Tante risate e tanta ammirazione con un’attrice e una donna che nutre il cinema e di cinema si nutre: Giulia Bevilacqua sa bene quand’è il momento di divertirsi sul set e quando è l’ora della concentrazione, dell’approfondimento psicologico, dello studio che origina la credibilità.
Durante la nostra scorrevole chiacchierata al telefono, con la spontaneità e la schiettezza che la contraddistinguono, Giulia ha raccontato “Il Patriarca”, la nuova fiction di e con Claudio Amendola in onda su Canale 5. Abbiamo parlato di drammi familiari, di ricerca della felicità, di sete di potere, dei mali che affliggono la società in cui viviamo oggi. Ma abbiamo anche parlato di fanciullezza, ribellioni giovanili, del fardello delle leadership, e di quanto bene faccia, a tempo debito, non prendersi troppo sul serio. Nel lavoro come nella vita, in cui se dai tanto, tanto ti tornerà sempre indietro.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Il mio primo ricordo legato al cinema è il Cinema dei Piccoli a Roma, un cinema fatto apposta per i bambini, dentro Villa Borghese, uno spazio bellissimo in un’area altrettanto bella: Roma ha la fortuna di avere tanti spazi verdi molto grandi. Mi ricordo che mio papà mi portò a vedere lì “Biancaneve e i sette nani” e io rimasi traumatizzata [ride]. Quindi, il mio primo ricordo legato al cinema è stato in realtà un incubo, perché quel cartone animato mi ha spaventato tantissimo. Per un po’ non sono più voluta tornarci, ma quell’esperienza così forte, unica, mi era rimasta dentro e dopo poco ho capito che non ne avrei più potuto fare a meno. E quella prima volta rimane ancora uno dei ricordi più belli che ho con mio papà…
Questo lavoro è una passione e se si decide di farlo è proprio perché lo si sente forte dentro. Io l’ho sempre sentito, già da bambina, ma devo dire sicuramente grazie ai miei genitori che hanno fatto tanto per coltivare l’amore per l’arte in generale, per il bello, per ciò che fa salvare l’anima. Ci portavano spesso a teatro, ai concerti, al cinema, alle mostre d’arte.
È importante annaffiare le nostre passioni, e se il mio amore è cresciuto, è anche grazie a loro.
Ti vedremo presto su Canale 5 nella nuova fiction di e con Claudio Amendola “Il Patriarca”, una storia che nella televisione italiana non viene affrontata molto spesso, un dramma familiare sui giochi di potere e su come questi influiscono sui rapporti familiari e amicali. Qual è stata la tua prima impressione quando hai letto la sceneggiatura? E quale obiettivo ti sei subito posta?
La serie è molto interessante e appassionante.
Parla di un tema molto attuale soprattutto nella società in cui viviamo adesso, che è quella della sete del potere, di tutti i sacrifici che si è disposti a fare pur di arrivare ad ottenere il potere e a mantenerlo, e delle ripercussioni che questo percorso che uno decide di fare poi ha sulla famiglia e sui rapporti. Secondo me sono temi molto attuali, perché sta diventando un obiettivo di tanti quello di essere potenti, perché si pensa che col potere si possa ottenere tutto. Da una parte è vero, però bisogna vedere che significato dai alla vita e che tipo di risvolto vuoi che abbia.
L’obiettivo che mi sono data io è stato cercare di essere, come sempre, perché quello che faccio in tutti i lavori, il più credibile possibile nei panni di una donna che è veramente molto distante da me; il mio personaggio è una donna molto furba, complottista, capace di gesti impensabili, molto potenti e gravi, pur di ottenere ciò che vuole, come se non avesse un cuore o un’anima, una calcolatrice con un’ambizione enorme e una sete di potere incredibile. Io sono proprio l’opposto, se c’è una cosa che non ho è questa sete di potere, questa ambizione a tutti i costi. Ovviamente, anche io sono ambiziosa a modo mio, perché è sano esserlo, ma non sarei mai disposta a sacrificare niente, soprattutto ciò che per me è importante come la famiglia.
Come hai approcciato il tuo personaggio, per trovare con lei una connessione emotiva? In cosa l’hai sentita vicina e quando, invece, l’hai percepita più lontana?
Il segreto principale che vale per tutti personaggi è quello di non giudicarli. Infatti, nel momento in cui tu giudichi, ti allontani, prendi le distanze, invece il personaggio bisogna accoglierlo, bisogna accettare il suo approccio alla vita, il suo modo di muoversi, volergli bene. Questo è quello che ho fatto anche in questo caso, dandole un risvolto umano, come d’altra parte era segnalato anche in sceneggiatura, perché, com’è vero spesso nella vita reale, le persone che hanno una certa cattiveria dentro dietro nascondono sempre una frattura che li ha portati a diventare così. Con Elisa ho immaginato questo, mi sono costruita il background di questa donna, ho pensato che magari sia stata abbandonata, ferita moltissimo da piccola, e che quindi per una forma di rivalsa abbia puntato tutto sul diventare qualcuno di importante perché magari lei non si è mai sentita importante nella vita. Poi, ovviamente, c’è chi trova la strada giusta e chi trova la strada sbagliata, ovvero quella che non la renderà felice.
Uno degli aspetti più stimolanti del nostro lavoro è l’approccio al personaggio che ha sempre tante sfaccettature su cui lavorare. In questo nuovo ruolo così distante da me, se non per somiglianza fisica, c’è stato un approfondimento più faticoso, di ricerca.
“Uno degli aspetti più stimolanti del nostro lavoro è l’approccio al personaggio che ha sempre tante sfaccettature su cui lavorare”.
C’è qualcosa di nuovo che hai scoperto su te stessa, interiorizzando il tuo personaggio e le vicende di cui è protagonista?
Mi sono ritrovata a pensare a quanta diversità c’è nel mondo. Immagino che ci siano persone disposte a fare quello che fa Elisa e quindi la mia riflessione è stata: “Che coraggio, che determinazione, che strano modo di cercare la felicità”. Tutti noi interpretiamo la ricerca della felicità in modo diverso.
Il potere da ottenere ad ogni costo, la famiglia come sicurezza ma anche competizione, la storica antitesi tra vendetta e generosità, viltà e coraggio, tradimento e amicizia: queste le tematiche delle sei puntate e dinamiche presenti un po’ nella quotidianità di tutti; cosa ci tieni in particolare a trasportare dallo schermo nelle case degli italiani e cosa hai portato a casa tua dopo questa esperienza?
Secondo me tutto ciò che noi facciamo non serve solo per intrattenere, divertire, distrarre, ma anche per permettere alle persone di fare delle riflessioni. Quindi, vedendo questa serie, il pubblico non potrà che fare le stesse riflessioni che ho fatto io, relativamente a quanto sia importante cercare di indirizzare la propria ricerca in una strada che porti ad una felicità che non sia legata al potere, al successo, ai soldi.
Avere in mano il potere, o più concretamente le redini di un’impresa o di un progetto, è un’idea che ti attira o, piuttosto, ti spaventa?
Non credo che sarei in grado di farlo, perché non ho proprio lo spirito leader!
Ti faccio un esempio: quando ho iniziato ad avere una persona dentro casa che mi aiutava con i bambini, non avendocela mai avuta neanche per me, quando ero piccola, non sapevo come comportarmi, al punto che lei ad un certo punto mi ha detto: “Ma mi deve far fare qualcosa, non può fare tutto lei, deve imparare a delegare, a dirmi cosa devo fare!” [ride] Quella dell’organizzare o delegare con spirito da leadership è una condizione che non tanto mi appartiene. Basti pensare al lavoro che faccio: per assurdo, io vengo scelta ogni volta, perché l’attore è una persona che non è mai arrivata, non ha mai la sicurezza di niente, che si mette sempre alla prova. Se non avessi quel tipo di carattere, se non fossi disposta ad accettare questa precarietà, che invece non hai quando sei alle redini, forse avrei già mollato.
Nella storia italiana abbiamo assistito a cambi generazionali ai vertici aziendali di grandi gruppi a livello familiare abbastanza tumultuosi, basti pensare a Gucci, ai Ferrero… Secondo te perché siamo così affascinati da queste vicende spesso drammatiche al punto da trasporle così spesso sullo schermo? Perché siamo intrigati dalle storie di crisi patriarcali?
Perché è la nostra storia, la storia di tutti, è interessante il dramma, sono interessanti gli intrecci, le successioni. Per forza di cose, i rapporti umani all’interno delle famiglie sono rapporti che conosciamo e che ognuno di noi ha dentro casa, quindi rivedendoli, anche se estremizzati, diversi, romanzati, li riconosciamo come cose affini a noi e quindi, per forza di cose, ci interessano, catturano la nostra attenzione, anche perché vogliamo capire che tipo di risvolto hanno queste cose.
“è la nostra storia, la storia di tutti”
Come descriveresti “Il Patriarca” con una sola parola?
Appassionante, perché racconta tanti temi importanti, come la criminalità organizzata, la famiglia, la sete di potere, i rapporti umani. Succedono tante cose, ci sono scene d’azione, scene d’amore, una fitta ragnatela di emozioni e fatti che non possono che intrigare.
Qual è stata la scena più difficile e quella più divertente da girare?
La più difficile è stata una scena che sarà alla fine della serie, e che riguarda una cosa che nessuna donna, neanche Elisa che è apparentemente così forte, può affrontare senza esserne scalfita nell’intimità più profonda. Si tratta di un dolore atroce, perché racchiude un fallimento, un tradimento, un complotto a discapito di una cosa personale, intima, molto importante che riguarda il mio personaggio e che la porterà ad una grande sete di vendetta.
La scena più divertente è stata qualsiasi scena con Claudio Amendola. Poi noi due ci conosciamo ormai da un po’ di tempo, quindi c’è complicità e affiatamento. Spesso, ci siamo divertiti a giocare con gli altri. Come una volta che sono arrivata sul set e, con la complicità di Claudio, ho fatto irruzione in una scena dove c’era il mio grande amico Primo Reggiani a cui, mentre recitava un pezzo molto serio in commissariato, sono saltata addosso baciandolo a sorpresa! In Claudio, quindi, ho trovato un complice. Lui come regista è serissimo, molto preciso, sul pezzo, non si distrae, ha le idee molto chiare, gira solo quello che è necessario, quindi è molto facile e molto bello lavorare con lui, però allo stesso tempo la cosa bella è che ogni tanto ti regala dei momenti di divertimento e di gioco, com’è giusto che sia quando si fa questo lavoro. Claudio, insomma, sul set mi ha permesso di essere “scema” come sono, nei momenti in cui si può. Io mi reputo un’attrice molto disciplinata, però mi piace moltissimo non prendermi sul serio, giocare, ironizzare con i miei colleghi, con la troupe, sono quelli i momenti che ti rimangono più impressi.
“Io mi reputo un’attrice molto disciplinata, però mi piace moltissimo non prendermi sul serio, giocare, ironizzare con i miei colleghi, con la troupe”
Solitamente, cosa ti fa dire di sì ad un progetto?
Ci stavo pensando giusto ultimamente. È raro che io dica di no, in realtà, lo faccio solo con cose in cui magari sento proprio che c’è un gusto diverso dal mio.
Secondo me quasi tutte le storie sono degne di essere raccontate; poi ci sono quelle scritte meglio e quelle scritte peggio, ci sono personaggi più interessanti e personaggi meno interessanti, meno sfaccettati… Ma io sono come “drogata di set”, il mio lavoro è anche la mia passione, e io ho bisogno di stare sul set, quindi quando mi viene proposta una cosa, a meno che non mi accorga che il racconto va in direzioni troppo superficiali, finte, sarà che mi propongono sempre personaggi interessanti, io trovo sempre la spinta per dire di sì.
Sei più razionale o irrazionale quando prepari e dai vita ad un personaggio?
La preparazione del personaggio è sicuramente più razionale. Quando mi arrivano le sceneggiature, le leggo, le studio, mi faccio una scaletta, mi faccio delle domande e mi do delle risposte “da personaggio”, creo il suo background, immagino che tipo di percorso abbia fatto nella sua vita. Poi, invece, sul set, sono più empatica, seguo le emozioni:
secondo me bisogna studiare per poi dimenticare, per far sì che tutto sembri spontaneo e naturale, perché per me la priorità è sempre essere veri, dare sempre al personaggio una credibilità.
Per essere veri, non basta solo saper dire le battute, perché a fare quello sono capaci tutti, ma è tra quei piccoli obiettivi che ti sei dato che bisogna trovare una credibilità, e quello a me riesce molto facilmente se mi lascio andare. Nel momento in cui il personaggio mi è entrato dentro, se poi mi lascio andare, le battute vengono da sé. Insomma, quasi sempre seguo degli obiettivi concreti; in generale, secondo me bisogna sempre pensare che fai qualcosa perché succeda qualcos’altro, e quel qualcosa che succede dev’essere sempre un atto fisico, concreto, e così l’obiettivo viene raggiunto, nella recitazione come nella vita.
Il tuo must-have sul set?
Per un sacco di tempo ho avuto una moneta che mi diedero sul set di “Gangs of New York”.
Quando ero una studentessa del Centro Sperimentale, andammo con tutta la classe a visitare quel set e mi ricordo che un gruppo di comparse ci vide e uno di loro si avvicinò a me e mi diede questa moneta di scena, che era una riproduzione di una moneta dell’epoca, e mi disse: “Non so perché, ma io vedo che hai negli occhi una luce speciale e quindi spero che questa moneta ti porti bene. Nascondila, perché se sanno che te la sto dando mi ammazzano!” [ride]. Era un gruppo grande, quindi il fatto che l’abbia data proprio a me è stato un gesto carino. Insomma, per un sacco di tempo mi sono tenuta questa moneta nel portafogli, ma adesso invece ce l’ho a casa al sicuro.
Il tuo più grande atto di ribellione?
È stato un atto di coraggio, ovvero credere in questo sogno.
Io vengo da una famiglia in cui sono tutti laureati, per i miei genitori il mondo della recitazione era legato ad un mondo superficiale. Infatti, per entrare al Centro Sperimentale, io ho fatto tutte le selezioni di nascosto, senza dire niente ai miei, quindi ho fatto i vari esami raccontando bugie, dicendo che andavo a fare esami per l’università, perché allo stesso tempo ero iscritta ad una facoltà. Alla fine, poi, mi hanno presa al trimestre propedeutico e quindi sarei dovuta andare tutti i giorni a Cinecittà per due mesi. Allora l’ho detto ai miei, e loro mi hanno detto: “Ma certo, Giulia, se vuoi fare questa cosa, provaci, e poi se non ci riesci tornerai all’università”. Una reazione che mi ha stupito. Però, in quella fase della mia vita sono stata coraggiosa e anche un po’ ribelle, perché mi sono ribellata a quello che pensavo che loro volessero che io facessi, ed è stata la prima cosa che ho fatto solo per me. Poi, sai, da ragazzini abbiamo sempre un’idea dei nostri genitori, di quello che si aspettano da te diversa da quella che è la realtà. Adesso, da madre, so perfettamente che i genitori vogliono solo il tuo bene.
Alla fine, la ribellione è inseguire un tuo desiderio che magari va contro a degli schemi, regole, leggi. Bisogna sempre un po’ lottare per crearsi il proprio spazio in questo mondo, perché sennò è un macello.
“Alla fine, la ribellione è inseguire un tuo desiderio che magari va contro a degli schemi, regole, leggi.”
Qual è, invece, la tua più grande paura?
La mia più grande paura in questo momento non può che essere la salute dei miei figli, principalmente.
Cosa significa per te sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Questo è un bellissimo tema. Cosa significa è difficile da spiegare, ma penso abbia a che fare con l’assenza di paura del giudizio, con la capacità di ascoltarsi ed essere in ascolto. Ci si potrebbe sentire a proprio agio in qualsiasi circostanza, in qualsiasi veste, l’importante secondo me è assecondare il proprio stato d’animo di quel momento, e questo secondo me si fa anche nel momento in cui si smette di essere giudicati; se nessuno giudicasse gli altri, nessuno avrebbe paura del giudizio nella quotidianità. Per sentirsi a proprio agio nella propria pelle, bisogna mettersi un po’ più in ascolto di sé stessi e fare quello che ci fa stare bene.
L’ultima cosa o persona che ti ha fatto sorridere.
Sempre i miei figli! [ride] Loro mi fanno sorridere continuamente, sono la gioia della mia vita, sono i miei sorrisi, la mia forza, a volte sono anche la mia frustrazione, la mia paura, però come ti fanno sorridere i bambini, nessuno.
Poi, mi fanno sorridere le mie amiche, con cui cerco di ritagliarmi sempre degli spazi per passare tempo di qualità dedicato a me stessa, e le mie amiche sono fondamentali per i momenti in cui vuoi essere leggera e distrarti.
Poi, c’è mio marito: abbiamo un’ironia simile, un po’ cinica, e ci divertiamo molto.
Qual è la tua isola felice?
La mia isola felice è il set, oltre alla mia casa, che però è anche tante altre cose, è la famiglia, l’affetto, l’amore. Invece il set è una cosa solo mia, un posto dove mi sento a mio agio, in cui mi sento bene e sono felice.
Photos by Johnny Carranno.
Makeup and Hair by Chantal Ciaffardini.
Assistant Makeup and Hair: Elisabetta Distante.
Styling by Sara Castelli Gattinara.
Assistant styling: Bianca Giampieri.
Thanks to Other srl.
Location: Freni e Frizioni Draft.
LOOK 1
Dress: Blazé Milano
Shoes: Roger Vivier
LOOK 2
Total look: Zimmerman
Earrings: Roger Vivier
LOOK 3
Total look: Blazé Milano
Shoes: Pollini
LOOK 4
Dress: Alessandro Vigilante
Shoes: Fendi