La natura è tutto. La natura è ovunque.
Nonostante il mondo moderno tenti di opprimerla, il suo potere è più profondo e misterioso di quanto possiamo immaginare. E, a volte, la natura si riprende il suo posto come sovrana suprema, anche in modo drammatico.
“Basileia”, il primo lungometraggio di Isabella Torre, parla proprio del potere della natura, in particolare quello dell’Aspromonte, dove la scoperta di un tesoro da parte del personaggio interpretato da Elliott Crosset Hove porta a una serie di eventi irreversibili.
L’influenza del passato, il mistero che non ha bisogno di spiegazioni, l’importanza della collaborazione e il paesaggio: “Basileia”, Isabella, Elliott sono tutti parte di una narrazione che mira a sottolineare come qualcosa di più grande di noi sia effettivamente là fuori. Cos’è? Beh, a volte la mancanza di una risposta rende la vita ancora più degna di essere vissuta, non credete?
Isabella, sei già stata a Venezia in passato: com’è tornare qui con questo nuovo progetto?
Sono stata di nuovo alla Mostra nella sezione Orizzonti con il corto “Ninfe”, e poi alla Settimana Internazionale della Critica con “Luna Piena”, che è l’unico progetto slegato da “Basileia”, ma non sono mai stata a Giornate degli Autori, e trovo che sia la casa giusta per il film. Sono molto contenta. Mi sento sempre un po’ a casa qui a Venezia, e mi sembra un po’ come il coronamento di questo lungo percorso che è stato “Basileia”, cominciato tanto tempo fa.
Io scherzo sempre dicendo che è la gestazione più lunga che abbia mai avuto: è stato difficile e sono molto fiera che ora sia realizzato, sia fuori e possa fare il suo percorso.
E tu Elliot, come sta andando a Venezia?
Benissimo. È la mia prima volta al Festival, sono stato a Venezia solo da turista quando avevo 10 anni. Sono molto entusiasta di essere qui.
Com’è stato collaborare tra voi e con le altre persone coinvolte in questo progetto? Tra l’altro, è anche una produzione su più Paesi, tra cui Italia e Danimarca, quindi com’è stato il processo che ha portato al film?
I: Ci sono tante cose da dire. Prima di tutto, il fatto che era una crew non tanto grande e scelta proprio perché gran parte delle persone sono persone con cui io e Jonas [Carpignano], il produttore e mio compagno di vita, abbiamo già lavorato e quindi già partivamo da una struttura collaborativa, a parte alcune new entry che sono state introdotte dalla mia direttrice della fotografia. Comunque, fin da subito si è creata una realtà molto famigliare, infatti abbiamo avuto delle situazioni di vera convinzione, che sono rimaste a tutti nel cuore.
Il film è stato molto duro da girare, e il fatto che tutte queste persone fossero disposte a vivere quest’avventura insieme a me mi ha resa grata ogni giorno. La vedevo un po’ come se fossimo tutti sulla stessa barca un po’ malridotta, però una cosa era sicura: quella barca doveva affondare e tutti insieme avremmo collaborato per riuscire a sopravvivere il più possibile. Questo mi ha aiutata tanto, anche perché avevo mia figlia piccola sul set, quindi la situazione era molto challenging per me, così come affrontare delle scene in location impossibili. Dal punto di vista del cast, invece, ci sono due direzioni: quella dei non attori, ovvero gli extra, persone che vivono in Aspromonte e che rappresentano quella terra e sono molto vicine ai personaggi che interpretano nel film. Sono persone che conosco da anni e che poi, all’improvviso, poco prima di iniziare a girare, hanno scoperto che sarebbero stati nel film e si sono fidati, grazie a Dio, appunto perché ci volevamo già bene. Poi, ci sono esperienze come la collaborazione con Eliott: noi non ci eravamo mai visti, ci siamo conosciuti su Zoom quando finalmente sono riuscita ad arrivare a lui. Avevo visto i suoi film e lui mi era piaciuto tantissimo, quindi partivo con una grande predisposizione nei suoi confronti. Poi, la sua visione del personaggio, “the Irishman”, mi era aveva colpita tantissimo, oltre al fatto che lui sin da subito si è fatto capire. È un attore, ma anche una persona, di una generosità incredibile, e lavorare con lui per me è stata una fortuna immensa: è in grado di prestarsi con tutto il cuore e con la mente anche nelle situazioni più difficili, con una gentilezza incredibile.
Anche Angela [Fontana] l’avevo già conosciuta in varie situazioni e che ho avuto modo di conoscere molto meglio successivamente. Anche lei si è prestata totalmente al progetto, ed è stata veramente molto brava.
E: Tutto è iniziato con una videochiamata, come ha detto Isabella, ed è nata una connessione molto bella. Quando ho letto la sceneggiatura, ho pensato che fosse straordinaria, magica e molto potente, qualcosa che non avevo mai letto prima. Sono stato molto fortunato, ho visto anche i lavori precedenti di Isabella, i suoi cortometraggi, e li ho trovati meravigliosi e pieni di cuore.
Prima di immergermi in questo progetto, ero molto stanco perché avevo lavorato tanto prima e pensavo di non poter dare abbastanza, che avevo bisogno di più tempo per riposare. Ma Isabella mi ha dato fiducia e mi ha fatto sentire molto al sicuro. Non succede spesso di avere una connessione così naturale, ma penso davvero che l’abbiamo avuta, grazie a lei.
Ho letto la sceneggiatura più e più volte, per entrare nel personaggio, ma poi mi sono affidato alla direzione e alla visione di Isabella. Penso che sia stata brillante nel descrivere la sua idea di storia, ed è stato meraviglioso lavorare con gli altri attori e produttori. Inoltre, gran parte del cast non era composto da attori professionisti, ma da persone che vivevano nelle città dove abbiamo girato, ed è stato incredibile vedere come Isabella li ha diretti. È qualcosa che non avevo mai visto prima, questo modo di lavorare con persone che non avevano familiarità con la recitazione, e sono stati straordinari. Come attore, il mio sogno è recitare come se non fossi un attore, e loro avevano quella naturalezza. Isabella ci ha portati tutti a bordo e ci ha messi sulla stessa lunghezza d’onda.
“Come attore, il mio sogno è recitare come se non fossi un attore”
Isabella, questo film è un po’ la continuazione di un tuo lungo percorso, dopo il corto “Ninfe”. È nato con l’idea di essere un lungometraggio, oppure da corto si è sviluppato in film?
È sempre stato un lungometraggio, perché sapevo che la storia sarebbe stata così complessa da mettere in scena, alcuni luoghi e alcune persone erano così inarrivabili, così delicati e inaccessibili, che avrei dovuto testarmi e testare in generale se sarebbe stata un’avventura percorribile. Una volta capito che avevamo le basi per farlo, ho sentito che avrei potuto essere più solida nell’esperienza di girare un lungometraggio.
Elliott, parlando del tuo ruolo, com’è stato il processo di preparazione? Ci sono state delle sfide che hai affrontato nell’interpretare un personaggio così complesso e riflessivo?
Sì, è stato un processo molto interessante, considerando anche che uscivo da un periodo pieno di lavoro. Mi sentivo vuoto, in un certo senso, ma mi sono fidato di Isabella. Ho letto la sceneggiatura più volte, come dicevo, e mi sono affidato al fatto che ciò che dovevo sapere sarebbe rimasto e avrebbe risuonato dentro di me finché avessi continuato a leggere la sceneggiatura. Normalmente, scriverei un libro di appunti e farei tantissime cose per preparami; ma per questo film, semplicemente non avevo tempo di farlo, e anche Isabella mi ha detto di limitarmi a leggere la sceneggiatura e riposarmi.
È stato così liberatorio non dover fare così tante prove e semplicemente confidare che tutto ciò di cui avevo bisogno fosse già nella sceneggiatura.
Il mio personaggio, come hai detto tu, è molto complesso: da una parte è molto appassionato dei tesori e della storia di questi tesori, dall’altra è molto influenzato dalla società capitalista perché vuole venderli e crede di avere il diritto di farlo. È stato molto interessante portarlo sullo schermo, ed è diventato l’essenza stessa di lui, il suo nucleo profondo.
Il personaggio principale è forse il paesaggio dell’Aspromonte, con tutti i suoi significati, con tutte le sue difficoltà e la sua bellezza. Qual è stato il vostro rapporto con il paesaggio, quindi? Vi ha trasmesso sensazioni, ispirazioni particolari mentre eravate lì tutti insieme?
I: Già l’ispirazione del film la devo per prima cosa all’Aspromonte: questo luogo e la sua nebbia sono dei veri e propri personaggi. Il tono della storia è così mistico, ultraterreno, vero e selvaggio proprio perché l’Aspromonte è così. Lo dice anche il nome, è un luogo aspro ma allo stesso tempo di una bellezza poetica, cattiva, come in generale è un po’ la vita. Passare tanto tempo con la crew è stato bellissimo, abbiamo talmente tanti episodi da raccontare, cose incredibili che sono successe, avventure che ti fanno sentire incredula di essere sopravvissuta. Anche solo portare a casa una giornata di lavoro nella dimensione dell’Aspromonte: lì, se piove, la sua pioggia può essere devastante, la nebbia a volte è così fitta che non vedi la persona che ti sta accanto. Il paesaggio ha sicuramente plasmato i nostri animi mentre giravamo e tantissimo anche la sceneggiatura in generale.
E: Sì, il paesaggio ha fatto gran parte del lavoro, in particolare per quanto mi riguarda. Io cercavo semplicemente di essere il più aperto possibile alla natura, perché mi ha sicuramente influenzato, sia come persona che come personaggio. Il paesaggio ti fa tanti regali, quindi si trattava di lasciare che la natura facesse il lavoro al posto tuo a volte, perché se ti rilassi nel paesaggio, tutto diventa naturale, non so se mi spiego.
Le Ninfe salvano il paesaggio circostante, si riprendono, in un certo senso, quello che era loro in maniera anche drammatica e devastante. È forte, quindi, il tema della salvezza, del paesaggio, del mondo, di noi stessi. Cosa rappresenta per voi questa idea di salvezza?
I: Non so se si tratta di salvezza in senso generale, nel senso che non vedo le Ninfe come portatrici di salvezza per l’Aspromonte e le sue genti, anzi, in molti momenti le Ninfe sono letali. Le Ninfe sono forze della natura liberate che però tentano la sopravvivenza. Quindi, parlerei più di sopravvivenza e adattamento all’ambiente circostante e di prolificazione della loro specie. Io vedo le Ninfe un po’ anche come l’emblema di un passato che è una presenza molto forte che va al di là del passare del tempo: si tratta di futuro, si tratta di radici, perché l’Aspromonte è questo in questo momento storico, è entrato in contatto con il mondo gentrificato, contemporaneo, colonizzato, così come lo conosciamo, anche se lì ha un effetto completamente diverso, perché non riesce veramente ad attecchire e cambiare completamente le loro radici e trasportarli completamente in quella direzione.
Sebbene i giovani siano esattamente come noi, lì, la loro visione della vita e la loro predisposizione sono così legate alla forza della natura che è intorno a loro e al tempo e al passato che li riguarda, che comunque la contemporaneità non avrà mai la stessa influenza che può avere in altri contesti.
E: Per me, significa “fare meno” rispetto a quello che il personaggio che interpreto fa nel film. Lui crede di avere il diritto di prendere una cosa dalla terra e appropriarsene, e a proprio vantaggio, e non lo fa di certo in modo sano.
“in molti momenti, le Ninfe sono letali“
Parlando di religiosità: voi credete che ci sia qualcosa di più grande di noi?
I: Io personalmente sono sempre stata intrigata da questo quesito. Forse, è proprio questa la chiave del film, ovvero come la gente riesca ad affidarsi a entità superiori senza preconcetti. Penso che, in realtà, c’è così tanto di inspiegabile, misterioso e potente che forse una risposta non serve. Ecco perché anche le Ninfe non sono così definibili: quello che succede non è completamente chiaro, non c’è una spiegazione a tutto quanto, e per me era importante che questo fosse la forza del film. Non tutto è bianco o nero.
Anche il finale va sempre in questa direzione: ci sono dei misteri nella vita che servono in quanto tali.
E: Io credo che ci sia qualcosa di più grande di noi. Non so cosa, ma credo esista. Perché se non c’è nulla, la vita sarebbe triste e priva di significato.
Questo senso di mistero si percepisce chiaro nel film, ecco perché ci tenevo a chiederti il tuo punto di vista.
Qual è l’ultima cosa che avete scoperto su voi stessi grazie al vostro lavoro?
I: Ho scoperto che sono molto meno cagasotto di quanto pensassi. Alla fine per me la sfida più grande del making of di questo film, location e intemperie e varie difficoltà di questo tipo a parte, era il fatto che io avevo la mia bambina piccola sul set. Ho scoperto, quindi, che quella che pensavo sarebbe stata una divisione che mi avrebbe distratta dal mio scopo, invece mi ha resa molto più impavida e focalizzata. Ho individuato le mie priorità, che spesso erano dettate dal fatto che avevo mia figlia con me e non avevo tempo per lasciarmi al caso. Mi sono riscoperta io in questo film.
E: Io ho scoperto quanto sono fortunato ad avere questo lavoro e avere l’opportunità di viaggiare e incontrare persone meravigliose provenienti da altri paesi e culture, e di diventare anche più intelligente “nel cuore”. Mi sento immensamente fortunato di aver fatto parte di questo progetto, perché realizzare questo film è stato completamente diverso da qualsiasi cosa che abbia fatto in passato. Quello che ho imparato da questa esperienza, o su cui sono stato rassicurato, è che io, come il personaggio che ho interpretato nel film, che proviene dalla Scandinavia, una parte del mondo molto privilegiata, devo essere consapevole e grato di provenire da un luogo molto privilegiato.
A proposito, qual è la tua isola felice?
In questo momento è casa mia, con la mia ragazza e mio figlio.
Photos by Luca Ortolani.