Presentato nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia, “The Featherweight” di Robert Kolodny ci porta nel mondo del leggendario pugile Willie Pep e della sua devota moglie. Questa storia ci fa immergere nelle vite delle due icone degli anni ’40/’50, portando alla luce la forza dell’amore e della determinazione in un mondo di lotte e vittorie.
Abbiamo incontrato James Madio, che incarna la figura di Willie Pep, e Ruby Wolf, che interpreta sua moglie Linda, e discusso delle loro eccezionali abilità di recitazione e del duro lavoro che ha richiesto portare questa straordinaria storia sul grande schermo.
La boxe professionistica necessita di un’intensa attività fisica. Come ti sei preparato per il ruolo di Willie Pep, sia dal punto di vista fisico che emotivo, per catturare l’essenza del suo personaggio come pugile?
A volte è stato difficile, ma era un film indipendente, quindi ho avuto un certo supporto. Potevo allenarmi solo su ciò che potevo fare, su ciò che potevo controllare, ovvero salto con la corda, il sacco veloce, la corsa. Ero solito allenarmi presto al mattino, facevo due sessioni al giorno, ho lavorato con un pugile nel Connecticut, con uno a Los Angeles, ma come ho detto molte volte, Willie Pep era molto speciale. Il suo movimento di piedi sul ring era molto speciale e unico, ed era ciò che lo rendeva eccezionale. Quindi è stato difficile emularlo, ma abbiamo guardato molti filmati, interviste con lui. Non ho avuto problemi significativi con la parte fisica perché sono sempre stato in una forma decente; era la velocità ed agilità del movimento dei piedi che volevo assicurarmi di mostrare sullo schermo, perché gli appassionati di boxe o chiunque conosca lo sport capisce se stai fingendo.
“Il suo movimento di piedi sul ring era molto speciale e unico, ed era ciò che lo rendeva eccezionale”.
E tu, Ruby? Come ti sei preparata per interpretare la moglie di Willie Pep? Su quali aspetti della sua vita ti sei concentrata?
Penso che il mio compito fosse molto diverso da quello di James, dato che lui aveva molto materiale storico da cui attingere. Avevamo tutti questi dettagli sulla sua vita, mentre Linda come persona effettiva è un po’ una combinazione delle diverse mogli di Willie, ma non sappiamo esattamente cosa ne sia stato di lei e dove sia finita. Ma sappiamo che è apparsa in quel programma televisivo, e ho potuto guardare gli episodi. A parte questo, mi è stata concessa molta libertà per esplorare il personaggio al di fuori dei confini dell’accuratezza storica. È stato molto liberatorio. La mia famiglia è originariamente di Hartford, Connecticut, la città di Willie, e mia madre è cresciuta lì negli anni ’60, aveva la cittadinanza italo-americana, quindi è cresciuta in quella comunità, quindi ho avuto modo di parlare con lei della sua esperienza. Ho tratto ispirazione dalle storie di sua zia che ha sposato un uomo italo-americano a Hartford negli anni ’60, e in effetti, alcune di quelle improvvisazioni sono finite nel film. Molte delle esercitazioni che Robert [Kolodny] ci ha fatto fare coinvolgevano conversazioni con la mia famiglia, quindi è stato davvero un colpo di fortuna che ha influito sulle circostanze di costruzione del retroscena del mio personaggio.
Quindi, hai avuto accesso a molto materiale d’archivio e filmati…
Sì! Sai, la mia formazione è principalmente teatrale, quindi sono sempre stata interessata al lavoro drammaturgico e alla comprensione di come, del perché e del quando del luogo e il tempo in cui si svolge la storia, quindi ho fatto cose da “nerd”. Per una delle scene in cui parliamo di ristoranti, ho cercato quali ristoranti sarebbero stati aperti a New York City all’epoca perché volevo sapere e avere una base solida e la verità del momento. Ma questo era per me, e meno per la storia, ma come attori, quell’ancoraggio storico è molto utile quando recitiamo.
“Mi è stata concessa molta libertà per esplorare il personaggio al di fuori dei confini dell’accuratezza storica”.
Ci sono stati momenti significativi o aneddoti nella tua ricerca o negli incontri con persone che conoscevano Willie personalmente?
J: Assolutamente. Molte persone dicono che Willie era molto estroverso, la comunità lo adorava, era amichevole. Ma quando arrivi al nocciolo della questione e parli con qualcuno che lo conosceva profondamente, ci sono alcune storie e cose che Willie faceva che ti fanno capire chi fosse come uomo, magari non il più grande uomo, ma sicuramente un uomo con una grande personalità. Ad un certo punto ho incontrato una persona che ha detto: “Se a Willie stavi simpatico, lo capivi dalla stretta di mano”, e io ho chiesto: “In che senso?” E lui ha detto, “Lascia che ti mostri”, ed ha teso la mano, dicendo, “se ti dava una stretta di mano in questo modo, dritta, gli piacevi. Ma se ti girava la mano, decisamente non era un tuo fan”. E queste piccole cose cerchi di incorporarle nel film. Forse non tutti le noteranno nel film, ma quell’attenzione ai dettagli per noi è esattamente ciò che cerchiamo come artisti, come attori. Era anche molto meticoloso nei suoi abiti e nei suoi gioielli, ma sì, queste sono alcune delle cose che apprendi dalle persone del posto. Lo adorano, sono stati molto disponibili durante le riprese, insieme a tutta la città di Hartford.
E tu, Ruby, hai qualcosa che vuoi condividere?
R: Non ho nulla da aggiungere agli aneddoti di Willie Pep, perché non era così centrale per il mio personaggio. La mia comprensione di Willie Pep come Linda era ciò che James portava sul set ogni sera.
J: E Willie faceva così tante citazioni sorprendenti: era come lo Yogi Berra della boxe a quel tempo. Li chiamavano i “Peppismi”, e diceva queste massime fantastiche, e penso che sia questo che lo ha reso una figura così iconica nella vita. Non era solo un campione straordinario dentro il ring, tutti sappiamo che aveva difetti fuori dal ring, ma penso che la sua personalità fosse così grande e sapeva come occupare la stanza molto bene. Ed è stato impegnativo a volte, perché camminavi per Hartford e con le persone che lo avevano effettivamente conosciuto, volevi assicurarti che “lui” camminasse con quel mistero per far sì che le persone dicessero “quello è Willie”. Volevi essere orgoglioso di ogni sorta di movimento e sapere che questa città ti sta rappresentando, quindi il peso sulle spalle è notevole quando si gira in questa città. Ero preoccupato per questo. Ho detto a Steve [Loff], il nostro sceneggiatore e produttore: “Non sono così sicuro di voler girare a Hartford, perché per quanto voglia supportare la storia e la sua veridicità, ho paura”. Sentivo molta responsabilità.
Sentivi il peso sulle tue spalle.
J: Molte responsabilità, perché anche se camminavo per le strade solo per mangiare una fetta di pizza, cercavo di essere Willie. Ma è stata la cosa migliore che abbiamo mai fatto, siamo stati accolti a braccia aperte.
“…ci sono alcune storie e cose che Willie faceva che ti fanno capire chi fosse come uomo, magari non il più grande uomo, ma sicuramente un uomo con una grande personalità”.
C’è qualcosa di nuovo su voi stessi che avete imparato da questa esperienza? Perché immagino che, essendo attori, interpretate personaggi diversi tutto il tempo, e dovete scoprire nuove cose su voi stessi, quindi c’è qualcosa in particolare?
R: Sì, questo è stato il mio primo film: ho imparato moltissimo, praticamente dall’inizio alla fine è stato un continuo apprendimento. Arrivando dal teatro, e alla mia prima esperienza sullo schermo, il mio personaggio, Linda, una giovane attrice in cerca di un’opportunità per emergere…
Ti sei riuscita a identificare…
R: Esatto, è stato molto importante per Rob, penso, per ottenere l’autenticità di Linda, avere un’attrice in grado di identificarsi così a fondo con l’esperienza di Linda. E così, Rob ha fatto sicuramente una grande scommessa nello scegliermi.
Quello con cui mi sono divertita di più e ciò che mi ha sorpreso di più me stessa come interprete è stato scoprire la mia capacità di improvvisare e quanto questo mi piaccia: prima di fare questo progetto, se qualcuno mi avesse chiesto, “pendi di essere brava ad improvvisare?” avrei detto “potrei provarci”, ma non avrei mai pensato a me stessa come un’improvvisatrice. E ciò che è stato così entusiasmante nel modo in cui Rob ha lavorato su questo, nello stile del cinéma vérité in cui stavamo lavorando, è stato che a volte cominciava a girare cinque, dieci minuti prima che iniziasse una scena. E lui, nel ruolo di intervistatore, si sedeva e cominciava a fare domande su come ci siamo conosciuti con Willie, ecc. e ciò che dicevo non era necessariamente pianificato, pensavo in modo astratto e ho scoperto che, attraverso la ricerca che avevo fatto, sul tempo e il luogo storico, e anche attraverso gli aneddoti che avevo raccolto dall’esperienza di mia madre in quel periodo e in quel luogo, mi venivano fuori cose dalla bocca, e “non sapevo da dove venissero”. E credevo che sarebbero tagliate in montaggio, ma molte sono finite nel film, e penso che abbia davvero rafforzato la mia fiducia e la mia capacità di vivere in un personaggio, e di sentirmi capace di conoscere il mio personaggio a tal punto da poter parlare per dieci minuti come Linda, e sentirmi vera, onesta e vissuta, anche se con niente pianificato a priori: l’ho detto io ed è finito nel film, quindi ora è canonico per chi è lei, giusto?
La scena di cui sono più orgogliosa nel film è, in realtà, una cosa molto piccola: sto apparecchiando la tavola, ed era una scena inserita, doveva essere solo una ripresa di me che apparecchiavo la tavola, senza audio, e Rob voleva registrare l’audio, e ho pensato, va bene, mi farà delle domande. Mi ha chiesto se cucinavo la cena, e ho iniziato a raccontare un aneddoto – era una storia vera sulla mia prozia – su come Willie voleva che andassi a vivere dai suoi genitori mentre imparavo a cucinare come cucinava lui. E dopo il fatto, Rob si è fermato e ha detto: “l’hai scritto tu?” E io ho detto: “no, no, è una storia vera”. E immaginavo che neanche questa parte finisse nel cut finale. È stato così bello ed emozionante poter avere un regista che mi ha dato così tanto spazio per esplorare, giocare e attingere dall’esperienza vissuta e dall’esperienza delle persone che conosco e dalla ricerca che avevo fatto, perché non avrei mai pensato di poterlo fare. Quindi, è stato molto entusiasmante.
“…è stato il mio primo film: ho imparato moltissimo, praticamente dall’inizio alla fine è stato un continuo apprendimento”.
J: Quello che ho imparato di più è probabilmente la pazienza, la comprensione e la determinazione. Ci è voluto molto tempo per realizzare questo film, e si possono immaginare tutte le personalità coinvolte e le persone incontrate durante la pre-produzione dal lato del produttore; stavo facendo molte cose diverse in quel momento: cercavo di produrre, ero attore, aiutavo nella selezione del cast, quindi sono stato molto confuso fino a quando siamo arrivati al momento delle riprese e ho tolto tutti i “cappelli” che mi ero messo in testa e ho iniziato a recitare, poi mi sono trasformato nel modo migliore possibile in Willie. Ma il rispetto per il nostro cast e la nostra troupe e per quanto riguarda me stesso come attore e artista, ero preparato a interpretare Willie.
Avevo paura? Assolutamente, voglio dire, un attore non può lavorare senza alcune paure. È uno strumento che devi usare. È una competenza che abbiamo: se non avessimo quelle paure, non saremmo normali. Quindi, avevo paura dell’esito? Avevo paura a volte sul set e temevo di essere nervoso? Assolutamente. Ma la determinazione e la pazienza che posso avere sono ciò che ho imparato di più su di me con questo progetto specifico.
Photos by Luca Ortolani