“Lingua Franca” è il terzo lungometraggio della regista Isabel Sandoval, con la quale abbiamo chiaccherato su cosa l’abbia spinta a raccontare la storia di Olivia (interpretata dalla Sandoval stessa), una donna trans senza documenti nell’epoca “dell’amministrazione Trump”.
Il film racconta in maniera delicata e silenziosa la relazione tra Olivia e Alex (interpretato da Eamon Farren), il nipote dell’anziana signora di cui Olivia si prende cura. Con un contesto socio-politico ben definito sullo sfondo, Isabel dipinge una storia universale di due persone che si trovano e che trovano se stesse.
Prima di tutto congratulazioni per il film. Cosa ti ha spinta a scrivere la storia di Olivia?
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Come regista – questo è il mio terzo lungometraggio – sono sempre stata attratta dalle storie di donne emarginate dalla società. Il mio primo film parla di una donna trans che si ritrova coinvolta nei fatti politici locali, il secondo parla di un prete di clausura nelle Filippine durante il periodo della dittatura, mentre questa volta, con “Lingua Franca”, parlo di una donna trans senza documenti durante il governo di Trump. Voglio raccontare le storie delle donne le cui vicende e situazioni non si vedono rappresentate molto spesso sul grande schermo, perché le sento più intriganti, più dinamiche e più vibranti e poi, essendo io stessa un’immigrata trans, so di poter contribuire con un certo livello di verità e onestà a queste storie, e se non le raccontassi io, chi altro potrebbe farlo?
Quali sono state le difficoltà maggiori nella realizzazione di questo progetto?
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Il budget in primis, raccogliere fondi è sempre una sfida. La maggior parte del nostro budget proviene da investitori azionari, ma abbiamo anche raccolto parte della somma con il crowdfunding. In realtà, all’inizio il budget stimato del film era tre volte più grande di quello che si è rivelato alla fine, così ho pensato di raccogliere un budget più piccolo, dato il tema del film che in qualche modo viene sentito come di nicchia trattandosi di un personaggio trans e immigrato, sentivo di poter girare il film e pagare le persone che vi lavoravano decentemente basandomi su quel budget più piccolo. E con quel budget più piccolo il film può fare soldi più velocemente, e in questo modo sentivo anche di avere la libertà di perseguire la mia visione creativa. Penso che se il mio budget fosse stato più grande, avrei avuto meno autonomia e indipendenza come artista, e non avrei potuto fare il film che volevo io.
“…essendo io stessa un’immigrata trans, so di poter contribuire con un certo livello di verità e onestà a queste storie, e se non le raccontassi io, chi altro potrebbe farlo?”
Siamo curiosi: perché hai scelto di far lavorare il personaggio di Eamon in un mattatoio?
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Perché quando si pensa alla New York cinematografica, soprattutto la New York dei Millennials, i film sono sempre ambientati a Williamsburg, la parte più hipster e glamour di Brooklyn, mentre io volevo mostrare una parte della città che normalmente non si vede sul grande schermo, come Brighton Beach e Coney Island, in un modo che, pur appartenendo alla città, sembri essersi fermata agli anni ’60. I russi tendono a non essere, per lo meno quando vivono a New York City, le persone più alla moda o moderne quindi volevo che ci fosse questa atmosfera da film d’epoca, in un certo senso.
Anche se Alex lavora in un mattatoio, non volevo seguire il solito percorso cinematografico e farlo sembrare cupo, sporco e angosciante: volevo che l’aspetto fosse curato e, in un certo senso, romantico e poetico.
“…volevo mostrare una parte della città che normalmente non si vede sul grande schermo, come Brighton Beach e Coney Island, in un modo che, pur appartenendo alla città, sembri essersi fermata agli anni ’60”.
Come hai lavorato con Eamon sulla relazione tra i vostri personaggi?
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Quello che mi piace del lavorare con Eamon è che è un collaboratore, non solo un attore. Soprattutto perché, come donna trans, sentivo di aver compreso molto intimamente la psicologia e il carattere di Olivia, ma volevo avere degli input e delle considerazioni su ciò che scatena delle reazioni in un uomo come Alex: quali sono le sue motivazioni e le sue intenzioni.
Eamon in questo senso è stato fondamentale per immergerci nella psicologia più profonda di un personaggio come Alex.
Qual è il significato o l’importanza per te dei momenti di silenzio nel film?
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Il film rappresenta la mia personalità: penso di essere abbastanza riservata e sono per lo più silenziosa. Mi trovo più a mio agio nell’osservare piuttosto che nel parlare attivamente. Mi sembra che ci siano un sacco di film che si focalizzano sull’azione e sugli sviluppi della trama, mentre io ho preferito concentrarmi sui momenti di silenzio e di introspezione perché, per me, questo è ciò che è conta nella storia. È da questi momenti che i personaggi traggono la loro forza e prendono le decisioni finali. Decisioni che in ultima analisi creano una catena di eventi. È quando le persone si ritirano nel loro privato e in qualche modo si isolano che si vede davvero la realtà e la verità su di loro.
Il silenzio porta anche il pubblico a prestare maggiore attenzione.
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Esattamente. Recentemente a un critico cinematografico ho detto che in realtà sono i silenzi e le pause ad avere maggiore importanza in questo film. Ci invitano a prestare davvero attenzione non solo alle parole che vengono dette, ma alle pause tra queste parole.
Come lavori con te stessa quando devi dirigerti come attrice? È difficile?
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Questa non è una risposta molto comune, ma è più facile per me. Perché recitare nel mio film equivale, per me, a una persona in meno da dirigere.
Ti viene naturale…
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Sì, perché un personaggio come Olivia sento di conoscerlo molto bene. Prima di girare, mentre scrivo, riesco davvero a conoscere i personaggi a un livello più profondo, ma nella settimana o nei giorni prima delle riprese non ci penso troppo perché mi innervosisco. Quindi mi limito a vivere un giorno alla volta. Certo, la sera precedente mi preparo per girare, ma, quando recito con i miei attori, cerco solo di essere presente e di interiorizzare Olivia.
Il film è uno specchio della società contemporanea che lascia spesso da soli quelli che stanno lottando per costruirsi una vita, mentre la società stessa e il sistema politico sembrano tornare indietro invece che andare avanti. Secondo te, i film riescono ad essere un mezzo per mantenere e ricordarci i valori della comunità?
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“Lingua Franca” parla di immigrazione e dei diritti LGBTQ, in particolare dei diritti transgender, ma uso anche queste tematiche come sfondo per esplorare le singole storie personali; ci sono persone che perdono l’attenzione quando dici, “questo è un film sull’immigrazione e sui diritti trans”, perché sentono che potrebbe essere troppo politico per loro, e questo spegne in loro ogni interesse.
Quindi cerco di attirare l’attenzione facendo film che riguardano le singole persone, i loro desideri e le loro speranze che prendono vita in un ambiente politico-sociale molto specifico. In questo senso, si spera che il pubblico, anche se sta guardando il film in paesi come il Sud Africa o in Giappone o in società molto lontane da quelle rappresentate sullo schermo, possa ancora riconoscere l’umanità di base e la dignità nei personaggi. Ecco perché sento che i responsabili delle Giornate degli Autori abbiano preso in considerazione il film perché, anche se si svolge in un contesto socio-politico molto specifico, le storie sono universali e accessibili.
Come descriveresti “Lingua Franca” in una sola parola?
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Enigmatico.
Cosa ci puoi svelare dei tuoi prossimi progetti?
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In realtà ho diversi progetti in fase di produzione. Il primo è una serie noir che sto sviluppando con un produttore esecutivo britannico e ambientata a Los Angeles alla fine degli anni ’70, mentre l’altro è un dramma incentrato su un’adozione in cui spero anche di recitare.