ora siamo amiche e mi vuole molto bene), l’ho praticamente relegata alla scrivania con me e le ho detto: “Finché la battuta non è perfetta, noi non ci muoviamo!”. Fortunatamente, lei è una come me, perfezionista, quindi ci siamo incontrate, però io ero proprio tremenda [ride]. È anche una questione di rispetto del lavoro di tutti, io non mi sarei mai potuta permettere di arrivare sul set impreparata e recitare in un’altra lingua, sarebbe stata una mancanza di rispetto totale verso i miei colleghi. Però, insomma, ce l’abbiamo fatta.
L’idea mi fa ridere, perché quando ho rivisto la serie, ho notato i momenti in cui si sentiva di più l’italiano, e i momenti, magari girati in giorni diversi ma montati attaccati, in cui il mio spagnolo era completamente diverso, più sciolto: mi fa ridere la “capacità” di Rania di migliorare o peggiorare il suo spagnolo da un istante all’altro [ride].
Come descriveresti il tuo personaggio con una sola parola?
Lei è una persona che lotta per la sopravvivenza, un personaggio che mette davanti a tutto il cercare di salvarsi sempre la vita. So che non è una parola, ma non so come si può descrivere in un termine solo. È il suo moto emotivo che la porta a fare le cose, perché vive una relazione claustrofobica, di totale dipendenza dal fratello, in cui lei deve anche gestire le cose di lui, è l’unica che può gestire il suo carattere molto complicato, quindi quello che fa è cercare di sopravvivere sempre.
So che tu, per esempio, scrivi molto, hai anche un tuo progetto di scrittura; c’è qualcosa che nella tua vita fai quotidianamente per “ricentrarti”, anche in una situazione di stress come quella che hai vissuto, che pur essendo parte del tuo lavoro, è stata comunque una situazione particolare, come raccontavi prima. C’è qualcosa che facevi, anche allora, per ritrovarti?
Sì, io medito. Quando sto vivendo dei momenti molto difficili, l’interiorità è sempre la mia risposta, tornare dentro di me per capire e per aiutarmi è la mia risposta. Pratico il reiki, uso incensi, candele, cristalli, tutto quello che mi possa aiutare a meditare.
Mi aiuta tantissimo anche la natura: fortunatamente, lì in Spagna stavo vicino al mare, quindi potevo fare una passeggiata e arrivare in spiaggia quando ne avevo bisogno; il mare, per me, è una valvola di sfogo, mi basta anche solo guardarlo.
Quotidianamente, ricorro molto alla spiritualità, e non sempre è facile, nel senso che spesso te la scordi, anche se sei una persona che fa tantissimi percorsi di questo tipo; a volte io me ne dimentico, perché se provo delle emozioni troppo forti, prima devo farle passare, e poi posso trovare una chiave per rileggere quello che succede o per aiutarmi, sostenermi.
Quindi ti direi che il mio rituale è questo, la spiritualità.
“…se provo delle emozioni troppo forti, prima devo farle passare, e poi posso trovare una chiave per rileggere quello che succede…”
Quello che cerchiamo di fare noi, sia nelle interviste “normali”, sia in quelle che rientrano nei nostri format, è parlare apertamente di salute mentale, di quanto sia importante prendersi cura di quella parte di sé stessi, non solo del corpo, che poi ovviamente ne beneficia di riflesso. Secondo te, quant’è importante normalizzare sempre di più questa discussione? Secondo te, siamo arrivati ad un momento in cui se ne può parlare sempre di più?
Secondo me, avremmo dovuto normalizzarlo da sempre come argomento! Io poi studio psicologia, quindi sono la prima a ritenere importante la discussione. Oggi siamo fortunati perché se ne parla molto di più, però c’è un grande pregiudizio sul tema. La psiche dell’uomo ha un potenziale incredibile, se pensiamo al modo in cui cerchiamo di sopravvivere alla vita e quello che possiamo fare per stare bene: nella nostra testa, c’è un universo. Molto spesso, il corpo, essendo fortemente connesso con la mente, è un riflesso di quanto la psiche possa stare bene o male. Io non so perché ci sia tutta questa vergogna intorno al tema della salute mentale, ma penso dipenda dal fatto che ci sia anche un pregiudizio sulla follia, che non si conosce, è una cosa diversa.
Un altro fattore discriminante è che adesso con i social ci sono tutte queste “promozioni 3×2” di psicologi prête-a-porter, rintracciabili con messaggini sulle chat: quello non è fare terapia, è come se tu avessi bisogno del medico per farti visitare il fegato, e invece di andare lì di persona, gli mandi una foto del punto in cui hai dolore. Ma non vale! Così non avrebbe nulla, niente cartella clinica, non potrebbe studiarti. Io spero che si arrivi ad un punto in cui la discussione venga totalmente normalizzata, perché non ha senso non andare a indagare la mente, è la base di tutto, per stare bene bisogna prendersi cura della propria interiorità, della propria testa, perché è lo spazio in cui avviene tutto, registriamo tutto lì. È assurdo che venga ancora bistrattato come argomento, o sminuito da chi dice: “Vabbè ma è inutile che vai dallo psicologo, ti fai una chiacchiera con l’amico ed è uguale!” [ride].
Quindi, viva la normalizzazione della psiche.
Comunque, credo che il tuo lavoro di attrice sia coerente con gli studi che stai facendo, forse è una cosa che si dovrebbe fare, perché lo studio della mente umana, di come funzionano certe cose, penso ti possa aiutare, quando ti trovi davanti un personaggio di un certo tipo, a immedesimarti ancora di più, a capirlo. Ricordo che tu una volta mi hai detto che non bisogna mai avere giudizi sul personaggio che devi interpretare, però a volte può essere difficile capire certi meccanismi… Insomma, è super interessante che tu abbia voluto anche intraprendere questo percorso. Qual è stato, invece, il tuo più grande atto di ribellione?
Lottare per la mia indipendenza tutti i giorni! [ride]
Tutti i miei atti di ribellione sono stati compiuti ogni volta che ho sentito minare la mia libertà di individuo: andarmene, correndo, scappando da tutte quelle situazioni. La mia ribellione consiste proprio nell’imparare ad amarmi e ricordarmi che devo essere una persona libera in questa vita.
Che è importante e non sempre facile…
No, anzi, difficilissimo, perché spesso entrano in atto dei meccanismi di cui nemmeno ti rendi conto, però poi, una volta aperti gli occhi e viste le cose sotto un’altra luce, da parte mia solo grandi fughe, non mi vedi più… [ride] Poi sono acquario, mi riesce benissimo diventare un fantasma nelle vite delle persone!
“Lottare per la mia indipendenza tutti i giorni!”
Invece, cosa significa per te sentirti a tuo agio nella tua pelle? Non necessariamente dal punto di vista estetico.
No, assolutamente. Si tratta di un’integrazione fra il mondo interiore e il mondo esteriore, perché non puoi far finta che non esista l’uno o l’altro, e questa cosa purtroppo ce la ricorda molto la nostra società, il che, secondo me, crea un bel po’ di sofferenze. Dunque, penso che ognuno debba fare quello che può affinché da entrambi i punti di vista si possa sentire a proprio agio con sé stesso o sé stessa.
Per quanto mi riguarda, stare bene con me significa riuscire a raggiungere una grandissima accettazione di chi sono nonostante i miei lati d’ombra. Quello che ho constatato in 30 anni di vita è che il mio più grande ostacolo sono sempre io, e quindi sono io che devo imparare a gestire i miei strumenti, sono io che devo imparare a capire quali tasti premere con me stessa, per stare bene e riuscire a farlo, e dire: “Va bene, non ci riesco oggi, però lavoro per riuscirci domani”; non c’è nessuno che ti punta la pistola alla testa, la vita è la tua, devi stare bene tu, devi fare quello che ti fa stare bene.
Purtroppo, secondo me, anche qui entra in ballo la questione del privilegio: a volte, servono degli strumenti come la terapia, ma non tutti possono permettersela, e non è detto che le terapie economicamente abbordabili siano efficaci per ogni persona, perché non è che qualsiasi terapeuta e qualsiasi approccio terapeutico vanno sempre bene per chiunque, è come il medico, ti può anche capitare uno che non ti ha saputo diagnosticare una cosa. A volte, uno deve fare i conti con quello che ha, purtroppo, e quella è la parte più difficile, perché è vero che volere è potere, nel senso che la forza di volontà è la base per riuscire a smuovere dei cambiamenti, però alla fine non puoi inventarti dal niente una vita totalmente opposta alla tua; magari, ci puoi arrivare con dei tempi molto lunghi, ma è sempre una questione di possibilità economiche, culturali e sociali, dipende da dove sei cresciuto, come, quando, perché. A me, per esempio, la vita è cambiata spesso negli anni; ho avuto delle fasi in cui ho vissuto dei problemi molto diversi fra loro, e non avrei mai pensato di riuscire a realizzare il mio lavoro come lo sto facendo da qualche anno a questa parte, quindi sento di doverti dire che la vita può cambiare, le cose possono stupirti; però non è una regola generale, e quando ti succede, devi esserne grato e riconoscere che è stato frutto dei tuoi impegni, però anche di una bella occasione che si è presentata. Io mi sento molto fortunata e grata di come sto riuscendo a portare avanti il mio sogno, perché non è facile, è anche un insieme di occasioni che uno cerca di gestirsi al meglio.
“…sono io che devo imparare a capire quali tasti premere con me stessa…”
“…la vita può cambiare, le cose possono stupirti…”
Invece, cos’è che ti fa sentire al sicuro?
In maniera molto tenera, ti dico gli abbracci, ma non tutti, solo quelli delle persone che amo: sono molto selettiva, e poi dipende dallo spazio che quella persona occupa in quell’abbraccio. Però, il contatto fisico con qualcuno con cui mi piace averne, per me è uno spazio di sicurezza incredibile.
Poi, mi fa sentire al sicuro anche affidarmi alla speranza che questa vita avrà un senso prima o poi, da qualche parte, e che tutto ciò che mi succede a valanga negli anni prima o poi troverà un posto, come ha fatto fino ad adesso. Per quanto la trovi molto cruda e difficile da vivere a volte, io nutro una profonda stima per la vita. È una lettura un po’ spirituale, però io non parlo di Dio o dei, perché lo trovo quasi limitante nella sua concettualizzazione, ma credo ci sia un movimento vitale molto forte di cui fai parte e in qualche modo sei un prodotto e questo pensiero mi fa sentire protetta, anche sapere semplicemente che faccio parte della storia dell’umanità, per cui fra 200, 100 o 50 anni nessuno si ricorderà più di me, e io non mi ricorderò più dei miei problemi perché non ci sarò più, sarò polvere, e questa cosa mi dà una libertà incredibile. Certe volte mi affanno così tanto mentre sono in vita, ma poi se penso che alla fine tornerò a essere niente, mi chiedo: perché farmi così tanto male da sola? Lasciamo stare, molliamo, non se lo ricorderà nessuno, non avremo più questo peso perché faremo solo parte della storia dell’umanità. Questo mi dà libertà e sicurezza.
A parte i libri su cui stai studiando, qual è quello che stai leggendo in questo momento?
Sul comodino ho “La mia famiglia ed altri animali”, di Gerald Durrell, “Vite non vissute”, che è un libro di psicanalisi, e “La favolosa storia delle verdure”. Quest’ultimo, di Évelyne Bloch-Dano, me l’hanno regalato ad un mio compleanno, perché io non mangio carne e per un periodo non ho mangiato neanche il pesce (ma ora devo mangiarlo per questioni di salute), quindi quel libro me l’hanno regalato nel mio periodo di 100% vegetarianesimo: racconta proprio tutta la storia delle verdure, è un libro molto carino, tenero, giusto e simpatico, perché è bello sapere da dove arrivino le cose che mangiamo. Altri libri molto belli che consiglio sono “La città dei vivi” di Nicola Lagioia, che ho letto mentre giravo in Spagna – l’ho iniziato in aereo, e non l’avessi mai fatto, è un libro che ti apre, veramente bellissimo – e poi “Darling Days” di iO Tillett Wright, che è il racconto biografico di una transizione di genere, ed è veramente qualcosa di spettacolare, l’ho finito in quattro giorni, ci ho dormito abbracciata la notte, non riuscivo a lasciarlo, scritto e tradotto molto bene, amo lo stile della letteratura newyorkese.
“La favolosa storia delle verdure”
Invece, tornando a “Toy boy”, come ti immagini possa proseguire la storia del tuo personaggio?
La verità e che non lo so! La storia del personaggio è in sospeso, dopo che incastra il fratello, alla fine: il mio personaggio rimane in una posizione molto aperta, delicata, non si sa cosa succederà, perché passa dal rischio di essere ammazzata all’avere l’impero in mano, ma non so proprio cosa i registi e sceneggiatori stiano architettando per la terza stagione.
Photos by Johnny Carrano.
Makeup by Vanessa Vastola.
Styling by Sara Castelli Gattinara.
Thanks to Others srl.
LOOK 1
Total Look: Vernisse
Flat Shoes: Jimmy Choo
Choker: Lil Milan
LOOK 2
Total Look: Missoni
Choker: Lil Milan
Sandali: MiAlma
LOOK 3
Total Look: Red Valentino
Sandali: Jimmy Choo
Choker: Lil Milan