Arte é espressione.
Attraverso l’arte si veicolano emozioni, messaggi, speranze e pensieri.
Arte é libera interpretazione.
Non é soltanto pittura, scultura, scrittura o architettura: arte è tutto ciò che racchiude il nostro cuore, la nostra passione per ciò che facciamo e il duro lavoro che impieghiamo per vedere i nostri sogni realizzati. Ecco perché arte è sinonimo di ogni espressione creativa, incluso il costume design, inclusa l’accurata ricerca, le ispirazioni e la volontà di raggiungere risultati unici nel loro genere, che contraddistinguono le creazioni di James Keast.
James, nel corso della sua carriera, ha lavorato ad oltre 50 produzioni, soprattutto di carattere storico, tra cui “Tess dei d’Urberville”, i primi tre episodi di “Victoria” e “Mr.Selfridge”: se invece siete appassionati di serie TV contemporanee, forse conoscerete “Luther” e il suo ormai iconico look (e cappotto), ideato proprio da James, che ha messo da parte i tessuti d’epoca per dare personalità al personaggio di Idris Elba anche tramite l’abbigliamento. James Keast ama profondamente il suo lavoro e lo si capisce da come ne parla, dall’orgoglio con il quale racconta dei suoi esordi alla toccante descrizione dell’incendio avvenuto su set di “Tess dei d’Urberville”, incantando con aneddoti, dettagli di produzione e tante ispirazioni diverse che rendono la sua visione un unicum nel panorama del costume design.
Perché, quando ci sono la passione, la cura costante che caratterizza ogni passaggio del processo creativo e soprattutto un amore verso ciò che fai, non si può che dar vita alle emozioni, ed è proprio questo che James fa: ti emoziona con ogni parola e costume, aprendoti le porte alla bellezza del passato e della moda più elaborata. In altre parole, ti fa sognare attraverso la sua arte sofisticata: siete pronti a lasciarvi travolgere dal suo mondo?
Come é nata la tua passione per il costume design? E come si é evoluta negli anni?
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Abbastanza per caso direi. Quando mi sono iscritto all’accademia d’arte volevo diventare un pittore, ma non sono molto bravo, a disegnare me la cavo, mentre a dipingere sono una frana. A scuola facevamo delle gite didattiche, potevamo andare anche a teatro e per me, mentre eravamo a teatro, era come vedere un dipinto vivente, era fantastico, ma non ho mai pensato che sarei stato in grado di fare qualcosa di simile.
Così, mentre ero all’accademia, ho pensato che avrei potuto fare qualcosa a teatro e ho deciso di seguire un corso di design teatrale, poi ho trovato lavoro come costumista e questo mi ha portato ad un altro lavoro, e un altro ancora. All’improvviso, mi sono ritrovato a realizzare costumi di scena. Amo i tessuti, i materiali, e ho così ho pensato “Potrei fare questo per il resto della mia vita senza ripensamenti”. E dunque eccomi qua oggi. Per caso.
Anche il costume design è una forma d’arte, ti ha permesso di trasformare la tua passione in qualcosa di diverso, ma comunque artistico.
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Si ma la passione deriva dalla pittura, dall’immagine nel suo complesso, che é come lavoro tutt’oggi, trovo fantastici i dettagli. E ho una passione per le cose fatte a mano, dalle persone. Se sto lavorando a una produzione storica, preferisco cercare abiti fatti a mano piuttosto che fatti con dei macchinari, oppure dipinti a mano. Penso sempre che qualcuno si é davvero seduto per fare a mano quelle cose con grande talento, come nella ceramica: le persone erano solite dipingere a mano la ceramica, erano degli artisti e nessuno riconosceva il loro lavoro, ma se guardi i risultati sono fantastici e molto creativi. Sono un grande appassionato del ricamo.
C’é stata una qualche esperienza in particolare durante la tua carriera che é stata determinante per il tuo lavoro di oggi?
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Si, e credo che vi interesserà molto. C’é un film intitolato “Morte a Venezia”, girato a Venezia, a cui ha lavorato un costume designer italiano, Piero Tosi. Un mio amico costume designer, a cui facevo da assistente, mi chiese chi ritenevo essere un buon costume designer. E io risposi: “Mi piace parecchio il lavoro di questo tizio” e lui mi disse, “É divertente, perché é anche il mio preferito e se chiedi a qualsiasi altro costume designer scoprirai che é il preferito di tutti”, e io risposi: “Oh, é interessante”. Così ho iniziato a guardami tutti i suoi film e lavori, e credo sia fantastico. É stata la prima volta in cui ho studiato nei dettagli il lavoro di qualcuno e che ho pensato: “Vorrei essere così bravo, vorrei fare qualcosa di simile”. É il costume designer che mi ha ispirato di più e che ancora oggi ha un impatto sulle persone. Penso ci sia un’esibizione del suo lavoro a Roma in questo momento [PIERO TOSI. ESERCIZI SULLA BELLEZZA. GLI ANNI DEL CSC 1988 – 2016, Palazzo delle Esposizioni].
Quando all’inizio mi sono trasferito a Londra lavoravo nel dipartimento teatrale dove si realizzavano tutti i costumi nuovi per le produzioni. Questo mi ha aiutato a sviluppare la capacità di saper prendere le distanze e osservare, perché devi guardare quello che gli altri costume designer fanno. Puoi prendere le distanze ed osservare davvero quello che si deve e non si deve fare, ed imparare dai più bravi. Mi ha aiutato a comprendere meglio il costume, come aderisce al corpo, il personaggio, i piccoli dettagli, cosa vorresti aggiungere o togliere da un personaggio.
Queste sono le mie due influenze principali.
La tua lista di clienti é incredibile, hai lavorato a così tante produzioni. Cosa ti spinge ad accettare un progetto?
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Il copione. Devo ammettere che, anche se si tratta di una produzione storica, anche se fantastica, il copione può essere molto brutto allo stesso tempo. Penso che se lavori su un buon copione ti emozioni con i personaggi, e questo ti porta ad intraprendere il viaggio. Se il copione non é molto buono, diventa semplicemente un esercizio di vestizione delle persone con costumi d’epoca. Quello che mi piace é il dettaglio, il personaggio, il ricercare le piccole cose, non deve essere bello tra le tue mani, ma una volta indossato, perché trasforma un personaggio. E questi personaggi vengono dal copione.
Come svolgi le ricerche per una produzione storica?
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É interessante che su questo tavolo ci sia un libro di Edward Hopper, quando insegno nelle scuole d’arte chiedo a tutti gli studenti di scegliere un punto di partenza tra i lavori degli artisti e spesso scelgono Edward Hopper.
Inizio dai riferimenti, un dipinto o un pittore dell’epoca, guardo i dipinti, i colori, la grana del dipinto. C’é un altro pittore italiano, [Giovanni] Boldini, che é uno dei miei preferiti e che uso spesso come riferimento quando si parla dei colori e delle trame dei suoi dipinti. Cerco qualcosa che sia rilevante per la produzione, é il mio punto di partenza: poi posso non usarlo tutto il tempo, mi capita anche di andare oltre e di cercare altre cose che ritengo più rilevanti. A volte, lavorando su un costume singolo, mi capita di iniziare dai bottoni, da un intreccio, o simili.
Vai anche nei musei o alle mostre d’arte per cercare ispirazione?
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Vado a tutte le mostre perché poi compro i cataloghi, sono dei riferimenti fantastici. Molti pittori sono citati in almeno 40 libri diversi ma quando vai a una mostra tutti i dipinti, o almeno i più importanti, sono racchiusi in un unico posto. Sono stato in Belgio a vedere una mostra di Hans Memling e ho preso il catalogo così da usarlo come riferimento in futuro. Lo faccio il più possibile. Vado spesso nei negozi di seconda mano per comprare libri d’arte. Questo é il mio punto di partenza, se sono a casa posso sedermi, sfogliare i diversi libri e trovare un’immagine o qualcosa che possa tornarmi utile come punto di inizio per il lavoro.
“Penso che se lavori su un buon copione ti emozioni con i personaggi, e questo ti porta ad intraprendere il viaggio”.
Ti sei fatto ispirare da alcuni dipinti per il tuo lavoro sul vestito dell’Incoronazione di Vittoria nella serie “Victoria”, di cui eri il costume designer per i primi tre episodi?
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La cappa dell’incoronazione originale esiste ancora e la si può vedere al Museum of London, dove ci sono anche i riferimenti per le altre cappe e per tutto ciò che ha indossato. L’ho copiata il più possibile, ma se avessi voluto riprodurre tutti i ricami della cappa mi sarebbe costato 20.000 sterline e i budget non sono mai così alti. Così mi sono affidato a un fotografo che ha stampato con il laser i decori sul tessuto.
Poi ho trovato un’altra persona che, con un macchinario, é andato sopra il lavoro del laser per renderlo in 3D, così una volta ripresa sembrava davvero decorata a mano, ma in realtà é fatta nel modo più economico possibile. Un mio amico sta lavorando nella produzione di “The Crown” e una parte della storia riguarda l’incoronazione del Principe Carlo quando viene nominato Principe di Wales, e la riproduzione della cappa é costata loro circa 15.000 sterline. Ma hanno dei budget diversi, più alti rispetto alla media.
É facile copiare le cose quando hai molti soldi, ma quando non ce ne sono devi capire quando farti da parte e quando è utile spenderli o meno. É la difficoltà maggiore credo, pensare a dove investire i soldi. Mi tenta spendere più soldi per la produzione a cui sto lavorando ora, ma so che nell’ultimo episodio alcune persone moriranno, e che quindi mi serviranno 5 o 6 costumi extra. Quindi penso che non posso spendere quei soldi, perché mi servono: poi magari cambiano il finale in corso d’opera, nessuno viene ucciso e così rimarrei con dei soldi che avrei potuto spendere. Non voglio dover restituire soldi alle persone, perché poi ti considerano un taccagno.
A volte sul set capitano anche degli imprevisti: ho letto che su quello di “Tess dei d’Urberville” c’é stato un incendio che ha distrutto tutti i costumi d’epoca. Puoi raccontarci cos’é successo?
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Mi trovavo in un B&B quando il telefono ha iniziato a squillare alle 2 del mattino e il location manager mi ha lasciato un messaggio dicendo: “Ciao, ho pensato di farti sapere che il tuo camion con gli abiti di scena è in fiamme, è bruciato tutto e non é rimasto nulla, non so cosa fare, ho pensato fosse meglio che lo sapessi”. Non ho risposto al telefono perché stavo pensando a chi mai potesse chiamarmi a tale ore. Mi sono steso a letto e ho pensato: “É meglio che lo richiami.” E gli ho detto: “Stai scherzando? Perché se stai scherzando non é divertente, devo alzarmi tra tre ore”. E mi rispose: “No, dico sul serio. Non sapevo come dirtelo perché non mi era mai capitato prima”. Mi sono vestito, sono corso sul posto dove il camion dei costumi era andato a fuoco. Avevo una collezione di gioielli d’epoca che avevo accumulato per 45 anni: ogni cosa, dal valore di circa un centinaio di migliaia di sterline, i miei oggetti, e soprattutto tutti i costumi con cui avevamo già girato alcune scene in una location e che ci sarebbero serviti nuovamente da un’altra parte la settimana successiva… Quei costumi erano distrutti, e alcuni di loro erano abiti vittoriani originali.
Nel frattempo, sono saltato in macchina, ha guidato fino a Londra, che era a 150 miglia di distanza dal set e ho trovato un altro assistente, che è andato da tutti i fornitori di tessuto per chiederne di più e poi dai commercianti a chiedere loro di fare le cose il più rapidamente possibile. In quei giorni avremmo dovuto usare delle Polaroid dei costumi per continuare le riprese, ma erano andate a fuoco. Ho cercato di ricordarmi il più possibile o di chiedere all’editor di mostrarmi dei filmati, per copiarli. Ho dovuto continuare a recuperare abiti fino alla fine delle riprese. E non potevamo interrompere la produzione perché la protagonista, Gemma Arterton, doveva iniziare le riprese del film ”Prince of Persia: le sabbie del tempo”: dovevamo finire con lei il venerdì perché iniziava le riprese il lunedì successivo, non potevamo bloccare le riprese per due settimane e poi riprendere, dovevamo continuare a girare.
Quando lo guardo, penso che si riescano a vedere gli aggiustamenti, dove ho barato, ma a volte ho dovuto utilizzare delle soluzioni che normalmente non utilizzo perché era tutto quello che potevo trovare al momento. Soluzioni a cui generalmente non penso mai. Dieci anni dopo sono più triste perché ho perso un sacco di gioielli davvero interessanti. Continuo a pensare, quando sto lavorando a una produzione d’epoca: “Oh, ho questo… Oh no, non più” e cose del genere. Oppure dico a uno dei miei assistenti: “In una delle mie scatole di gioielli c’é questo ferma cravatta”, poi però tornano da me dicendo: “Sono davvero dispiaciuto, non riesco a trovarlo” e allora rispondo: “É vero, non c’è più…”. Tutt’oggi cerco dei gioielli che penso di avere. Sì, è stato un periodo molto difficile, ma sono riuscito a cavarmela.
“É stato un periodo molto difficile, ma sono riuscito a cavarmela”.
C’é stato invece un momento sul set particolarmente bello o emozionante?
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Penso non sia legato ai costumi; riguarda il guardare qualcuno e sapere che viene dal cuore. C’è un’attrice, Julie Walters, è molto famosa qui, che conosco da anni perché ho lavorato con con lei per tanto tempo. Con lei ho lavorato a “Il rubino di fumo”: stavamo ridendo e scherzando su alcune riprese fatte in precedenza e le ho detto: “Ti ricordi quando abbiamo fatto questo e quello” e lei ha detto “Oh mio Dio sì, é stato da pazzi!”. Poi l’hanno chiamata sul set e [schiocca le dita] é cambiata, ha girato la scena, è stato fantastico. Ti saresti seduto a guardarla e a pensare “Accidenti”. Conoscevo il copione, l’ho letto un centinaio di volte e ancora oggi mi fa piangere perché è fantastica. Un minuto prima stava ridendo e scherzando per poi concentrarsi su quello che doveva fare, alcuni attori invece devono concentrarsi su ciò che stanno facendo tutto il giorno. Gli altri attori sono diversi, ma guardandola di volta in volta, e osservando il suo modo di fare, pensi: “Non c’è da meravigliarsi che le persone ti amano perché sei bravissima, ma lo fanno anche perché sei molto simpatica”.
“Riguarda il guardare qualcuno e sapere che viene dal cuore”.
Parliamo dei tuoi lavori contemporanei: cosa ti ha fatto dire di sì a “Luther”?
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Quando ho ricevuto il copione del primo episodio ho pensato: “Mmm, un altro poliziesco… Chi é il protagonista?… Oh, quel tizio di nome Idris Elba”. Non ero molto interessato, ma quando sono andato a conoscerlo ho detto loro: “Se lo farò, dovrà essere diverso. Voglio divertirmi e avere un una buona ragione per fare le cose in modo realistico, ma diverso”. E loro mi hanno detto: “É quello che anche noi vogliamo che tu faccia”.
C’è un fotografo ucraino chiamato Borys Mykhailov che realizza fotografie fantastiche, ma allo stesso tempo angoscianti, in Ucraina e in Russia, e il suo uso del colore e del soggetto è stato il mio punto di partenza. Poi però ho conosciuto Idris Elba e ho pensato: “Oh, sei troppo bello. Hai un fisico fantastico, non so cosa fare con te”. Perché se lo metti in un completo assomiglia a James Bond, ironicamente, oppure a un modello maschile, perché é molto ben proporzionato.
Anche se il completo gli stava benissimo, sentivo che non andava bene, perché il personaggio è quasi sempre sul limite, lo vediamo sul bordo degli edifici, è sempre sul limite. Pensavo che dovessimo dargli qualcosa che gli sarebbe andato bene in quanto poliziotto, anche se non è il tipico poliziotto. Ecco come abbiamo ottenuto il look. Anche se pensi che stia indossando un completo o qualcosa di elegante non é così in realtà, perché indossa un paio di jeans e una giacca proveniente da un altro negozio e un cappotto che viene da un negozio ancora diverso. Ma è diventato il look alla Luther e da allora rimaniamo ancorati a quello.
“Anche se il completo gli stava benissimo, sentivo che non andava bene, perché il personaggio è quasi sempre sul limite”.
Questa è stata la ragione, altrimenti io odio davvero fare produzioni moderne, perché se vesto qualcuno con quel che penso stargli bene, non è necessariamente quello che gli piace indossare o con cui si sente a proprio agio, e per questo poi magari va a chiedere a qualcun altro un parere, che é quasi sempre diverso. Quando si fanno produzioni moderne devi scendere a compromessi con i produttori, i registi, gli attori, il bilancio e te stesso. È piuttosto stressante.
Hai lavorato con Idris Elba anche per “Yardie”. Come è nei panni del regista e come hai lavorato allo styling?
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Perché lo conosco, non c’è alcuna paura, per me è solo Idris Elba, non è una grande star del cinema o un regista famoso, lo conosco da tanti anni. È facile andare da lui e parlare di un personaggio e del suo look. Mi piace molto lavorare con lui. Penso che l’anno prossimo si parlerà di fare un film di “Luther”, ma credo che la prossima volta che sarà disponibile sarà agosto, quindi non succederà fino a fine anno.
Penso che la serie “Luther” sia una delle migliori, il copione è molto criptico e pauroso, ma in modo diverso.
Qual é il tuo periodo storico preferito?
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Il mio periodo preferito sono i primi anni cinquanta, non ho mai fatto nulla ambientato all’inizio del 1950. Perché è dopo la guerra, c’era austerità, ma all’improvviso compare Dior con il suo new look, è stato pazzesco. Poi si arriva ai primi anni ’50 che sono invece il contrario: abiti fatti su misura e stretti, mi piace quella forma, mi piace quel tipo di look e amo i vestiti da uomo, in particolare quelli di Hollywood. Amo tutti i tessuti e le texture, ne sono dipendente. C’è un canale televisivo qui in Inghilterra che propone solo vecchi film, e mi sveglio alle 4 del mattino se sono a casa, e se non devo lavorare, a guardare vecchi film. Ho visto un film con Laurence Olivier, “Rebecca“, è stato fantastico. L’ho visto alle 04:00 con il mio cane sulle mie ginocchia fino alla fine, in attesa che il sole sorgesse, perché è buio in Scozia al momento. Sono dipendente dai vecchi film in bianco e nero, dove non si sa quali siano i colori usati ma che comunque hanno saputo sfruttare le texture, le forme e i dettagli. Questo è quello che ho notato, il che é fantastico.
“Sono dipendente dai vecchi film in bianco e nero, dove non si sa quali siano i colori usati ma che comunque hanno saputo sfruttare le texture, le forme e i dettagli”.
Hai un film storico preferito?
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“A qualcuno piace caldo.” In questo film i costumi sono fantastici, Marilyn Monroe non assomiglia alle donne di quel periodo, non sembra “appropriata”, ma é comunque fantastica. Come puoi non esserne affascinato? In questo casi si parla di costume designing piuttosto che di clothes designing, che é diverso.
Qual é il tuo must have quando lavori a un costume?
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Penso sia il tessuto. Mi emoziono con il tessuto o con le decorazioni. Se trovo un bell’intreccio o un ricamo, non riesco a riposarmi un secondo e continuo a cercare finché non trovo qualcosa altro che mi faccia sentire allo stesso modo. Il tessuto é la cosa più importante per me, ho fatto un corso di taglio e cucito alla scuola d’arte, ero solito cucire e stampare i tessuti, so anche dipingerli, il che mi é tornato utile per “Tess dei d’Urberville”. Ma se sono in un negozio tocco tutto, il colore, le texture e i tessuti. E so di essere stato seguito da degli agenti di sicurezza che pensavano stessi rubando, ma lo faccio in automatico. Non lo so, è solo qualcosa che mi piace.
Ho tutta una collezione di tessuti d’epoca e moderni che riempiono forse dieci casse di scaffali e armadi in casa mia, la gente viene a stare da me e dice: “Non c’è spazio nel mio armadio per mettere i miei vestiti, neppure nel guardaroba”, perché è tutto pieno di tessuti.
Cosa c’é nel tuo futuro?
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Il mio prossimo progetto è una serie chiamata “Belgravia“, è scritto da Julian Fellowes che ha scritto “Downton Abbey”. Ha scritto un libro e la sceneggiatura: il primo episodio inizia nel 1815, poi la storia salta in avanti fino al 1841. Ci sono 6 episodi, finiremo le riprese in luglio, probabilmente uscirà il prossimo autunno. Io in realtà non inizio fino a febbraio, quando finirò quello che sto facendo ora, quindi non credo che ci sia alcun cast al momento. Non vedo l’ora. So che con questa produzione si vedranno esattamente i dettagli di quel periodo, perché è così che scrive Julian Fellowes: gli piace parlare dell’etichetta e dei dettagli.
L’altra cosa è che sento di non aver imparato abbastanza sul mio lavoro, anche se ho 950 anni, sto ancora imparando. C’è così tanto da sapere, e così tanto da imparare dalle persone, impari a farlo bene o a farlo male. Così, quando sarò grande, diventerò un costume designer.
“Così, quando sarò grande, diventerò un costume designer”.
Photos by Johnny Carrano.
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