Gia Coppola non è solo un nome.
Gia è fotografia, arte, diversità, cinema.
Dopo 7 anni dal suo primo film “Palo Alto”, Gia porta sullo schermo “Mainstream”, un film che, come dice lei, si percepisce proprio come unico, senza genere. Ed è questo che si pensa quando si esce dalla sala: “Ho appena visto qualcosa che non avevo mai visto prima”. Si tratta di un film coraggioso, audace, che riesce a descrivere in modo autentico un aspetto della nostra società, quello della connessione online, dell’essere sempre in una realtà virtuale e di dimenticarci che le cose vere, quelle belle, sono qui ed ora e che, come dice Gia, dovremmo essere sempre pronti a viverle, lasciando la tecnologia in un angolo. Ma questo film parla anche di cosa vuol dire avere 20 anni, di cyber bullismo, suicidio, depressione e difficoltà ad accettarsi.
Ero già una grande ammiratrice della sua fotografia, dove riesce a catturare un’intimità molto precisa con il soggetto e che mi ha sempre trasmesso qualcosa. Con questo film, Gia ha creato un’istantanea in movimento del mondo con cui tutti ci dobbiamo confrontare e di personaggi complessi (su tutti Link, interpretato da Andrew Garfield) che ci raccontano qualcosa senza filtri, in un mondo che ne è pieno.
Il film mi è piaciuto davvero molto: l’energia, la sceneggiatura, la fotografia… La storia è molto intensa. Come è stato realizzare questo progetto? Ci sono state delle sfide durante il processo, magari legate anche al tema?
Ci sono voluti 7 anni per far partire questo film; quando l’ho scritto non mi sono resa conto di quanto diverso e complicato potesse apparire alle persone, nell’industria cinematografica se non fai riferimento a un genere specifico è difficile farcela. È un film unico, strano e diverso, ci è voluto parecchio per ottenere dei finanziamenti, continuava ad essere posticipato, ma ho sempre pensato che i film ti dicono quando sono pronti in un certo senso, e quando ci sono tutte le persone giuste.
Frankie dice che non capisce i gusti degli altri quando si parla di quel che si trova in streaming o online. Hai mai provato questa sensazione?
Sì, quello che è emerso dal film, e che penso in quanto artista, fotografa, regista, sia la sensazione di sentirsi un po’ estranea rispetto a ciò che piace alla massa e il capire dove collocarsi, perché sembra di non appartenere a quel mondo. Questo è stato solo un piccolo riflesso di quello che penso: perché se pubblichi un’immagine astratta su Instagram a nessuno piace, ma se qualcuno pubblica una foto di qualcuno nudo, allora ottiene un milione di like.
“Ho sempre pensato che i film ti dicono quando sono pronti in un certo senso”.
L’energia di Andrew è incredibile, penso che sia stato semplicemente fantastico, in un modo che forse non abbiamo mai visto prima. In quanto regista, come è stato giocare con questa energia e come hai lavorato insieme a lui?
Amo questo tipo di personaggi, sono quelli divertenti da scrivere e da riprendere perché sono complicati, pericolosi ed eccitanti. E con lui, voglio dire, è uno dei grandi attori dei nostri tempi, quindi lavorare con quel livello di talento è stato un vero privilegio. Abbiamo fatto diversi workshop, e Andrew ha improvvisato molto, e ciò che mi ha sorpreso mentre giravamo è il fatto che sia incredibilmente intelligente, e che poteva esprimere cose che io non credo nemmeno di poter articolare. Conoscendolo poi, scopri che è una persona molto dolce e gentile: avere quindi anche quel livello più profondo, tipico di qualcuno che sta interpretando un personaggio che è un mix molto maniacale, penso abbia aiutato pubblico a sentire una certa connessione con lui.
Link dice che quando indossi un costume è più facile scoprire chi sono gli altri “strani”. La pensi allo stesso modo?
È interessante che ti siano piaciute queste piccole frasi che pensavo fossero divertenti ma che poi non sai mai come possano risuonare alle persone.
Quella frase l’ha scritta Andrew, e penso che fosse qualcosa che sentiva riguardo al suo personaggio e al voler iniziare una rivoluzione degli “strani”, come se in quel modo tu possa individuare chiunque.
“Amo questo tipo di personaggi… Sono complicati, pericolosi ed eccitanti”.
Per distruggere un’idea distorta della realtà, Link deve far parte innanzitutto di questa idea diventando, in un certo senso, “una vittima” lui stesso. Pensi che per fare qualcosa contro “il male” devi farne parte, in un certo senso?
La logica del personaggio faceva riferimento al fatto che devi raggiungere la pancia della bestia per fare la differenza, ma il problema è che nel mentre è diventato vittima di questo sistema e la missione non è stata portata a termine. Penso che, in scenari realistici, si possa combattere il male con il bene. Prendi “Star Wars”, ad esempio [ride].
Per me, il film parla anche dell’essere presente nel momento e di quanto sia difficile riuscirci. Quanto conta questo aspetto per te? È qualcosa che ricerchi nella tua vita?
Da donna adulta, quando avevo 20 anni, ho imparato che i momenti presenti e le cose al di fuori di questo mondo insulare non erano così importanti nel lungo termine, e penso che, con la pandemia, sia qualcosa che stiamo tutti imparando. La connessione umana è inestimabile e la tecnologia è fantastica sotto molti aspetti per rimanere connessi, ma niente può eguagliare la vera esperienza dell’essere presenti tra di noi, essere in contatto con la natura e trovare gratitudine nei piccoli momenti, penso che la felicità risieda in questo.
“… Penso che, con la pandemia, sia qualcosa che stiamo tutti imparando. La connessione umana è inestimabile”.
Link descrive il telefono come un dispositivo che risucchia l’anima. Cosa ne pensi?
Sì, è un dispositivo per intrappolarti in ogni modo possibile, è un business. Le aziende realizzano le App con dei colori specifici per far in modo che il tuo cervello non si distragga. E questa non è la realtà, tutto ciò ti allontana da quel che è reale e dall’essere presente.
Sono anche una grande fan del tuo lavoro come fotografa. Quanto pensi che la tua creatività nella regia e quella nella tua fotografia interagiscano tra loro?
Mi sono avvicinata al cinema perché sembrava un’estensione della fotografia, in cui posso aggiungere più cose che amo, come la musica, i costumi e simili. Ma dall’altro lato, quando lavoro alla fotografia, mi piace usare questa opportunità per incontrare persone e per sperimentare alcune idee che vorrei includere in seguito nei miei film.
E per lasciar scorrere il flusso creativo.
Se potessi fotografare un momento di questo film, quale sarebbe?
Penso che l’immagine che abbiamo rilasciato di Link mentre “ingoia” Frankie dica davvero molto sul film: è un ragazzo su uno schermo, e la sta ingoiando. Sono stata davvero orgogliosa di quell’immagine: era in una delle nostre prime bozze e l’abbiamo quasi persa, perché abbiamo girato in 19 giorni e non avevamo tempo per tutto. Ma ho detto: “Dobbiamo farcela”! Ci sono voluti tre take, Maya e l’operatore Stedicam sono stati fantastici.
Come vorresti che il pubblico reagisse di fronte a questo film?
Ho cercato di non apparire come un’autorità sull’argomento, sui social media e simili, volevo solo esprimere come mi sentivo in ogni scena, anche dopo aver vissuto l’esperienza dell’epidemia, toccando argomenti come il suicidio adolescenziale e il cyber-bullismo. Non voglio dire che una cosa è buona o cattiva, ma voglio concludere dicendo: “non è tutto oro quel che luccica”.
Photos by Johnny Carrano.
Look: Gucci.