“Shangri-la” è il ventunesimo cortometraggio della serie Miu Miu Women’s Tales, una storia di amore proibito nella California della Grande Depressione.
In occasione della rassegna di corti alle Giornate degli Autori, abbiamo incontrato, per la seconda volta di (ci auguriamo) una lunga serie di volte, la regista, sceneggiatrice, film editor ed interprete dell’opera, Isabel Sandoval.
Attraverso un excursus sulla sua esperienza da regista, i nuovi progetti, le sue fonti di ispirazione, e le difficoltà che ha dovuto affrontare per fare cinema in piena pandemia, Isabel ci ha aperto le porte del suo affascinante mondo interiore, raccontandoci i suoi obiettivi, i suoi punti di vista sulla politica e sulla società, e il suo stile cinematografico, in cui “desiderio” è parola chiave, ed “emotività” è elemento guida.
Ci siamo già incontrate per il tuo film “Lingua Franca”, che ho adorato, e quando ho saputo che saresti venuta qui al festival anche quest’anno, mi sono subito detta, “Devo incontrarla di nuovo…”. Miu Miu Women’s Tales è una piattaforma straordinaria: com’è stato per te avere quest’opportunità e cosa ti piacerebbe comunicare attraverso questa piattaforma?
Miu Miu Women’s Tales è una fantastica e ben accetta opportunità di esplorare qualcosa di nuovo nell’industria. Nei miei lavori precedenti mi sono sempre concentrata su questioni esterne, sociopolitiche, primo fra tutti “Lingua Franca”, che è stato presentato qui due anni fa. Quella è stata anche la prima volta che un mio film, pur affrontando una forte tematica politica, ha assunto un tono e un mood elegante, poetico, lirico e sensuale, un aspetto che ho portato su tutto un altro livello in “Shangri-la”. La storia è sempre ambientata in un contesto politico ben preciso, la Grande Depressione in California, e in quel periodo c’erano leggi che proibivano agli immigrati filippini di sposare gli americani, ma in questo film, in pratica, sono il desiderio e la sensualità che dominano la seconda metà, quando inizia il monologo interiore della donna. Vorrei spingermi sempre di più verso questo tipo di estetica e direzione creativa, andando avanti nella mia carriera. Non c’è niente di più politico e radicale e sovversivo del concedere ad una donna di provare e manifestare quel desiderio.
“Non c’è niente di più politico e radicale e sovversivo del concedere ad una donna di provare e manifestare quel desiderio”.
Parli anche di seduzione. È molto liberatorio affrontare argomenti del genere, vero? Ed esteticamente, è meraviglioso. Cos’è per te la seduzione?
La seduzione, per me, è alimentare e suscitare quel senso di desiderio. Per esempio, quando stai guardando un film, in quanto regista vuoi suscitare il desiderio nello spettatore, ed essendo sopravvissuti ad una pandemia, lo scorso anno e mezzo, direi che questo tipo di sentimento vorrei provarlo anche in veste di spettatrice e cinefila, nel momento in cui ho a che fare con arte o cinema. Ho l’impressione che prima, nel mio lavoro, tendevo sempre a provare un certo senso di colpa o vergogna per ciò che non dicevo a proposito di una certa questione politica, ma ora voglio che il mio cinema, e il cinema che guardo, mi ispirino, mi elevino, ed espandano il senso che ho delle mie possibilità, ed è questo quello che sto cercando di fare con “Shangri-la”.
Prima hai detto una cosa molto interessante, ovvero che dopo aver girato “Lingua Franca” ti sei sentita più a casa negli Stati Uniti. “Shagri-la”, o il tuo prossimo film, “Tropical Gothic”, ti hanno cambiata ulteriormente, o ti hanno suscitato sensazioni nuove?
Sì. “Lingua Franca” è stato il mio primo film ambientato negli USA, mentre “Tropical Gothic” è stata la prima volta in cui ho dovuto fare i conti con il mio rapporto con gli USA sia in quanto la mia casa attuale, sia in quanto colonizzatore delle Filippine, perché dopo la Spagna, è stata l’America ad occupare le Filippine, quindi, con “Tropical Gothic” sto cercando di analizzare la mia relazione con il colonialismo e l’imperialismo.
“La seduzione, per me, è alimentare e suscitare quel senso di desiderio”.
Il titolo suggerisce un’idea di paradiso, un posto in cu tutto è possibile. Qual è la tua idea di Shangri-la nel mondo reale?
La mia idea di Shangri-La nel mondo reale è una donna che sente di non avere nessun limite e impedimento, e che può essere completamente e autenticamente sé stessa nei momenti in cui ottiene la massima libertà. La protagonista di “Shangri-la”, anche se è un’immigrata povera, una bracciante, riesce ad immaginarsi come una guerriera, una principessa, una dea; secondo me, se possediamo dentro di noi quel tipo di fermezza e forza d’animo, riusciamo anche a ricavarne l’energia e la capacità di affrontare i problemi che incontriamo nel mondo reale.
Ciò che hai raccontato nel cortometraggio è molto poetico, a mio parere. È stato complicato? È stato un processo su cui hai dovuto lavorare a lungo, o è nato tutto spontaneamente?
“Shangri-la” è stato girato a Los Angeles, in un teatro di posa, a dicembre, quando Los Angeles era il centro della pandemia, quindi non ho avuto molto tempo, ad essere sincera, per preparare tutto. Io vivo in North Carolina, e dopo aver preso l’aereo per Los Angeles, ho dovuto fare una quarantena di 12 giorni, e mi sentivo perennemente agitata, perché se fossi risultata positiva, avremmo dovuto annullare tutto. I momenti in cui mi trovavo sul set erano quelli in cui percepivo davvero organiche e giuste le decisioni creative che prendevo. Ripensandoci, è stato proprio allora che ho capito che la mia evoluzione in quanto filmmaker riguarda le mie attuali, nuove priorità e preferenze estetiche, ovvero esaltare e rappresentare il desiderio ed essere davvero radicale, rivoluzionaria.
“Ripensandoci, è stato proprio allora che ho capito che la mia evoluzione in quanto filmmaker riguarda le mie attuali, nuove priorità e preferenze estetiche, ovvero esaltare e rappresentare il desiderio ed essere davvero radicale, rivoluzionaria”.
Hai scelto gli abiti personalmente? Ti hanno aiutata, in qualche modo, ad enfatizzare la storia? Il vestito della scena dei fuochi d’artificio è stupendo…
Sì, li ho scelti personalmente. Gli abiti di Miu Miu del film sono stati piuttosto stimolanti per me, infatti è grazie a loro che mi è venuta l’idea della dea con un certo abito indosso, della guerriera con un altro e della principessa con un altro ancora.
Puoi parlarci del tuo prossimo progetto, “Tropical Gothic”?
Ho finito di scrivere la sceneggiatura di “Tropical Gothic” ed è ancora una volta ambientato nelle Filippine, non in quelle moderne, ma in quelle del 16° secolo, agli inizi del regime coloniale spagnolo. L’idea per il film mi è venuta guardando “Vertigo” di Hitchcock, che sarebbe il punto di vista maschile per eccellenza, infatti ho pensato, “Come posso rovesciare quest’aspetto a livello cinematografico, dar vita ad una storia incentrata su uno sguardo femminile consapevole di essere dominato da un maschio?” Così è nata la storia di questa sacerdotessa indigena: quando gli spagnoli hanno saccheggiato le Filippine, si sono impossessati di tutte le proprietà e le fattorie degli indigeni, quindi questa sacerdotessa filippina desidera di essere posseduta dallo spirito della defunta moglie di un padrone spagnolo, in modo da poterlo manipolare e riacquisire la sua proprietà e la sua fattoria.
Non vedo l’ora di vederlo!
Spero di poterlo presentare in concorso qui a Venezia tra due anni, è il mio sogno!
Ottimo, quindi ci vediamo tra due anni!
Come descriveresti la tua esperienza da regista fino ad ora?
Sono stata molto fortunata, perché ho lavorato con produttori che si sono sempre fidati sinceramente della mia voce e del mio talento. Ho l’impressione di riuscire a dare il mio meglio quando mi viene concessa la libertà di realizzare la mia visione creativa per il film, e spero di poter continuare a farlo. Il successo del mio lavoro credo dipenda dalla mia abilità di preservare l’integrità intrinseca della mia visione, e anche se sto ancora tentando di varcare le porte di Hollywood, non voglio perdere di vista quell’obiettivo, perché fino ad ora ha funzionato, quindi continuerò così.
“Il successo del mio lavoro credo dipenda dalla mia abilità di preservare l’integrità intrinseca della mia visione…”
Come definiresti il tuo stile cinematografico?
I film che ho fatto sono un po’ tutti indirizzati verso tematiche politiche, con un tono e una sensibilità lirici, poetici e sensuale. Mi sono molto ispirata ai film di Wong Kar-wai, come “In the Mood for Love”, ma anche ad opere diametralmente opposte, come l’austero minimalismo estetico di Chantal Akerman in “News from Home” e “Jeanne Dielman”. Ho l’impressione che i miei film e il mio stile siano due cose opposte, in un certo senso.
“I film che ho fatto sono un po’ tutti indirizzati verso tematiche politiche, con un tono e una sensibilità lirica, poetica e sensuale”.
Secondo me, in quanto attore o regista, quando fai un film entri in contatto con parti di te che magari non conoscevi, perché scavi a fondo dentro te stesso. Qual è l’ultima cosa che hai scoperto su te stessa, anche grazie al tuo lavoro?
Il mio ruolo in quanto artista è quello di dar vita ad un’esperienza emotiva in cui il pubblico e gli spettatori dei miei film possano immergersi, perché, in fin dei conti, e parafrasando Maya Angelou, il pubblico non ricorderà i dettagli specifici e/o intricati della trama del film, né tanto meno certi particolari dei tuoi personaggi, ma non dimenticherà mai i sentimenti che il tuo film gli ha suscitato. Fin quando so verso quale destinazione emotiva voglio indirizzare il mio pubblico, sarà quella la mia guida nel creare una storia.
“Il mio ruolo in quanto artista è quello di dar vita ad un’esperienza emotiva…”
Photos & Video by Johnny Carrano.