Con “La scuola cattolica” e “Mondocane”, Federica Torchetti sbarca al cinema per raccontare due storie socialmente e storicamente rilevanti, in nome del fine ultimo del cinema, quello di “veicolare un messaggio”.
Abbiamo intervistato Federica per farci raccontare com’è andata su quei set pieni di responsabilità: ricreare e “rivivere” il Massacro del Circeo è stato un grosso impegno attoriale e morale, tanto quanto immaginare la quotidianità di una Taranto post-apocalittica. Federica, però è una donna potente, come quelle che sogna di raccontare, e non si arrende di fronte a paure e necessità di trasformazione. Federica accoglie le sfide e si ripromette di imparare a viverle con sempre maggiore consapevolezza.
Qual è il tuo primo ricordo legato a questo mondo?
Il mio primo ricordo legato al mondo del cinema risale a quando ero una bambina, circa 7/8 anni, e la domenica ai tipici pranzi lunghissimi del sud a casa di mia nonna, si era soliti guardare la televisione, e passavano i cult del cinema italiano in bianco e nero (film con Totò, Monica Vitti, Sophia Loren). Io li guardavo sempre e credevo che la realtà negli anni passati fosse proprio cosi, “in bianco e nero”.
Fai parte di due storie completamente diverse tra loro ma ugualmente importanti: “La scuola cattolica” di Stefano Mordini e “Mondocane” di Alessandro Celli. Come stai vivendo questo momento così emozionante e pieno della tua carriera?
Sono molto fiera di me ed orgogliosa, la me di 5 anni fa sarebbe davvero felice del percorso che sto facendo. Se devo essere sincera, ho realizzato a pieno solo quando sono andata a Venezia, come se avessi avuto la consapevolezza che in un festival così prestigioso ci fossi anche io.
Il prossimo obiettivo è quello di vivere tanti altri momenti cosi pieni ed emozionanti, e lavorerò con la stessa energia e voglia di prima, ma con una consapevolezza in più.
“…la me di 5 anni fa sarebbe davvero felice del percorso che sto facendo”.
“La scuola cattolica”: l’adattamento cinematografico di un terrificante fatto di cronaca, il massacro del Circeo. Qual è stata la tua prima reazione quando hai letto la sceneggiatura e metabolizzato il ruolo che avresti dovuto interpretare? E qual è stata la prima domanda che hai rivolto al regista e a te stessa?
Ricordo come fosse ieri il provino de “La scuola cattolica”, e a fine prova Stefano mi disse: “Federica, lo sai di cosa parla la storia? Saresti disposta a farlo?”. Sì, sapevo sin dall’inizio quello che andavamo a raccontare e, devo essere sincera, non ho mai avuto dubbi. Volevo farlo sapendo che sarebbe stata oltre che una gran sfida attoriale, un impegno morale per me. Parlo da donna. Quando ho letto la sceneggiatura, sono rimasta affascinata dal lavoro che hanno fatto Massimo Gaudioso e Luca Infascelli. Più leggevo e più volevo raccontarlo, avevo voglia di interpretarlo, nonostante ci fosse in me una buona dose di paura. Ma era giusto così.
“…sapevo sin dall’inizio quello che andavamo a raccontare e, devo essere sincera, non ho mai avuto dubbi”.
Quali sono state le difficoltà dell’interpretare il tuo personaggio, Rosaria Lopez, la giovanissima vittima del delitto, e come le hai affrontate e superate?
La difficoltà più grande è stata affrontare le sequenze al Circeo. Il giorno prima di battere il mio primo ciak ero in hotel al Circeo, e ricordo che la prima notte non riuscivo a dormire. In realtà quando abbiamo iniziato a girare non mi sono resa conto di quello che stavo facendo, ero poco consapevole. Ho deciso di lasciarmi andare totalmente e di abbandonarmi alla sorpresa, di entrare in contatto con quel tipo di dolore e di rievocarlo (anche se solo lontanamente potevo immaginarlo). Stefano è stato molto di supporto in tutto questo, sempre vicino a noi, ci ha lasciato molto libere di esprimerci, pochi vincoli. Ciò nonostante non mi sentivo mai in balia del fato. Mi sentivo protetta e al sicuro, un grande silenzio sul set e tanto rispetto. Ho cercato di fare un lavoro emotivo e fisico attraverso il mio corpo.
“Ho deciso di lasciarmi andare totalmente e di abbandonarmi alla sorpresa…”
Come descriveresti “La scuola cattolica” in una sola parola?
RIEDUCAZIONE.
Com’è stata, invece, l’esperienza sul set di “Mondocane”, in concorso alla Settimana della Critica? Qui interpreti un’“altolocata” nei ranghi del clan criminale di Taranto, la protetta del boss e l’unica ragazza in quel microcosmo di violenza e perdizione: come hai lavorato su te stessa, ma anche con il regista e con il resto del cast, per plasmare il tuo personaggio?
Sono partita col fare un lavoro di tipo fisico, mi sono messa a dieta ed ho fatto attività fisica. L’idea era quella di essere il più deperiti possibili, l’immagine di un gruppo che non viveva nell’agio, che non aveva una vita facile. Mi sono molto divertita sul set, si è creata una bella atmosfera e tanta relazione con gli unici due adulti con cui principalmente il mio personaggio si relazionava, Alessandro Borghi e Josafat Vagni, e con i due ragazzini protagonisti Dennis Protopapa e Giuliano Soprano. Molte cose venivano da sé, Alessandro Celli si è molto affidato a me ed io a lui, e mi ha lasciato molta libertà. Lo ringrazio per questo, perché ho potuto sperimentare.
Devo dire che quando mi guardavo allo specchio non vedevo me, ero talmente diversa, con quelle lentiggini e quel costume, che questo mi ha aiutato a deresponsabilizzarmi e a permettermi di “giocare” di più. Ero l’unica donna ma mi sentivo forte e a mio agio in quel mondo maschile. Tutti gli attori sono stati molto generosi, da Alessandro Borghi ai ragazzini, nella loro spontaneità e purezza.
“Devo dire che quando mi guardavo allo specchio non vedevo me, ero talmente diversa, con quelle lentiggini e quel costume, che questo mi ha aiutato a deresponsabilizzarmi e a permettermi di “giocare” di più”.
La storia e l’ambientazione del film sono “fantascienza”, la Taranto di un futuro quasi post-apocalittico. Qual è il messaggio che il film vuole lanciare, l’insegnamento che speri il pubblico tragga dalla visione di questo film?
Come ha riferito Alessandro Celli in un’intervista, il film vuole essere un grido di speranza ed un tributo ad un posto bellissimo, in questo caso Taranto, ma ci tengo a sottolineare che può essere qualsiasi parte d’Italia e del mondo. L’inquinamento è un problema attuale e spero che a fine film ogni spettatore possa riflettere su quello che tutti i giorni rischiamo di perdere se non siamo capaci di preservarlo.
Una parola per descrivere “Mondocane”?
BAMBINI.
L’ultimo film che ti ha fatto scoprire qualcosa di nuovo su te stessa?
“Portrait de la jeune fille en feu” di Céline Sciamma, mi ha fatto capire quanto sia importante nella vita buttarsi e non rimanere con il rimorso di non aver fatto quello che volevi, quando potevi.
L’ultima serie che hai divorato?
“Domina”, una serie Sky con Kasia Smutniak, che racconta la storia di Livia Drusilla, la donna più potente di Roma.
Quali storie sogni di raccontare?
Sogno di raccontare storie che hanno come protagoniste donne potenti della storia, quella che si scrive nei libri, ma anche quella che si vive tutti i giorni, che si portano fardelli sulle spalle. Vorrei raccontare storie vicine alla realtà, in cui lo spettatore possa riconoscersi e riconoscere gli altri. Il cinema è il mezzo più potente che abbiamo per veicolare un messaggio, usiamolo.
“Il cinema è il mezzo più potente che abbiamo per veicolare un messaggio, usiamolo”.
Il tuo must-have sul set?
Varia molto in base al set in cui mi trovo e in base al “mood” che devo affrontare. In realtà devo ancora trovarlo. Ho tempo?
Un epic fail sul set?
Tanti epic fail non solo sul set ma anche nella vita. Sono così tanti che non me ne viene in mente neanche uno.
L’incontro cinematografico più significativo?
Non sono mai stata una persona con una grande sicurezza, pensavo di non potercela fare, di non essere all’altezza. Questa persona mi ha guardata negli occhi e mi ha detto: “Fallo, che hai da perdere?”. È vero, a 18 anni non hai nulla da perdere.
“Fallo, che hai da perdere?”
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Sembra scontato ma non lo è. Andarmene a 19 anni dal mio paese, lontano dalle sicurezze, dalla famiglia, dal buon cibo di mia madre, dal profumo del mare, dal mio cane e dal divertimento che vedevo nei miei compagni ventenni, e buttarmi nel vuoto in una città enorme, sola, alla ricerca di un futuro.
E invece di cosa hai paura?
Ho paura del tempo che passa.
Qual è la tua isola felice?
La mia isola felice è qualsiasi posto nel mondo con le poche persone di cui mi fido e con cui posso essere me stessa.
Cosa significa per te sentirti a tuo agio nella tua pelle?
Significa conoscere tutti i lati di me, i miei pregi ed i miei difetti e imparare ad accettarli. Accettare di poter sbagliare e provare a non giudicarmi. E se lo dice una che fa l’attrice, è una bella sfida!
Photos by Johnny Carrano.