Tornare indietro e cambiare il passato, andare avanti e conoscere il futuro, spostare anche un solo granello di polvere per rivoluzionare il corso degli eventi: il sogno degli esseri umani sin dall’alba dei tempi, il super potere più ambito. Forse l’oggetto di ricerca delle menti scientifiche di ogni epoca? “I Viaggiatori” di Ludovico Di Martino racconta le conseguenze del viaggio nel tempo quando l’obiettivo è salvare da un destino potenzialmente spiacevole la persona a cui si tiene più al mondo e, nel frattempo, provare a crescere un po’.
Un viaggio spazio-temporale si incrocia con un viaggio di vita, intensi allo stesso modo, sconvolgenti in pari misura: nel contesto di un mondo moderno con interferenze della Roma dell’ante-guerra, Gianmarco Saurino interpreta lo scienziato Beo, che scompare misteriosamente dai nostri tempi scatenando una serie di eventi che collegheranno il 2021 al 1939, concludendosi con la realizzazione più senza tempo di tutte: amicizia e fratellanza vincono qualunque tipo di conflitto.
Gianmarco ci ha raccontato la sua esperienza nei panni del ricercatore di fisica che accompagna il fratello minore lungo un percorso concreto e spirituale, in un film intimo che ha senza dubbio arricchito il suo bagaglio emotivo di nuove consapevolezze. Prima fra tutte, che il passato lui non desidera cambiarlo: siamo chi siamo per un motivo, anche per gli tutti gli errori che compiamo di giorno in giorno, di anno in anno.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
La prima volta al cinema con la mia mamma. Era “Tarzan”, non so quale “Tarzan”, ma mi ricordo che dopo 10 minuti di film ho guardato mamma chiedendole: “Ma non si può abbassare poco poco?”.
Ne “I Viaggiatori” di Ludovico Di Martino interpreti un ricercatore che fa la scoperta che probabilmente tutti i ricercatori e gli scienziati nei secoli dei secoli hanno sempre desiderato fare: la macchina del tempo. Quale aspetto di questa storia ti ha colpito di più quando hai letto la sceneggiatura?
La gloria eterna, l’olimpo.
Un personaggio come quello di Beo sogna sicuramente di rimanere per sempre impresso nei libri di storia grazie ad una scoperta del genere. Ma più della parte “fantasy” e di genere, sono sicuro mi abbia immediatamente colpito il senso di protezione che questo personaggio ha nei confronti del fratello. È il cuore di Beo che mi ha conquistato dall’inizio e quanto riesca a dedicare parte della sua esistenza nel tentativo di regalare un futuro migliore alla persona che ama di più, a prescindere dal salvare il mondo o meno.
“È il cuore di Beo che mi ha conquistato dall’inizio e quanto riesca a dedicare parte della sua esistenza nel tentativo di regalare un futuro migliore alla persona che ama di più…”
Il tuo personaggio, Beo, viene dato per morto, ma suo fratello Max e i suoi due amici, in un misto tra incredulità e diffidenza, seguendone le tracce si ritrovano in un vortice temporale che li catapulta nella Roma agli albori della seconda guerra mondiale. Praticamente la trama di un videogioco! E nella messa in scena, tra citazioni esplicite e lotte corpo a corpo, questo film i videogiochi un po’ me li ha ricordati. Come hai approcciato il ruolo, da un punto di vista di preparazione fisica, psicologica, ma anche culturale?
Quando dico che a questo ruolo ho dato tanto è perché davvero gli ho dato tutto quello che avevo. Gli ho dato corpo, perché Ludovico di Martino che è un regista straordinario, voleva da me un corpo meno agile, più goffo, sicuramente più adatto ad un ricercatore da sempre gettato con la testa sui libri e sullo sviluppo di prototipi. In totale alla fine delle riprese avevo preso 15kg, faticosissimi, sudatissimi, pesantissimi. Ma è dal piano emotivo che ho dovuto creare relazionalmente con Matteo Schiavone (MAX) un contatto reale e vivo, pulsante. Ed è stato bello condividere il suo primo film, accompagnarlo in questa esperienza quasi parallelamente a Beo che accompagna Max a gestire il loro ultimo viaggio insieme.
Hai scoperto qualcosa di nuovo su te stesso durante il viaggio (in tutti i sensi)?
Si scopre tanto quando si fa un film così intimo. E non ho paura a dire che è stato sicuramente il viaggio più intenso che abbia mai fatto, quello più bello e di cui sono più fiero. Un ruolo del genere ti apre delle conoscenze sul bagaglio emotivo che porti con te e da un certo punto di vista mi ha dato anche la sicurezza di poter gestire ruoli emotivamente così complessi.
La mia scena preferita è quella in cui Max, Febo e Greta cantano una famosissima canzone totalmente fuori luogo di fronte ad una platea di ufficiali fascisti. Per te qual è stata la scena più divertente e quella più impegnativa da girare?
Io c’ero! E ti assicuro che quella scena si porta dietro prima un po’ di inquietudine, perché ritrovarsi 150 camicie nere di fronte non è piacevole. Ma poi quando succede quello che succede, beh è esilarante. La scena più impegnativa per me è sicuramente la scena finale del film: realizzare di morire, realizzarlo da vivi, e salutare da vivi la persona che più ami al mondo, è una cosa che trovo commovente anche solo nello scriverla adesso.
Ne “I Viaggiatori” si parla, appunto, di fascismo e lotta per la difesa della libertà individuale e sociale, con un linguaggio che risulti accessibile soprattutto alle nuove generazioni. Si tratta, tuttavia, di temi universali e, a mio parere, al di là delle distinzioni generazionali. Qual è il tuo punto di vista? Quali reazioni speri che il pubblico abbia guardando questa storia fatta di salti mortali per salvare il mondo dai “cattivi”?
Io innanzitutto spero che il pubblico si lasci intrattenere da un film che punta tra le varie cose a quello: all’intrattenimento. Spero che il pubblico riveda nei nostri personaggi una meravigliosa storia di amicizia e fratellanza, e di conseguenza di come si possa elaborare un lutto. Un racconto di formazione all’interno di un contesto di genere.
Per quanto riguarda la difesa della libertà individuale e sociale, io ci credo tanto nel nuovo che arriva, nella nuova generazione. Credo che ad esempio la loro battaglia per il climate change sia molto più forte di tante piccole battaglie momentanee che la mia generazione, da Genova in poi, ha provato a fare ma spesso fini a sé stesse. Il loro è veramente un modo nuovamente universale di pensare la società e mi auguro che il pubblico capisca sempre più e grazie anche a questo film che, in generale, non si può più essere indifferenti.
“Io ci credo tanto nel nuovo che arriva, nella nuova generazione“.
Domanda classica ma obbligatoria: se potessi viaggiare nel tempo, in quale epoca vorresti andare e perché?
Io l’unica cosa che mi ricordo di storia al liceo, non me ne voglia la prof di storia, è la rivoluzione francese, la Presa della Bastiglia, l’Illuminismo. E allora mi fido del mio stesso 15enne che da quel periodo era stato così preso, illuminato per l’appunto, e ti rispondo: 1789.
Sempre nell’ipotesi di poter viaggiare nel tempo, c’è qualcosa del tuo passato che vorresti proprio cambiare a costo di mettere a rischio l’intero corso della storia?
Sai che per ora credo ancora di no? Mi ritengo una persona molto fortunata, e ci sono sì cose di cui mi pento nella vita ma penso che certi errori abbiano formato la persona che sono oggi, quindi li ho abbracciati, mi hanno indubbiamente migliorato.
In generale, cosa ti fa dire di sì ad un progetto?
La cura. La cura degli altri e la cura che penso di poter dare io al ruolo. Quanto amore c’è in questa storia e in quelli che la vogliono raccontare?
Quando crei un personaggio, sei più razionale o istintivo?
Sono uno di quelli convinto che è nella razionalità che esce fuori istintività: non so bene come spiegarlo se non attraverso T.D. Lemon che racconta che è nell’ordine, è all’interno di quei tasti predefiniti, 88, contati, precisi, che si può creare infinito. Ecco, io ho bisogno di creare un mondo finito e razionale per permettere alla creatività e all’istinto di muoversi liberamente.
“è nella razionalità che viene fuori l’istintività”
Un epic fail sul set.
Mai avuto, ma sono certo arriverà, facciamo che vi scrivo appena succede!
Il tuo must-have sul set.
Le sigarette, le cuffie, la sceneggiatura con gli scarabocchi dei mesi di preparazione.
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Dire ti amo anche quando poteva essere molto simile a “un incidente in bici contro un carro armato”.
Di cosa hai paura invece?
Di dimenticare.
Il tuo più grande atto di ribellione?
Credo decidere di fare questo mestiere, andar via da casa, dalla comodità di una terra paludosa e buttarsi nel vuoto. A prescindere dai risultati, ripensarci è una cosa per la quale ancora oggi mi dico, oh daje, bravo!
Cosa significa, per te, sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Io per tanti anni non mi sono sentito a mio agio nella mia pelle. Poi creando la mia personalità, la pelle è diventata solo il contenitore di quello che sono davvero. E la mia pelle si porta dietro cicatrici, smagliature, imperfezioni, tatuaggi, più o meno sbiaditi, e ho sempre pensato fossero il segno della vita sulla mia anima. La pelle è una mappa meravigliosa che cambia con noi, col tempo. E io ora ci sto da dio qui dentro.
“Creando la mia personalità, la pelle è diventata solo il contenitore di quello che sono davvero”.
L’ultima cosa o persona che ti ha fatto sorridere?
La mia compagna. Sempre e in ogni modo.
La tua isola felice?
Casa mia.
Ogni tanto sento il bisogno di stare qui, solo. Col passare degli anni il luogo in cui vivo ha iniziato a respirare dei viaggi che ho fatto e delle persone che ho vissuto. Anche solo mettere un disco e leggere un libro continua a rendermi felice qui, più che da altre parti.
Photos by Johnny Carrano.
Styling by Nick Cerioni.
Total Look: Giorgio Armani
Location: JW Marriott Venice Resort & Spa.
Thanks to Andreas Mercante & Edoardo Andrini.
“I Viaggiatori” è un film Sky Original di Ludovico Di Martino, prodotto da Sky Studios e Groenlandia, in esclusiva su Sky Cinema e in streaming su NOW a partire dal 21 novembre.