Come i doni delle fate madrine alla piccola Aurora disneyana, così le origini danesi, i natali teatrali e un grande talento sono doni di nascita che, rifiniti da anni di studio, hanno reso Galatéa Bellugi una grande professionista. Nei suoi anni di set cinematografici, Galatéa ha fatto di pacatezza, adattabilità e introspezione le sue armi di difesa: con un coraggio che non è (ancora) consapevole di avere, si è fatta strada nell’industria del cinema, osservando e “rubando” dai grandi con cui ha lavorato il maggior numero di insegnamenti possibili, con occhi e orecchie sempre aperti a recepire ed assorbire i migliori consigli del mestiere.
Quest’anno è stata la volta di Carolina Cavalli e del suo “Amanda”, una storia di formazione di stampo unico, con personaggi e sceneggiatura altrettanto unici. Il film sarà nelle sale italiane a partire dal 13 ottobre, ma noi abbiamo incontrato Galatéa durante la Mostra del Cinema di Venezia, dove “Amanda” era in concorso nella sezione Orizzonti Extra, per chiacchierare un po’ del film e del suo personaggio. Nei panni di Rebecca, adolescente traumatizzata che da anni non mette il naso fuori dalla sua stanza da letto, Galatéa ha imparato a capirsi e a confrontarsi con nuovi timori, imparando a riconoscerne i confini.
Perché recitare implica anche questo: un grande lavoro su di sé, per scoprire come “avere fiducia in noi stessi e a sentirci bene dove siamo”.
“Amanda” racconta una storia bellissima, scritta benissimo, sono riuscita ad immedesimarmi nella protagonista e nel tuo personaggio, nei loro comportamenti e nelle loro scelte come mi capita raramente. Qual è stata la tua prima reazione quando hai letto il copione? E la prima cosa che ti sei chiesta?
La mia prima reazione è stata il sorriso: una volta finito di leggere la sceneggiatura, mi sono resa conto del fatto che avevo avuto il sorriso stampato in faccia per tutto il tempo. I personaggi sono tutti stupendi, soprattutto quello di Michele Bravi, e lui è straordinario. Spesso, quando leggi il copione, è il personaggio che ti hanno proposto quello che senti più vicino, ma in questo caso io li ho trovati interessanti tutti.
Con la regista, mi sono confrontata sul perché di alcune abitudini del mio personaggio, soprattutto perché se ne stava chiusa in camera. Pensa che c’erano alcune versioni della sceneggiatura in cui Rebecca, all’inizio, era morta, ma poi ovviamente la storia è cambiata.
Rebecca è una ragazza complessa. Traumatizzata, con una situazione familiare problematica, con mancanze che piano piano però vengono colmate. Hai imparato qualcosa di nuovo su te stessa interpretandola? Quanto c’è di te in lei?
Secondo me, quando interpreti un personaggio devi sempre metterci un po’ del tuo, visto che è il tuo corpo che deve incarnarlo. Io, sì, ci ho messo anche tanto di me in Rebecca, tutto quello che potevo. Parlando con Carolina [Cavalli], lavorando alle singole scene, abbiamo costruito il personaggio di Rebecca legandolo ad Amanda, sulla base della loro relazione: è fondamentale il modo in cui lei interpreta Amanda.
Lavorando con Carolina, che è una persona molto decisa, ho imparato tanto; anche a livello linguistico, dato che nel film devo essere Torinese, ho fatto un grande lavoro su mio italiano con Daniela Tosco, che è una coach fantastica: io a volte parlo con delle intonazioni un po’ toscane, perché mio padre è toscano, oppure francesi, quindi ho dovuto lavorarci su per eliminarle.
“Io, sì, ci ho messo anche tanto di me in Rebecca, tutto quello che potevo”.
Cosa le consiglieresti, se fossi quell’amica che tanto le manca?
Io la pregherei di uscire anche solo a mangiarsi un gelato! [ride]
La prenderei per mano e le direi: “Dai, usciamo un attimo, vedi che effetto ti fa, e se ti senti male, torniamo subito a casa”. Poi, secondo me Rebecca comunque non mi ascolterebbe e non uscirebbe, perché ha le sue ragioni. Ad ogni modo, c’è una scena che dà speranza, quella in cui Amanda e Rebecca si truccano prima di una festa; in quel momento, infatti, Rebecca si mette in discussione, non esclude la possibilità che alla festa ci vada, sebbene dica: “Secondo me alla festa io alla fine non ci vengo”.
Però, anche se sembra ovvio, l’unico consiglio che le darei sarebbe quello di uscire dalla sua stanza, che poi alla fine è quello che anche Amanda cerca di farle fare.
“Allenare la tua capacità a essere costantemente da un’altra parte”: ho memorizzato questa tua battuta nel film perché mi ha colpito e perché penso che quando ci troviamo in situazioni da cui vorremmo scappare, riuscire a cambiare mentalmente scenario sarebbe un’abilità molto utile anche se molto difficile. È qualcosa che però Rebecca col tempo, coltivando la solitudine e l’amicizia con sé stessa, ha imparato a fare; tu ci riesci? E come ci riesci? Cosa ti aiuta a trasportarti mentalmente altrove?
Secondo me dipende dalle situazioni. Quello di cui parla Rebecca, per esempio, è molto estremo, perché con quella frase lei si riferisce alla morte, ne è ossessionata. A me aiuta molto andare al cinema, i film ti fanno dimenticare di te per un attimo, così come studiare, leggere, cucinare, che mi piace anche tanto.
Ad ogni modo, “essere costantemente da un’altra parte” non è una cosa che consiglierei, piuttosto direi “stai dove sei oppure vai da un’altra parte”. Però, è bello riuscire ad estraniarsi nelle situazioni in cui si è costretti, o in casi in cui ti senti proprio male, anche se in generale secondo me dovremmo imparare piuttosto ad avere fiducia in noi stessi e a sentirci bene dove siamo.
“…i film ti fanno dimenticare di te per un attimo, così come studiare, leggere, cucinare…”
Ricordi un evento o un momento preciso in cui hai pensato di voler far parte del mondo del cinema?
In realtà, per me è stato difficile capirlo. Ho cominciato a 7 anni, e allora era un po’ un gioco ma serioso, e decidere se volevo davvero farlo diventare un mestiere o meno, con la consapevolezza che comprende anche periodi di pausa, non è stato facile. Poi, però, alla fine, mi è venuto abbastanza naturale decidere di farlo. Ho studiato cinema in Canada per un anno, all’Università di Montreal, e conoscere la storia del cinema mi ha fatto venir voglia di diventare un’attrice.
Cosa ti fa dire di sì ad un progetto?
Quando la sceneggiatura mi colpisce, a livello di personaggi, storia, o per una cosa particolare che racconta. C’è un sentimento preciso che sento e che mi fa capire se una cosa mi piace o non mi piace, se è per me o se non è per me. Poi, anche il regista è importante, capire se tra lui o lei e me funziona, capire il suo universo, nel senso che, quando leggi la sceneggiatura tu magari immagini una cosa, ma il regista può avere un’idea completamente diversa.
Qual è il peggior consiglio e il miglior consiglio che ti abbiano mai dato?
Il peggiore è stato: “Dai, smetti di studiare perché tanto fai l’attrice”. Secondo me, è più complicato di così, perché lavorare nel cinema non è una cosa che dipende solo da me.
I consigli migliori me li hanno dati le persone con cui ho lavorato. Ho fatto, per esempio, film con Juliette Binoche, Isabelle Huppert, e da loro, dal loro modo di lavorare, ho imparato moltissimo. Con loro, in realtà, più che dai consigli, ho imparato guardando. Il miglior consiglio, quindi, sarebbe quello di guardare gli attori, imparare da quello che fanno, ascoltare ed essere sempre aperto agli insegnamenti.
Che storie sogno di raccontare?
Mi piacerebbe fare un film che non mi sarei mai aspettata di fare. Quella sarebbe una sorpresa, come lo è stato “Amanda”: io non avevo mai letto una sceneggiatura del genere, è un film unico, così come lo è il mio personaggio, questa ragazza che non esce mai dalla sua stanza, che è un po’ inquietante e che mi ha lanciato una sfida, facendomi domandare “come posso lavorarci su?”. Dunque, sogno di raccontare una storia che mi sorprenda così.
Un epic fail sul set.
Sul set di Amanda, quando dovevamo girare la scena delle coppe, in cui io dovevo tirare fuori uno ad uno i miei trofei. Non è stato esattamente un “fail” ma un momento divertente, perché per prendere quelle coppe ci mettevo almeno mezz’ora, anche se nel film sembra che ci metta pochi secondi. Poi, il cartone su cui dovevo posarle non reggeva, era troppo morbido, e quindi le coppe facevano un sacco di rumore sbattendo l’una contro l’altra, e mentre cercavo di sistemarle sentivo Carolina ridere, e vedevo che anche Benedetta [Porcaroli] cercava di trattenere le risate. Alla fine non sapevamo come gestire la situazione perché a tutti veniva troppo da ridere.
Il tuo must-have sul set.
Una bottiglia d’acqua e il copione, che è comodo avere sempre a portata di mano. Poi, per me è importante anche sentirmi bene nei costumi che mi fanno indossare.
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Io non sono una persona molto coraggiosa, però mi piace tanto viaggiare, e considero i viaggi una cosa abbastanza coraggiosa. A 17 anni sono andata in Canada per studiare, poi sono stata tre anni in Danimarca, sei mesi in Giappone, anche se poi, alla fine, queste sono cose che sei le vuoi fare le fai, e se non lei fai non è una mancanza di coraggio. Però i viaggi che ho fatto sono stati i miei personali atti di coraggio, perché in generale non sono un’amante dei rischi.
Di cosa hai paura invece?
Dei ragni, che mi fanno schifo. Ho anche paura di trovarmi in una situazione simile a quella in cui si trova Rebecca, chiusa in camera per mesi.
“Considero i viaggi una cosa abbastanza coraggiosa”
Il tuo più grande atto di ribellione?
Secondo me, per fare un atto di ribellione devi anche avere un po’ di coraggio. Io non ne ho e non mi sono mai vergognata di questo. Però sono una persona decisa, anche nel cinema per esempio, quando ci sono delle cose difficili da fare, sono decisa anche con i miei genitori e con i miei amici, però questo non significa che mi ribelli. Forse dipende anche dalle mie origini danesi, sono una persona molto calma, che si adatta quasi sempre alle situazioni.
Cosa significa, per te, sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
È difficile, perché anche se ti senti così, ci sono comunque sempre delle cose che cerchi, dei periodi in cui ti senti più insicuro, per esempio nel lavoro, e allora trovi difetti e problemi ovunque in te stesso. Però spero che tutti possiamo riuscire a sentirci a nostro agio nella nostra pelle, perché non c’è ragione di sentirsi in altro modo con sé stessi, sprechiamo solo un sacco di energia quando siamo insicuri.
“…ci sono comunque sempre delle cose che cerchi, dei periodi in cui ti senti più insicuro, […] e allora trovi difetti e problemi ovunque in te stesso”.
La tua isola felice?
La mia isola felice è dovunque ci sia mia sorella. Oppure anche quando sono sul set: quando sto girando una scena e la camera è accesa, allora mi sento molto felice.
Photos by Johnny Carrano.
Makeup by Emanuela Di Giammarco using Sisley Paris.
Jewels: Akva Jewellery
Dress: Phipps
Thanks to Mpunto comunicazione.