Un campo di grano.
Un orto con i doni della terra.
La voglia di entrare in contatto con la natura.
I colori giallo e verde dell’estate.
Danzare sopra il grano, correre e lasciarsi andare.
Sentirsi liberi.
Essere liberi.
Per la nostra Cover Story di luglio non potevamo che parlare di libertà, connessione e di ritrovarsi con sé stessi. Ci ha dato l’opportunità di fare questo l’attrice Federica Sabatini che ci ha aperto gli occhi su come dovremmo amare l’istante in cui viviamo, di come rispettare il mondo che ci sta intorno e della libertà che deriva da questo amore.
Federica, che ha appena terminato le riprese della terza stagione di “Suburra – La serie” e con tanti altri progetti in uscita, ci ha spiegato di come la recitazione l’abbia “salvata”, aprendole un mondo nella quale poteva esprimersi e rompere la sua timidezza. Ma ci ha anche parlato di come un attore debba affrontare un personaggio con empatia, senza giudizi e come, ogni volta, debba far spazio dentro di sé per far vivere un nuovo mondo, fatto di sfaccettature che non gli appartengono.
Federica fa questo, e molto altro e ce lo spiega con le sue parole nella nostra nuova Cover Story.
Come hai vissuto e stai vivendo questo periodo?
Escludendo le problematiche e il dolore che abbiamo provato come società, personalmente ho vissuto questi ultimi mesi con una grande libertà mentale e interiore, godendomi il tempo per dedicarmi alle mie passioni e a nuove scoperte.
Fermarmi è stato davvero rigenerante per me e mi ha permesso di connettermi ancora di più con ciò che sono, nel rispetto dei miei tempi e delle mie emozioni. È stato più difficile ricominciare, tornando ad una realtà simile, seppur diversa, a quella che avevamo lasciato.
Quanto Nadia e “Suburra – La serie” in generale sono stati importanti per te a livello di crescita professionale?
Tantissimo, sicuramente è stato il lavoro più importante perché comunque era a livello internazionale, un mondo a cui prima non mi ero mai affacciata. È stata l’esperienza più significativa fino ad ora e dove mi sono sentita più realizzata a livello artistico. Non potevo permettermi di avere paura di affrontare un set così grande, ho dovuto fare appello a quelle risorse nascoste che ognuno ha dentro di sé per affrontare l’esperienza al meglio, anche solo per i temi trattati, perché mi sono dovuta avvicinare ad un mondo che non ho mai vissuto fortunatamente.
“Fermarmi è stato davvero rigenerante per me e mi ha permesso di connettermi ancora di più con ciò che sono, nel rispetto dei miei tempi e delle mie emozioni.”
Qual è stata la cosa più difficile che hai dovuto affrontare e quale invece la più bella?
La più difficile è stata sentirmi all’altezza del progetto e lavorare con attori così bravi tutti insieme [ride]. Spero di esserci riuscita a stare al loro livello e di aver dato qualcosa di buono come partner di scena, che potesse volgere a favore dei loro personaggi. Una realtà così grande mi ha permesso una crescita diversa.
C’è stata una scena che è stata più forte delle altre da girare?
Più di una per vari aspetti. C’è stata una giornata un po’ più forte in cui mi sono sentita molto connessa con il mio personaggio, è stato quando abbiamo girato alcuni momenti chiave, ossia quando Nadia va a chiedere aiuto a Numero 8 dopo essere stata picchiata dai cugini, cercando di non fargli troppa pena e quando cerca di spronarlo a reagire e a non lasciarsi andare. È stata la giornata in cui ho capito Nadia.
Era anche la prima volta che sparavo in scena, sapevo che non c’erano proiettili veri e che le pistole sparavano a salve ma comunque facevano la fiamma e un boato incredibile, è stato forte. All’inizio quando ho impugnato l’arma tremavo, ero molto agitata, poi quando ho iniziato mi sono divertita come una matta, non finivo più [ride].
“È stata la giornata in cui ho capito Nadia”.
Se potessi usare una parola per descrivere Nadia?
Fragile, che cerca in tutti i modi di essere forte. Non è una debolezza ma è un personaggio un po’ bambino, con un passato molto difficile, con questa voglia di riscattarsi sempre presente e con un cuore grande alla fine di tutto.
C’è stata una cosa in particolare che ti ha fatto innamorare del mondo del cinema?
È una passione nata per imitazione perché capivo che potevo rifare quello che vedevo; è una curiosità nata dal fatto che potevo vivere più vite nella stessa incoscientemente, sapendo che avrei potuto essere qualcosa che altrimenti non sarei mai stata per differenze di carattere o esperienze di vita. Sicuramente è stata anche un’estrema curiosità verso l’essere umano e perché rifacevo tutto quello che mi divertiva, dai video clip di MTV a Moulin Rouge, ruoli maschili inclusi.
Da piccola realizzavo anche dei teatrini con i bambini del condominio, poveracci. Credo sia stata un’esigenza inconscia, ero molto timida quindi per me la recitazione è stato lo strumento grazie al quale il mio inconscio ha detto: “Ok Federica, puoi sopravvivere a tutto” [ride]. Se ripenso alle recite delle elementari non ci avrei mai scommesso, ero molto timida e chiusa, lo sono ancora ma adesso almeno riesco a parlare con le persone.
Il gioco sta tutto nel fatto che interpreti un personaggio quindi Federica lascia lo spazio al personaggio, ma nessuno lo sa perché fuori c’è X che prende vita e tutti guardano X. Ho fatto recentemente un’esperienza in un teatro indipendente: non c’era una grande quantità di posti ma quelli che c’erano bastavano a farmi venire l’ansia giusta, tanto che ogni sera entravo in scena e dicevo: “Basta, io me ne vado”.
“…per me la recitazione è stato lo strumento grazie al quale il mio inconscio ha detto: Ok Federica, puoi sopravvivere a tutto”.
Come è stata l’esperienza del teatro rispetto a quella sul set?
Bellissima perché il teatro è una cartina tornasole istantanea, senti tutto dal pubblico. E poi ogni volta è diverso, ho fatto 12 serate a teatro e sembrava infinito e invece è passata pure quest’esperienza, ma tutte le sere erano diverse proprio per la varietà e il modo in cui reagiva il pubblico.
Quali sono le storie che sogni di raccontare?
Mi piacerebbe fare una biografia. Non so se sarei all’altezza ma spero di potermi mettere alla prova prima o poi in questo genere: non so chi vorrei interpretare esattamente, perché per ogni persona scopri delle cose pazzesche a cui devi dare verità affinché gli spettatori vedano proprio quelle cose li. Il giudizio in questo caso va completamente sospeso, come per qualunque personaggio in ogni caso: ad esempio Federica odia le armi mentre Nadia spara in ogni occasione, ma è giusto così, la persona deve lasciare lo spazio necessario a dare vita a qualcos’altro.
L’ultima cosa che hai scoperto di te stessa?
Che mi sento molto amata dalla vita, anche nei momenti più bui.
Un film per ridere, un film per piangere, un film per stare sulle spine?
“Frankenstein Junior”, “La pazza gioia”, “Parasite”.
Come scegli cosa guardare?
A volte per le tematiche, altre seguendo buoni consigli, altre ancora per la regia o il cast.
Il libro che ti piacerebbe interpretare sul grande schermo?
“Qualcuno con cui correre” di Grossman.
“…mi sento molto amata dalla vita, anche nei momenti più bui”.
Cosa vuol dire sentirti a tuo agio nella tua pelle?
Essere sempre connessa con i miei bisogni, seminare e raccogliere ciò che mi rende felice, ricordarmi che siamo pieni di bellezza e che la vita è transitoria, l’esperienza è qualcosa di unico di cui godere nel qui ed ora con gratitudine.
“L’arte della ricerca” è un progetto di scrittura personale: ti piacerebbe scrivere qualcosa per il cinema?
È un progetto più collegato ai miei percorsi spirituali, anche se ho provato a scrivere un paio di cortometraggi. Scrivo molto sotto ispirazione quindi mi prendo degli enormi periodi di pausa. Mi piacerebbe scrivere dei monologhi di donna che possano recitare le mie amiche, non vorrei recitarli io, mi piace l’idea che qualcun altro dia vita a qualcosa di scritto da me.
“L’esperienza è qualcosa di unico di cui godere nel qui ed ora con gratitudine”.
Come è iniziato questo tuo progetto in cui scrivi del tuo percorso spirituale?
La spiritualità ha sempre fatto parte del mio carattere e la coltivo sin da bambina, ho scelto personalmente come gestirla. Ho incontrato la meditazione verso i 18 anni e non l’ho più lasciata. Da lì, a parte le tecniche meditative che si possono imparare, si sono uniti tantissimi percorsi: ora ad esempio sto facendo formazione per le costellazioni familiari, che è un viaggio sia spirituale che psicologico perché vai a lavorare tantissimo sul tuo vissuto, richiede una grandissima accettazione degli eventi.
L’inizio di questo percorso può essere stato mio nonno che a 4 anni, mentre schiacciavo delle formiche in giardino, mi ha detto di non farlo perché erano esseri viventi anche loro e non era giusto che io le uccidessi. Quello forse è stato l’inizio del mio cambio di rotta: è una parte predominante della mia vita a cui dedico tanto tempo quanto alla recitazione, il mio progetto sarebbe quello di unirle prima o poi creando un percorso specifico.
Mia nonna paterna poi, quando trovava degli uccellini in fin di vita, se li metteva nel petto per dare loro da mangiare: ho sempre vissuto delle storie di rispetto e di legame con la natura molto sentite e per me è molto emozionante, mi commuovo con qualsiasi cosa.
Una volta stavo facendo il minestrone e mi sono messa a piangere per i doni della terra perché senza verdura non mangi: se non è commuovente il pianeta dove vivi, che ti sfama e ti riempie di sensazioni, allora cosa dovrebbe esserlo? Se la gente non lo capisce forse dovremmo chiederci come persone dove stiamo finendo. Se riuscissimo ad avere una maggiore empatia magari smetteremmo di lottare contro i diritti umani votando invece a favore.
C’è un libro che stai leggendo o che hai letto e che ti è piaciuto particolarmente?
Non so più quanti libri aperti ho sul comodino, di vario genere, ma come narrativa al momento sto leggendo “Lamento di Portnoy” di Roth e “La mia famiglia e altri animali” di Durrell.
Lo so, dovrei leggerne uno alla volta ma è più forte di me.
Un film che ti ha colpito recentemente?
Più che un film, una serie chiamata “Unorthodox”.
Non ero molto informata sulla realtà che racconta e l’ho trovata interessante, in più è basata su una storia vera, che per me è un valore aggiunto. Amo le biografie.
Qual è stata l’esperienza che fino ad ora ti ha fatta più sentire libera?
Avrei tre opzioni con cui rispondere, tutte e tre valide, ma tra queste direi “I Liviatani”, un film che deve ancora uscire. È stata un’esperienza nuova, ho interpretato un personaggio che mi ha permesso di conoscere cose che non avevo mai sperimentato prima e interpretarla è stata una bellissima scoperta.
Cosa ci puoi raccontare dei tuoi prossimi progetti?
Non molto per ora, ho appena finito di girare la terza stagione di “Suburra la serie” e ho un film in uscita prossimamente.
Spero di poter dire di più presto, sono curiosa anche io.
Incrociamo le dita!
Photos and Video by Johnny Carrano.
Makeup & Hair by Larissa Klingelfuss.
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Thanks to Woolcan.
Thanks to Tenuta Roverbella.
Look 1: Asos.
Look 2: Antonio Marras.
Look 3: Antonio Marras.