Se mi chiedessero chi c’è nella mia “lista” di attori che ammiro e di cui seguo i passi da molto tempo, ci sarebbe di certo Keir Gilchrist. Un attore che si è fatto strada nel mondo del cinema indipendente con delle interpretazioni che hanno sempre lasciato il segno e che poi si è presentato nel mondo dello streaming e Netflix con una serie (“Atypical”) in cui interpreta un ragazzo autistico e che, come poche altre, parla di autismo, salute mentale, sessualità, famiglia. È diventata nel tempo una serie che educa, che fa capire anche a chi crede di sapere già molto sull’argomento e che, in molti casi, ha creato apertura e discussione.
Ma non solo. Keir non si ferma ed è cantante della band grindcore “Whelm” e di quella death metal “Phalanx”, scrive la sua musica, ha appena finito di produrre un cortometraggio e, nella sua mente, c’è il progetto di dirigere un film, quando ne avrà il tempo.
Da pochi giorni è anche uscito il suo nuovo film indipendente “Castle in The Ground”, che si potrà vedere in streaming, e in cui interpreta uno spacciatore durante la crisi degli oppioidi e ci ha raccontato tutte le difficoltà del riprendersi da scene molto intense e come ha affrontato in generale il suo ruolo.
Abbiamo incontrato Keir a Los Angeles dove gli abbiamo chiesto tutto quello che potevamo sul suo Sam di “Atypical” e sul suo nuovo film “Castle in The Ground”, senza dimenticarci della sua musica e del consiglio che darebbe a degli alieni appena arrivati sulla Terra e che non hanno mai ascoltato musica prima. Insomma, abbiamo avuto davanti a noi un ragazzo che si sta facendo strada con un’idea ben precisa, senza dimenticare un pizzico di hardcore.
Cosa ti fa dire di sì ad un progetto?
Sono molto selettivo quando si tratta di scegliere, e se mi vogliono, allora è tutto abbastanza semplice, perché si tratta di qualcosa che ho già deciso di voler fare, quindi è per questo che non mi metto mai in gioco se non sono sicuro.
A volte gli agenti – non il mio, ma alcuni agenti – ti dicono, “Dai buttati comunque, e poi decidi”, ma secondo me è una perdita di tempo. Per me, sta tutto nel sapere in anticipo quello che voglio.
“Atypical” è stata rinnovata per una quarta stagione, e ovviamente sappiamo che non puoi svelarci niente, ma quali aspetti ti piacerebbe venissero esplorati nella nuova stagione?
Per quanto riguarda la quarta stagione di “Atypical” ancora siamo lontani dal sapere qualcosa ma sono curioso di vedere come la situazione tra Sam e Zahid come compagni di stanza si svilupperà e cosa succederà. Adoro la dinamica tra di loro e credo che anche al pubblico piaccia, quindi vederli ancor di più insieme sarebbe grandioso.
“Atypical” ci è piaciuto tantissimo, e tu sei stato bravissimo! È una serie stupenda, ma è anche un modo importante per parlare di salute mentale. Quanto ritieni sia importante parlarne e come credi che la serie stia contribuendo alla discussione?
È importantissimo e credo che, per troppo tempo, purtroppo, io stesso abbia considerato l’argomento una sorta di tabù. Crescendo, mi sono decisamente sbloccato, ma all’inizio rimaneva qualcosa di cui non si parlava mai apertamente tra amici. La cosa bella della televisione, dei film, della musica, è che riescano ad afferrare questo tipo di discorso e farlo uscire allo scoperto. C’è una cosa che mi sento spesso dire, le persone vengono da me e mi dicono, “Oh, pensavo di aver capito l’autismo di mio figlio o nipote” o chiunque sia il membro della loro famiglia che ne soffre, e poi mi dicono che dopo aver guardato la serie hanno imparato a comprenderlo in maniera ancora più profonda e si sono sentiti incoraggiati a fare più ricerche per cercare di capire davvero le persone che li circondavano.
“La cosa bella della televisione, dei film, della musica, è che riescano ad afferrare questo tipo di discorso e farlo uscire allo scoperto”.
In “Atypical” vengono affrontati argomenti molto importanti, come gli anni dell’adolescenza, i problemi di famiglia, l’autismo, ovviamente, l’amore; la serie riesce a trovare l’equilibrio perfetto per parlare di tutto senza mai superare i limiti. Pensi sia dovuto all’approccio comico con cui i vari temi vengono trattati?
Sì, secondo me c’era un solo modo in cui la serie si sarebbe potuta realizzare, ovvero con un approccio puramente drammatico, e ce ne sono di drammi in ogni puntata, ma la commedia, in un certo senso, rende tutto molto più realistico, perché io sono dell’idea che la vita in sé sia una sorta di tragicommedia. Per esempio, molte persone che hanno un familiare autistico te ne parleranno come di una persona divertentissima con cui hanno vissuto tra i momenti più divertenti di sempre, oltre ad alcuni tra i più difficili e tristi, perché sei costantemente preoccupato per quella persona, per il fatto che non viene accettata dalla gente. Io conosco delle persone autistiche e sono quelle che mi fanno ridere più di chiunque altro, quindi penso che la serie sia davvero onesta e che il lato comico di Sam aggiunga un ulteriore strato di realismo al tutto.
La serie è anche fresca, perché non è, come hai detto tu, solo dramma, ma dramma mescolato a commedia, e fa riflettere molto su temi importanti senza che lo spettatore nemmeno se ne accorga.
Pensi che interpretare Sam abbia cambiato qualcosa nella tua vita quotidiana o nella tua visione del mondo?
Sì, credo che parte di ciò che regia e produzione hanno apprezzato della mia interpretazione di Sam quando ho fatto l’audizione sia stato, almeno stando a quanto mi hanno detto, il fatto che la mia performance fosse stata diversa, più sfaccettata, dimostrando che avevo una certa familiarità con l’argomento, ma ero avvantaggiato in effetti, perché ho esperienze personali con persone autistiche, ne conosco molte. Sono entrato nella stanza pensando, “Okay, io Sam lo capisco”, ma nel corso dell’audizione, man mano che approfondivamo, mi sono reso conto che probabilmente avevo ancora molto da imparare, che non è mai troppo tardi per imparare cose nuove.
Sam è praticamente parte di me, a questo punto, è come se fosse diventato uno dei miei migliori amici, anche se è solo nella mia testa.
“…man mano che approfondivamo, mi sono reso conto che probabilmente avevo ancora molto da imparare”.
Succede di rado che Sam guardi gli adulti negli occhi: hai avuto difficoltà nel recitare così?
Sì. Ho dovuto fare il contrario di quello che fanno la maggior parte degli attori, e credo che uno dei miei punti forti, se penso alle mie esperienze passate di recitazione, stando a quanto mi hanno detto i registi, sia che sono un ottimo ascoltatore e mi sento molto presente a me stesso quando sono davanti alla telecamera. Penso sia molto importante, quando aiuto altre persone con la recitazione, che io le ascolti davvero, anche se è la centesima volta che mi ripetono la stessa battuta; non bisogna pensare alla propria prossima battuta, bisogna interagire davvero con gli altri, ma per Sam è stato diverso, per lui è normale non guardare le persone negli occhi, non ha bisogno di leggere le loro espressioni, per lui è più importante sentire quello che dicono, e prende tutto estremamente alla lettera. All’inizio è stato impegnativo, e penso che i momenti e le scene in cui Sam abbia dovuto fare uno sforzo consapevole per guardare qualcuno negli occhi, perché è un comportamento acquisito, non naturale, siano stati una sfida senza pari per il personaggio, senza dubbio.
Qual è il genere di film in cui preferisci recitare e quello che preferisci guardare?
Il genere in cui preferisco recitare… Mi piacciono un po’ tutti! Spero di riuscire a recitare in tutti i generi di film, andando avanti con la mia carriera. Mi piace molto fare commedie, ma anche horror, e i film molto drammatici. Da guardare, direi che mi piacciono le cose un po’ dark: le dark comedy o le grandi storie tragiche. Sia per i film che per la musica, mi piacciono “cose pesanti”.
Hai detto una volta che ti piacerebbe recitare in un film in costume. Hai in mente un personaggio in particolare che vorresti interpretare?
Qualunque ruolo in un western. Ho sempre voluto recitare in un western, oppure anche un film di guerra sarebbe un’esperienza interessante, qualunque genere rappresenti un mondo completamente diverso, un’epoca diversa, che siano, appunto, difficili, intensi.
“Ho sempre voluto recitare in un western”.
Sei anche un musicista. Hai mai pensato di interpretare un famoso personaggio musicale?
Non lo so, forse, è una possibilità interessante. Se dovessi avere per le mani la storia giusta, raccontata nel modo giusto, anche se i biopic musicali spesso non riescono a centrare il punto, succede di rado che ne sia impressionato; spesso finiscono per essere una caricatura, quindi, per quanto mi riguarda, dipenderebbe dalle persone coinvolte nel progetto, ma è una possibilità a cui non avevo mai pensato, onestamente, quindi non so, magari un giorno.
Qual è il miglior concerto a cui tu abbia mai assistito e qual è la migliore band di sempre?
La scelta è dura, perché ho iniziato ad andare ai concerti con i miei genitori a 10 anni, quindi ce ne sono un bel po’ che mi sono rimasti nel cuore e mi hanno segnato. Direi che il mio preferito, tra gli ultimi a cui sono andato, in questi anni, è stato quello di Orville Pack, adoro il suo ultimo album “Pony” e vederlo dal vivo a Los Angeles è stato pazzesco, mi ha fatto sentire così bene e la sensazione è durata per diverse settimane dopo il concerto. È un performer eccellente e ha fatto un grande album in generale, e dal vivo è ancora meglio, il che non capita spesso, perché a volte uno ha un album grandioso, ma poi lo ascolti live e pensi, “Dal vivo è bello, ma non grandioso!”.
La mia band preferita di sempre, tra le band con cui sono cresciuto, direi che potrebbero essere i Minor Threat, se penso alla mia adolescenza, ma preferita di tutti i tempi… È davvero dura sceglierne una, ma sapete cosa, ci provo, dico gli Alkaline Trio, una band poco conosciuta, ma è tra le mie preferite in assoluto, non particolarmente hardcore, ma grande band.
“Dico gli Alkaline Trio, una band poco conosciuta, ma è tra le mie preferite in assoluto”.
Sei tu a scrivere la tua musica, ma hai mai pensato di scrivere, dirigere, o produrre qualcosa per il grande o per il piccolo schermo?
Crescendo, sognavo di fare il regista, e ogni volta che ero sul set cercavo di imparare il più possibile, mi mettevo a guardare e tartassavo di domande i registi con cui lavoravo, il che li innervosiva a volte, immagino, ma io cercavo sempre di giustificarmi, dicendo, “No, sono solo curioso di capire come fai questa cosa”. Ho sempre voluto dirigere, e scrivo ogni tanto, ma non riesco quasi mai a concludere qualcosa. È difficile con tutti gli hobby che ho, a qualcosa devi rinunciare per forza, in pratica mi sento creativamente prosciugato, suono in due band, poi recito, ora mi sto facendo strada nel settore della produzione, sto producendo un cortometraggio, che non ho scritto e non dirigerò, anche se un giorno mi piacerebbe cimentarmi anche in quei settori. Ho qualche idea su cosa farei, quindi, quando la mia agenda sarà un po’ più vuota, io ci sarò.
A proposito di “Castle in the Ground”, cosa ci puoi raccontare?
La trama si concentra sulla crisi degli oppiacei, quando hanno ritirato dal mercato l’ossicodone, quasi dovunque, hanno iniziato a limitare le quantità che somministravano dopo aver praticamente dato il via libera alle persone perché ne diventassero dipendenti, ed è stato allora che il Fentanil ha inondato il mercato, perché la gente in strada aveva bisogno di droghe, e il Fentanil uccideva e uccide ancora molte persone. Il film è ambientato nell’epoca in cui succedeva tutto questo.
Come ti sei preparato per il ruolo?
È una tragedia che parla di persone tra loro diverse, che si ritrovano insieme, coinvolte in questa situazione sfortunata, e io interpreto uno spacciatore. Ho preso spunto da un paio di ragazzini con cui sono cresciuto, non posso fare nomi, ma non ho più contatti con loro. Il lato interessante del mio ruolo, e di questo ho parlato anche con Joey [Klein], il regista, è che è facile interpretare lo spacciatore, il cattivo spacciatore, ma ovviamente, anche i ragazzi finiscono nei casini, cercano di fare i fighi, si mettono nei guai, non vogliono fare del male a nessuno, ma lo fanno, quindi ho cercato di dar vita ad un personaggio che non fosse solo una caricatura, tipo uno spacciatore cattivo.
“Interpreto uno spacciatore, ho preso spunto da un paio di ragazzini con cui sono cresciuto”.
C’è stata una scena di questo film che hai trovato particolarmente difficile da girare?
Sì, in realtà è stato difficile adattarmi un po’ a tutto il calendario delle riprese, perché è un film indipendente: il primo giorno abbiamo girato una scena di 11 pagine che, praticamente, era il momento clou del percorso del mio personaggio, e io ero esausto, anche per il fatto che subito dopo essere arrivato sul set stavo pensando, “Okay, adesso devo cercare di capire a che punto sono”, e invece ho dovuto catapultarmi dritto in questa situazione di vita o di morte, è stata dura.
Come ti “riprendi” dopo una scena intensa come questa?
Il mio modo di riprendermi dal lavoro è tornare a casa e “disattivare” il cervello. Magari ascolto della musica o leggo un libro, devo dare il tempo alla mia testa di riprendersi per il giorno dopo. Quando invece finisco di girare interamente un film o una serie, mi rifugio nella natura. È l’unica cosa che mi aiuta davvero a lasciarmi alle spalle il progetto appena terminato per ritrovare me stesso. Vado nel deserto o in montagna con alcuni amici, la mia compagna e il mio cane e passiamo una settimana in pace e tranquillità. Mentre sono via ignoro completamente il telefono a meno che non si tratti di qualcosa davvero importante o urgente.
“Quando invece finisco di girare interamente un film o una serie, mi rifugio nella natura. È l’unica cosa che mi aiuta davvero a lasciarmi alle spalle il progetto appena terminato per ritrovare me stesso”.
Sempre riguardo “Castle in the ground”, come hai lavorato con il resto del cast sulle vostre interazioni nelle scene?
“Castle in the ground” è stato intenso da girare perché non c’era nessuna scena divertente. Sono tutte scene cariche di tensione. Detto questo, gli altri membri del cast erano così professionali che siamo riusciti a farci una risata ogni tanto ma per la maggior parte del tempo, non eravamo lì per scherzare, eravamo lì per lavorare e raccontare una storia veramente triste. Mi è davvero piaciuto lavorare con attori così talentuosi e ricchi di esperienza e lo rifarei senza pensarci un attimo.
Che tipo di risonanza vorresti che avesse questo film?
Credo di poter parlare a nome di coloro che hanno partecipato al film che l’obiettivo era quello di evidenziare/far luce sulla la crisi degli oppiacei e raccontare la storia di alcune persone che rimangono incastrate in questo mondo. Vorrei che le persone che hanno avuto o che tutt’ora hanno esperienze in questo mondo si relazionassero con la storia mentre quelle che non ne sono a conoscenza prendessero coscienza di quanto sia terribile questa situazione.
Se gli alieni arrivassero sulla Terra e non avessero mai sentito della musica prima, quali tre album gli consiglieresti?
Direi che dovrebbero cominciare dalla musica classica! Sono sempre dell’idea che la musica va ascoltata nell’ordine giusto, quindi magari potrebbero iniziare da Beethoven per poi fare un salto in avanti e andare da Little Richard e poi ancora in avanti ed ascoltare i The Clash.
Fu Roger Miret degli Agnostic Front che disse, una volta, “Non fidarti mai di un hardcore che non ha mai sentito del punk rock” ed è una citazione a cui penso sempre. Credo che cominciare dall’inizio aiuti; mio padre mi ha cresciuto così, con ogni genere di musica.
La tua passione per la musica deriva dalla tua famiglia, giusto?
Sì, mio padre lavorava nel settore discografico e ricordo che da bambino le mura di casa mia erano ricoperte da cd di ogni genere.
“…da bambino le mura di casa mia erano ricoperte da cd di ogni genere”.
Il libro sul tuo comodino?
Sto finendo di leggere “1493. Pomodori, tabacco e batteri. Come Colombo ha creato il mondo in cui viviamo” di Charles C Mann. Mi è piaciuto moltissimo “1491”, e avevo “1493” sul comodino da tanto ma ora che siamo in isolamento ho potuto finalmente buttarmici a capofitto. E per il momento è incredibile tanto quanto il primo, e stranamente è pertinente a ciò che sta accadendo adesso.
Hai mai avuto un epic fail sul set o sul palco?
No! Cioè, niente di tragico, di solito quando lavoro non sono poi così impacciato, a differenza di tutti gli altri momenti della mia vita.
The Film Wall
35mm & Fuji Instax