Poesia, attesa, desiderio, grandezza: sono questi i mattoncini della storia dell’uomo e i temi della poetica di Giacomo Leopardi.
Proprio sul celebre poeta italiano è da poco uscita su Rai 1 la miniserie “Leopardi – Il poeta dell’infinito”, diretta da Sergio Rubini, che offre a chi già lo conosce e a chi di lui non sa abbastanza una nuova prospettiva sulla sua vita e interiorità. Nella nostra Cover di gennaio, Giusy Buscemi ci racconta il suo percorso nell’interpretazione di Fanny, uno dei personaggi chiave della serie. Attraverso le sue parole, scopriamo il legame profondo che ha sviluppato con la figura di Giacomo Leopardi e la sfida di dar vita a un personaggio complesso e multiforme.
Dalla preparazione sul set all’intenso lavoro sulla psicologia del personaggio, tra parole, emozioni e scoperte personali, Giusy ci regala uno sguardo speciale sulla vita e l’arte del celebre poeta recanatese. Inoltre, ci offre riflessioni profonde sul significato dell’amore, della solitudine e della continua ricerca, temi universali che riecheggiano ancora oggi nella nostra società.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Il mio primo ricordo legato al cinema è il film romantico per eccellenza, ovvero “Titanic”, che sono andata a vedere quando ero piccolissima. Mi ricordo che scorrazzavo tra le poltrone in sala e ogni tanto mi fermavo e mi giravo verso lo schermo che mi sembrava enorme. Ricordo anche di aver fatto un lungo viaggio per essere lì, perché nel mio paese non c’era il cinema, quindi era proprio un evento.
Qual è stata la tua prima reazione quando hai saputo che avresti fatto parte del cast di “Leopardi”? Che legame hai con la figura del poeta e su cosa della sua vita e storia questo progetto ti ha aperto gli occhi? Delle figure storiche di cui ci parlano a scuola secondo me quello che pensiamo di sapere non è mai abbastanza.
Prima di tutto, io non avrei dovuto fare questo progetto perché sarebbe iniziato in contemporanea con un altro, “Vanina”, che stavo per iniziare: avevo fatto il provino, ma poi le riprese sono slittate e io ci ero rimasta veramente male. L’inizio delle riprese però è slittato ancora e quindi mi hanno richiamata. Per me è stata una grande gioia perché ci tenevo tantissimo a raccontare un personaggio così pieno di sfumature e altamente giudicabile, per via del suo modo di prendersi a tutti i costi quello che desiderava andando oltre un’amicizia. È stato bello poter raccontare i suoi bisogni: Fanny è un personaggio con tante forme.
Rispetto a Leopardi, e questo vale per lui così come per Manzoni, Dante, eccetera, il problema con gli scrittori che si conoscono già è la tendenza a dargli subito delle etichette, senza permettere ad ognuno di farsi un’opinione. Questo a volte succede anche con le persone: più famose e più esposte sono e più è difficile per loro lasciarsi scoprire. Dal mio punto di vista, con Leopardi è stato un po’ così: lui viene catalogato subito come un pessimista, da guardare con gli occhi della pietà. Invece, grazie a Sergio Rubini, il regista, un grandissimo innamorato di questo poeta, ho imparato a conoscere Leopardi in maniera diversa e più approfondita. Durante le riprese, ho anche avuto la grande opportunità di conoscere la nipote di Leopardi, Olimpia: mi ha accolta a casa sua, nelle Marche, e mi ha raccontato un po’ di Fanny, dicendomi sin da subito,
“Tu lo sai che Fanny non è ben vista?” [ride].
È stato bello conoscere un uomo che in realtà non sfuggiva alla vita, ma la desiderava più di tutti, nonostante le sue condizioni fisiche. Questo è per tutti un grande incitamento e incoraggiamento, soprattutto per gli adolescenti che si approcciano ad un poeta così grande: Leopardi era molto curioso e un grande osservatore, perché tutte le sue poesie partono da grandi osservazioni di ciò che lo circonda. Spesso, ovviamente, succedeva che ciò che le cose intorno a lui promettevano si rivelavano piuttosto un’illusione, una delusione, come se non fossero mai abbastanza.
Io questo però non lo catalogherei come “pessimismo” e basta, ma come un desiderio di cercare, sempre e continuamente.
“È stato bello conoscere un uomo che in realtà non sfuggiva alla vita, ma la desiderava più di tutti”
Come ti sei preparata per interpretare il tuo personaggio, una figura storica così affascinante e complessa?
Sergio Rubini è stato di grande aiuto, prima di tutto. Poi, io e Cristiano Caccamo abbiamo anche fatto delle lezioni di galateo per imparare come si mangia a tavola, come si mettono le posate, e il portamento, anche se per questo anche i costumi hanno molto aiutato. Io poi mi sono preparata anche personalmente con un coach di recitazione, perché avevo capito il desiderio di Sergio e quindi dovevo trovare il modo per lavorarci.
Lui voleva un afflato romantico, voleva che il mio personaggio avesse una respirazione un po’ alterata che però doveva essere naturale, come se ci fosse un terremoto dentro di lei, che però fuori si traduce in grande equilibrio ed eleganza.
Dato che hai avuto modo di approfondire il legame tra Fanny e Giacomo Leopardi, che cosa ti ha colpito di più del loro rapporto? Come descriveresti l’evoluzione di quest’ultimo nel corso della serie e quali aspetti di questa relazione ti hanno più emozionata o sorpresa?
Mi ha colpito molto vedere che questi personaggi in realtà fanno due percorsi paralleli. È la storia di due attese: da una parte, quella di Leopardi per Fanny, dall’altra quella di Fanny per Antonio Ranieri. Queste attese in realtà hanno alimentato la loro arte, lo dice anche più volte Leopardi: lui ha potuto parlare di un desiderio d’amore che allo stesso tempo produce “altro”, ciò che non riguarda propriamente l’amore stesso, ma l’arte in generale. L’amore può essere il motore che muove tutto il resto, anche se, come nel loro caso, non è corrisposto.
Sin dall’alba dei tempi, l’amore è all’origine della creatività.
Com’è stato lavorare con il regista Sergio Rubini e il resto del cast? Ci sono stati momenti particolarmente significativi sul set?
Sergio, da attore e regista, aveva delle idee molto chiare sui personaggi. Inoltre, ama tantissimo la musicalità delle parole, venendo dal cinema e dal teatro; quindi, la sfida più grande forse è stata quella di entrare nella sua mentalità e comprendere l’idea precisa che aveva del personaggio di Fanny.
A volte, c’erano delle parole ottocentesche complicate da pronunciare e la mia tendenza era quella di “buttarle via”, come si dice in gergo, ma lui mi diceva, “Nooo! Questa parola, se è scritta, c’è un perché!” [ride]. Quello era un piccolo divario che ogni volta bisognava affrontare, sul dare regalità alla parola, importanza che giustamente riconosco e ho capito anche rivedendo la serie.
“Leopardi” è una miniserie che esplora temi profondi come l’amore, la solitudine e la poesia. Quale di questi hai “sentito” di più durante le riprese?
Sicuramente, i personaggi ci coinvolgevano e c’era sempre qualcosa che poi ognuno si portava a casa. Più che solitudine, direi quasi nostalgia, malinconia, anche del personaggio di Fanny, alla quale ho voluto bene. Come dice Tolstoj, la malinconia è il desiderio di desiderare, fondamentale, quindi, tanto quanto la poesia dei luoghi. È stato un progetto itinerante, abbiamo girato tanto nelle marche, ma anche a Napoli e Mantova, in luoghi particolarissimi e poetici, appunto, che ci hanno accompagnati e catapultati in un’altra dimensione. Poi, c’era anche la poesia dei costumi meticolosamente ricercati dal grande Maurizio Millenotti, candidato Premio Oscar, un grandissimo professionista.
“Come dice Tolstoj, la malinconia è il desiderio di desiderare, fondamentale, quindi…”
Pensi che il pubblico contemporaneo possa trovare delle connessioni tra la figura e le vicende di Leopardi e la società e il mondo di oggi? Se sì, quali?
Sicuramente. In tante cose Leopardi è stato lungimirante. Anche nel suo modo di fare politica, lui era interessato all’individuo e ai sentimenti dell’individuo piuttosto che alle masse, oppure era molto scettico rispetto alle industrie, diceva, “Dobbiamo stare attenti, perché prima o poi ci governeranno”, quindi aveva a cuore l’uomo anche in questo senso. Oggi ci ritroviamo in questa dimensione, perché parliamo tanto di intelligenza artificiale che da un lato ci può aiutare, dall’altro può essere la nostra rovina.
Il consiglio più utile ricevuto sul set?
Dare importanza alla parola, come accennavo prima, partendo dal suo suono e musicalità. Non dare mai nulla per scontato, ma godersi ogni parola, perché il progetto lo richiedeva.
Ad oggi, quale diresti sia stato l’elemento più gratificante della tua esperienza nei panni di Fanny?
Ho imparato ad avere uno sguardo più aperto su quello che mi succede intorno, anche le cose apparentemente secondarie. A non essere focalizzata solamente sull’interlocutore che mi sta davanti, ma vivere sempre in una condizione di apertura rispetto a ciò che mi si muove attorno.
Drizzare le antenne e avere sempre occhi e orecchie aperti è importantissimo per esserci davvero nel momento presente. E una poesia o un verso di una poesia di Leopardi che rappresenta questo periodo della tua vita?
A me piace tantissimo la poesia “Il sabato del villaggio”.
Mi è sempre piaciuta, ma in questo momento della vita, è forse ancora più importante perché questa poesia parla della bellezza dell’attesa. Quando si arriva alla domenica e la donzelletta si prepara per celebrarla, la domenica in realtà è già triste, perché l’indomani è lunedì. Questo può essere un promemoria per la mia vita in questo momento, perché io oggi non mi godo più il momento della preparazione, ma voglio che sia “tutto subito”. Penso, quindi, che “Il sabato del villaggio” possa essere un bel promemoria per ricordarmi di godermi l’attesa, che sia la preparazione di una torta con mia figlia, o la preparazione per un compleanno, godermi il piacere dell’attesa…
“Il piacere dell’attesa”
Che a volte è più grande dell’evento stesso.
Cambiando set, invece, nella nuova stagione di “Un passo dal cielo”, invece, interpreti ancora una volta la poliziotta Manuela Nappi. Quali sono le novità per il tuo personaggio e cosa possiamo aspettarci dal suo percorso in questa stagione?
Possiamo aspettarci una donna che da una parte ha capito qual è il suo posto nel mondo, quale mattonella lei ricopre; è, quindi, pronta per il passaggio successivo, ovvero aiutare chi ancora non l’ha scoperto. Questo lo farà soprattutto nei confronti del personaggio di Nathan, interpretato da Marco Rossetti, che lei aiuterà a riconciliarsi con la sua storia, per prepararlo ad aprire il suo cuore al prossimo.
In questa stagione, Manuela è un personaggio che va in missione, sia risolvendo i casi, attraverso la prossemica, capendo qual è il linguaggio non verbale del prossimo, sia nei confronti di Nathan, appunto, e suo fratello in un momento di difficoltà personale. Protagonista, poi, è anche la natura, gli scenari meravigliosi delle Dolomiti venete che vediamo.
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te stessa grazie anche al tuo lavoro?
Un mio difetto è che il mio primo approccio alle cose è quello di fare il “compitino” ed essere la figlia grande, la prima della classe, eccetera. Ho scoperto che questo atteggiamento reprime la parte più bella di me. In questo, la recitazione è veramente terapia, e mi ha fatto capire che il mio lato migliore esce quando mi diverto e quando gioco. Allora tiro fuori cose che nemmeno io pensavo di poter dare ai personaggi ed è quello che vado a cercare ogni volta che mi approccio ad un nuovo ruolo.
“il mio lato migliore esce quando mi diverto e quando gioco”
Qual è stato il tuo più grande atto di ribellione fino ad ora?
Forse è stato mettere al mondo dei figli! [ride] Nonostante tutte le paure che il mondo continua a presentarci.
Qual è la tua più grande paura invece?
La mia più grande paura è quella di non vivere la mia storia, ma quella di altri. Mi piacerebbe farlo per i personaggi che interpreto, ma poi nella vita vorrei rimanere ancorata al mio percorso, alle mie scelte, e non alle influenze di modelli o riferimenti esterni.
Il più bel vaffanculo della tua vita?
Forse potrebbe essere un’altra sfida da affrontare per me, quella di riuscire a dirlo! [ride] Mi capita di andare un attimo in fiamme, a volte, ma poi il secondo dopo mi è passato tutto.
Cos’è, per te, “casa”?
Casa per me è quando dopo una giornata di impegni e lavoro, mi ritrovo la sera a fare il bagno caldo ai miei figli, che poi scorrazzano in giro per la casa, nudi, giocando ad “acchiappa la chiappa” [ride].
Quand’è che ti senti più al sicuro? E quando ti senti più sicura di te?
Forse non ci faccio abbastanza caso… Probabilmente, mi sento più al sicuro e sicura quando le mie relazioni con le persone che mi circondano sono forti e solide. È bello ed è giusto saper stare da soli, ma la mia più grande sicurezza sono mio marito, i miei amici, i miei genitori.
Quelle relazioni che non devono essere tante, ma sono calde, mi danno sicurezza.
Cosa significa per te sentirti a tuo agio nella tua pelle?
Significa non pensare troppo e godersi un bel piatto di pasta, avere confidenza con il proprio corpo, non temere il tempo che passa ma conoscersi di più, anche da dentro, per dare un’importanza non solo all’estetica, ma anche a quello che siamo internamente.
Qual è la tua isola felice?
La mia isola felice è la Sicilia, dove vado appena posso. Adesso abbiamo anche aperto un’azienda agricola, quindi il mio rapporto con la terra si sta vivificando dopo tanti anni. Sai, io sono cresciuta con papà agricoltore che portava me e mio fratello alle raccolte dei frutti, cosa che nel tempo, pensando alla necessità di una sorta di emancipazione, ho quasi rinnegato. Ora, sono tornata ad avere uno sguardo diverso, perché riconosco che sono quello che sono anche grazie agli anni di crescita a contatto con la mia isola.
Lì, il tempo ha un altro valore.
Photos & Video by Johnny Carrano.
Hair & Makeup by Sofia Caspani.
Styling by Sara Castelli Gattinara.
Assistant Styling: Ginevra Cipolloni.
Thanks to Other srl.
LOOK 1
Total look: Ballantyne
LOOK 2
Trench: Tod’s
Jumpsuit: MaxMara
Shoes: MaxMara
LOOK 3
Dress: Michael Kors
Shoes: Tod’s
LOOK 4
Jumper: Malo
Skirt: Michael Kors
Shoes: Tod’s
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