Momenti di riflessione, tante risate, poi ancora riflessione e poi ancora risate.
È così che è andata l’intervista con Kelvin Harrison Jr. per la nostra Cover di aprile. Un’intervista sincera, senza filtri, sul suo ultimo progetto “Chevalier”, in cui Kelvin interpreta il personaggio che dà il titolo al film, ovvero Joseph Bologne, Chevalier de Saint-Georges, un violinista e compositore franco-caraibico vissuto nel XVIII secolo, le cui grandi opere e conquiste sono state quasi del tutto dimenticate per tre secoli; ora, però, torna sotto i riflettori, prendendosi il riconoscimento che ha sempre meritato.
Tra momenti da rockstar dalla prospettiva della Francia del XVIII secolo – la scena iniziale merita una standing ovation – e il modo in cui Kelvin si è riconosciuto in Joseph, fino ai vari biopic in cui ha recitato e in cui sta per recitare, anche se è forse giunta l’ora di prendersi una pausa da questo filone… finché non cederà ancora una volta, abbiamo conosciuto un attore e una persona che darà tutto sé stesso pur di proteggere la performance e ottenere quella libertà (creativa) che spetterebbe a chiunque.
Ciò che più lo diverte farà ridacchiare anche voi per un po’, ma il cambio di atmosfera sarà giusto dietro l’angolo, con le sue riflessioni sul significato del rispetto e dell’attenzione.
Qual è stata la tua prima reazione dopo aver letto la sceneggiatura di “Chevalier”?
Direi che ne sono rimasto rapito.
Era una storia bellissima con così tante scene epiche, come il duello musicale all’inizio: un’interpretazione super bella di come percepiamo le rockstar e dalla prospettiva della Francia del XVIII secolo. È stato figo, quindi il modo in cui Stefani [Robinson] ha affrontato l’argomento mi ha convinto sin da subito. E poi, basti pensare anche solo alla bellezza delle relazioni e alla saggezza di cui è pervaso il film attraverso il personaggio di Nanon e la storia di Joseph letta come il riuscire a trovare il modo di sentirci davvero visti e sfruttati al massimo delle nostre potenzialità. L’ho trovato incredibilmente potente, così mi sono messo al lavoro.
Ricordi la prima domanda che hai rivolto al regista?
Qualcosa del tipo, “TU perché vuoi fare questo film?” [ride]
Sono sempre curioso di sapere ciò che hanno in mente i registi, perché penso sia bello che decidano di dedicarsi ad una storia, ma io ho la mia versione del perché la storia sia speciale e ci tengo anche a sapere perché lo è per loro, dato che se non è qualcosa di personale, allora forse il film non si dovrebbe fare. Stephen [Williams] mi ha risposto con una frase bellissima che non ricordo più [ride], ma era qualcosa di legato ad alcune sue esperienze personali, alla sua infanzia, al chi è diventato come uomo, come artista, e ricordo di aver pensato che fosse una cosa rassicurante, fare questo viaggio con lui, conoscere quelle informazioni.
Cosa ti ha portato a dire di sì a questo progetto?
Mi sono riconosciuto in Joseph sotto certi aspetti.
C’è stato un momento, nella mia vita, quando ero piccolo, in cui mi ritrovavo in contesti in cui io ero parte di una minoranza la maggior parte delle volte, ed ero sempre sulla difensiva, a volte mi sentivo attaccato, frainteso, mal rappresentato, e ostracizzato per le mie differenze. All’epoca, sentivo di non avere il linguaggio o gli strumenti o abbastanza potere per comunicare in un modo che avrebbe fatto capire alle persone che pensavano di avere potere su di me che quella situazione non mi faceva stare bene. Così, di conseguenza, sono diventato diffidente, un po’ più egocentrico, e un po’ egoista, e questi lati di Joseph capivo bene da dove derivassero, ma capivo anche perché si comportava un po’ da scemo presuntuoso per la maggior parte del film.
Mi sono divertito. Adoro quando un personaggio ti mette in crisi sul se parteggiare per lui o meno, perché in quei casi a volte sono persone un po’ viscide, ma allo stesso tempo, se si riesce ad accogliere la sfida e aggrapparsi al loro lato umano e a guardarli diversamente e pensare, “Adoro i cattivi, mi piace interpretare personaggi malvagi come antagonisti”, magari è il mio lato cinico che parla, ma è proprio quello che cerco. È stata una sfida interessante, e sento di aver fatto un percorso simile a quello di Joseph.
“Adoro quando un personaggio ti mette in crisi sul se parteggiare per lui o meno”
Nel corso degli anni, i progetti a cui hai scelto di partecipare hanno tutti affrontato messaggi forti e tematiche importanti, e immagino che per te non debba sempre essere stato facile, dunque magari è questo che cerchi in una sceneggiatura, questo tipo di connessione. Joseph, per esempio, a volte fa un po’ l’imbecille, ma allo stesso tempo la sua solitudine è percepibile, così come il potere che gli altri hanno su di lui, ma lui contrattacca e lo fa molto bene – penso tu abbia fatto un ottimo lavoro nel far emergere tutto questo. Nei prossimi progetti che magari hai già scelto di fare oppure che sceglierai di fare in futuro, pensi di continuare a seguire questa strada? Senti di avere più “potere” ora?
Non direi che ho più “potere”, ma di sicuro ho più libertà. Ho lavorato abbastanza da non aver più bisogno di supplicare per avere un ruolo. C’è ancora, sempre, da mettersi in gioco, ma adesso sento di potermi permettere di scegliere le sceneggiature che mi dicono davvero qualcosa, invece di puntare semplicemente a guadagnare visibilità. È questo il bello di avere trovato il mio posto.
Per quanto riguarda il tipo di film che scelgo di fare e i messaggi che voglio comunicare, tendo sempre a scegliere storie che possano insegnarmi qualcosa o consapevolizzare e illuminare la mia vita e il mio cuore. Inoltre, una delle cose belle di “Chevalier” è ciò che dicevo prima a proposito di trovare persone che riconoscano quanto vali e sfruttino il tuo potenziale, il tuo dono. Il dono di tante persone non viene mai sfruttato come dovrebbe perché la gente non vuole riconoscerlo. Io stesso avevo i miei dubbi, e non ero per forza guarito dai miei traumi infantili e poi, e di qui il mio ego, mi arrabbiavo con me stesso e mi dicevo: “Perché sei stato così duro con quelle persone? Perché vuoi fare sempre il duro?”. Poi, ho capito che il motivo per cui lo facevo era un passato di dolore, paura, e la sensazione di non essere nessuno. Ecco perché reagisci, e ti scusi con te stesso per essere stato cattivo con te stesso, prima di tutto, e poi ti liberi dal bisogno di essere “il mastino” e ti concedi di vivere e goderti la vita e raccontare le storie nel modo in cui hai sempre voluto farlo. Se devo scegliere un film o una serie TV in cui recitare, punto sempre su quello che mi comunica qualcosa e che io, spero, possa condividere con altre persone.
Poi, voglio anche fare cose divertenti.
Hai scoperto qualcosa di nuovo su te stesso interpretando Joseph? Che tipo di ricerche hai fatto per costruire il tuo personaggio, il suo carisma e la sua musica, dato che per così tanti anni sembra essere stato dimenticato?
Secondo me, quando interpreti una persona realmente esistita ma così tanto tempo fa che non abbiamo interviste disponibili [ride], né testimonianze dirette che ci dicano chi era, è il telefono senza fili, è tutto un “lui ha detto”, “lei ha detto”, e così si tramanda la storia. Così, finisci per fare un sacco di ricerche sui miti nati sulla figura di Joseph: è una personalità mitica, era l’uomo più sexy del paese, era bello, lavorava sodo, eccetera… e addirittura si è trovato nella stessa residenza dov’era Mozart, in un certo momento, ma non si sono mai incrociati! Ci sono un sacco di dicerie, quindi tu le selezioni e pensi, “Qual è la verità più interessante e drammatica di tutta questa roba?” e sfrutti ciò che potrebbe combaciare con la sceneggiatura di Stefani. Di lì, le domande successive sono: dove sono i vuoti e i buchi? E come li riempio? Perché Stephen era stato molto chiaro sul fatto che voleva che il film avesse un sapore contemporaneo abbastanza da non rischiare che gli spettatori pensassero: “Ecco l’ennesimo film in costume!”.
Stephen ha una figlia adorabile, è la mia persona preferita, e la prova del nove era sempre: la figlia di Stephen approverebbe? Vorrebbe guardarlo un film del genere? [ride] Insomma, vuoi fare un bel film ma vuoi anche raccontare la storia di Joseph a persone che vogliano ascoltarla; se i ragazzi che non conoscono Joseph Bologne non sentono parlare di Joseph Bologne, allora che senso ha raccontarne la storia?
Sì, in pratica la rendi plausibile in modo tale che le nuove generazioni possano indentificarsi.
Sì, in modo che ne siano incuriositi. Quindi, secondo questa logica, è così che tiri fuori il suo lato “Prince”, volevamo che sembrasse un po’ un Prince, o un Hendrix, personaggi familiari per tutti, che ascoltiamo quotidianamente, che identifichiamo con il comportamento da rockstar, e volevamo far percepire il violino come uno strumento da rockstar tanto quanto lo era nel 1700. Joseph dovrebbe essere visto come vediamo Prince, Hendrix, Clapton, Lenny Kravitz e tutte queste icone ora, abbiamo pensato di infondere nel personaggio quel tipo di energia. Ecco quando puoi prenderti le tue liberà creative con un personaggio come quello.
“Joseph dovrebbe essere visto come vediamo Prince, Hendrix, Clapton, Lenny Kravitz e tutte queste icone di oggi”
Hai creato una playlist per il tuo personaggio?
Sì, ho creato una playlist per Joseph. Avevo una Joseph Playlist, una Nanon Playlist, e una Marie Josephine Playlist.
La prima canzone sulla playlist di Joseph è “Drip Too Hard” di Gunna e Lil Baby, e poi c’è “Dedicate” di Lil Wayne, “Uproar” di Lil Wayne e Swizz Beatz, “Going Bad” di Meek Mill feat. Drake, “Last Time That I Checc’d” di Nipsey Hussle, Drake, “Darling Nikki” di Prince, “Everybody Mad” di O.T. Genasis, “KOD” di J. Cole, “Middle Child” di J.Cole, Bob Marley, Stevie Wonder, Jimi Hendrix, i Red Hot Chili Peppers, un sacco di roba diversa. Poi c’erano le canzoni romantiche di Marie Josephine, tutte molto dolci ma anche tristi [ride].
Uno degli esercizi che mi piace fare quando inizio a preparare un ruolo – l’ho fatto anche per “Cyrano” – è concentrarmi sul trovare cosa, dal punto di vista emotivo, quali parole, e quali suoni rendono giustizia alle varie fasi che il personaggio attraversa nel corso della sceneggiatura; infatti in questo caso ho creato anche una playlist per tutta la sceneggiatura e poi, man mano che andavamo avanti, alcune cose suonavano meno giuste e altre più adatte ad ogni ascolto, perché a volte attivavo la riproduzione casuale dei brani per vedere quali canzoni partivano, e poi man mano che andavo avanti aggiungevo roba, aggiornandola sempre. È come quando giri le scene di un film, a volte le cose cambiano nel giro di un giorno, pensi di dover fare in un certo modo, ma poi quella scena la giri in un momento completamente diverso, e ti trovi a pensare, “Devo trovare la canzone adatta!” [ride].
Sappiamo che sei un musicista professionista, ma com’è andata con il violino? Le prove con questo strumento come sono state?
Il violino è stato il primo strumento che abbia mai suonato ed ero piuttosto bravo. Poi, è arrivato l’uragano Katrina a New Orleans, e quando è successo, abbiamo dovuto trasferirci e io non ho mai più suonato il violino fino a questo film.
Com’è stato ritrovare il tuo primo amore, il violino?
All’inizio è stato spaventoso, perché non ero sicuro che ce l’avrei fatta a ricominciare. Il violino non è come la chitarra, serve manualità, quindi mi sono sforzato di ripristinare la memoria muscolare nelle mie dita, è stata quella la parte più difficile. Non ho problemi con l’intonazione, o con l’orecchio, piano piano bisogna riabituarsi all’arco, ma la manualità era la parte difficile. Oggigiorno, chiunque suoni il violino di solito ha un poggiaspalla e sui violini stessi ora ci sono i supporti per la spalla, ma nel 1700 questi supporti non esistevano, quindi dovevi potenziare i muscoli del collo. In quel periodo, avevo i muscoli del collo super pompati perché passavo ore a fare archi lunghi, oltre ad esercizi con le dita per allungare i muscoli perché lui suona all’estremità inferiore della gamma di frequenze, è la sua sfida personale. Ma è stato divertente.
Come descriveresti Joseph con una parola?
Audace.
E il film?
Uno spettacolo.
Hai interpretato parecchi personaggi realmente esistiti, di cui uno degli ultimi è B.B. King in “Elvis”. Grazie al potere del cinema, alcune storie spesso dimenticate ma degne di nota arrivano al grande pubblico: a proposito, c’è qualcun altro che ti piacerebbe interpretare? O hai in programma di dirigere o scrivere alcune storie tue?
Sai, in realtà mi sono un po’ stufato di interpretare persone realmente esistite, onestamente [ride]. Farò il film su Jean Michel Basquiat, è il mio prossimo progetto e sarà il mio ultimo per un po’, credo, a meno che qualcuno di davvero interessante non salti fuori e mi convinca. Poco fa ho interpretato Martin Luther King Jr. e ricordo che quando sono venuti da me per parlarmene, ho pensato, “No, non posso farne un altro!”, ma sono stati convincenti e quindi l’ho fatto, il che significa che sono abbastanza abbindolabile [ride]. Ad ogni modo, al momento non ho in programma, eccetto ciò che è già in ballo, di fare altri biopic.
Come mai? È perché i biopic implicano un diverso tipo di pressioni, o per la preparazione del personaggio che devi fare?
Per quel che mi riguarda, io adoro creare personaggi originali, e i biopic li trovo insidiosi semplicemente perché prevedono così tanti parametri; per alcuni, questi parametri sono ostacoli divertenti, ma dopo un po’ possono anche diventare limitazioni complicate, oltre a dover fare i conti con le pressioni derivanti dal fatto che tutti si aspettano una versione del personaggio corrispondente al ricordo che hanno di lui o lei, e vogliono vederlo nella tua performance. Ma la mia filosofia, quando preparo personaggi realmente esistiti, è: sono l’essenza di quell’individuo, ma non sarò mai quell’individuo, è troppo iconico, e io non posso diventare lui in tre mesi di prove… Non sarò mai Martin Luther King. Così, ho cercato di allontanarmi un po’ dalle aspettative, e trovo sia complicato negoziare con i creativi e con il pubblico quando interpreti queste persone, tanto quanto è un privilegio e un onore e un concentrato di insegnamenti, motivo per cui accetto questi ruoli. Guardo Martin Luther King, per esempio, e penso: “Wow, quante cose ha fatto, voglio saperne di più, voglio provare a capire, a comprendere a fondo la grinta e la tenacia con cui perseverava nonostante le difficoltà”. Stessa cosa con Joseph e anche con Jean-Michel, cosa significava essere un outsider, un artista un po’ strambo, nel proprio mondo, uno spirito libero a New York, e uno degli artisti neri con più successo negli anni ’80… Come si fa? E adoro quel tipo di puzzle. Eppure, voglio anche interpretare storie inedite, perché è allora che ti diverti davvero, creando roba davvero originale.
“Sono l’essenza di quell’individuo, ma non sarò mai quell’individuo”
A proposito di divertimento, tu stesso hai detto che vuoi divertirti durante le riprese: ricordi un epic fail sul set che ti ha fatto ridere?
Ci sono stati così tanti momenti… [ride]
Sai, erano tutti molto nervosi per le mie scene di violino e di scherma, infatti un giorno stavamo facendo gli allenamenti di scherma e ripassando le routine e quel genere di cose, e non facevano altro che chiedermi, “Riesci a farlo?”, e pensa che prima di tutto ciò mi ero fratturato la clavicola, quindi tutti mi domandavano, “Ma come hai fatto?” e io dicevo, “Non lo so, so solo che adesso mi fa male da morire” e quindi abbiamo dovuto rimandare la produzione di una settimana. Ecco perché erano tutti stressati e agitati, ma quando ho ricominciato con gli allenamenti di scherma e di violino, dopo una bella pausa, ho pensato, “Posso farcela, non mi serve più allenarmi, ci sono”. Arrivo alle prove, e mangio letteralmente merda! [ride] Indosso delle scarpe con un tacchetto e mi atteggio da gradasso, ma in realtà sembro i pulcini quando camminano, con le caviglie che cedono, praticamente uguale! [ride] Infatti scivolo e cado per terra, e tutti mi dicono, “Non so se ce la fai…”.
Quindi, ho dovuto sottopormi ad un lungo controllo danni perché nel peggiore dei casi avremmo dovuto chiamare una controfigura e io non volevo.
Alla fine ce l’ho fatta, ma non è stato il più elegante dei miei momenti.
Il tuo must-have sul set?
Dipende dal personaggio, direi. Per alcuni, mi piace portare con me un profumo, per altri un qualche oggetto, come un anello o un sasso, che tengo con me in un taschino dei costumi di scena, oppure dipende da vari fattori, potrebbe anche essere un colore che trovo interessante e cerco sempre di includere.
Al contrario, Kelvin sul set non ha niente con sé, eccetto il copione… perché non ricordo mai le mie battute [ride].
Cosa ti fa ridere più di qualsiasi cosa?
Penso di essere uno che ride sempre, sono un mostriciattolo della risata! Ma una cosa che davvero mi fa ridere… sono le scoregge! Mi fanno sbellicare, scorreggiare mi stende sempre! [ride]
Qual è il tuo più grande atto di ribellione?
Dire di “no”.
Quando si firmano accordi, credo sia importante per ogni attore proteggere la performance, e io proteggo sempre ciò che finisce sullo schermo, soprattutto in questi ultimi tempi, dato che ho interpretato queste personalità iconiche e figure politiche importanti – se ci pensi, anche Joseph è stato l’iniziatore di uno dei primi reggimenti di soldati neri durante la Rivoluzione francese, quindi è stato una figura politica a pieno titolo, a modo suo. Secondo me, quando stringi questi accordi, devi sempre essere certo che stai chiedendo quello di cui hai bisogno, e io, se non mi danno gli strumenti necessari, non posso dire di sì, e immagino che a volte faccio stare la produzione parecchio sulle spine. Ma devo proteggere queste figure; se accetto dei ruoli, devo essere sicuro che siano proiettati verso il successo, che possano essere visti nel pieno della loro grandezza.
Cosa significa per te sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Credo significhi rispetto, è il modo in cui rispetto me stesso in base a quello di cui ho bisogno e chi sono, è essere abbastanza sicuri da rispettare gli altri. Secondo me, chi è davvero a proprio agio nella propria pelle è rispettoso, e chi invece non lo è, butta giù le altre persone, o le sminuisce, o sminuisce sé stesso. È un ciclo, e nessuno si sente al sicuro intorno a gente che non è a proprio agio nella propria pelle. Chi invece lo è, è premuroso, rispettoso, amorevole, paziente, e chiede ciò di cui ha bisogno e lo ottiene.
“Nessuno si sente al sicuro intorno a gente che non è a proprio agio nella propria pelle”
Qual è la tua isola felice?
Il letto! Adoro dormire anche se non dormo mai abbastanza. Poi adoro anche “Il grande fratello”, quando lo guardo mi sento felice. E la piscina, adoro stare in piscina. Sai di cosa avrei voglia? Di stare su letto a galla in piscina, mentre guardo “Il grande fratello” e sorseggio una Piña colada! [ride]
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