Attrice e producer, KiKi si fa conoscere per il meraviglioso film di Barry Jenkins “Se la Strada Potesse Parlare” e, da quel momento, diventa semplicemente indimenticabile.
L’abbiamo poi amata anche in “Native Son” e “The Old Guard” (del quale aspettiamo il seguito) e non vediamo l’ora di vederla nel nuovo film da regista di Olivia Wilde, “Don’t Worry Darling” per cui dovremo aspettare fino a settembre 2022.
Abbiamo conosciuto KiKi grazie alle Miu Miu Women’s Tales che ci hanno dato l’opportunità di parlare con lei dell’importanza di far parte in modo attivo alla produzione dei propri film, essere presente al tavolo delle decisioni, della grande strada che dobbiamo ancora fare per far sì che non si parli più di inclusività ma che questa diventi una norma, e naturalmente, del suo prossimo ruolo.
In una maestosa cornice, tra le sue parole così vere e attuali, ecco la nostra Cover di novembre: KiKi Layne.
Di solito, quando leggi una sceneggiatura, cosa ti fa dire di sì al progetto? Cosa cerchi in un personaggio che ti faccia venir voglia di interpretarlo?
Qualsiasi progetto, perché io lo accetti, deve attivare ed emozionare una parte del mio spirito. Devo percepire una vera e propria connessione con la storia che devo raccontare. Di solito, riesco a riconoscere subito quando qualcosa è giusto per me dalla sensazione istintiva, spirituale/primordiale che provo. Mi piacciono i personaggi che mi consentono di interpretare un’ampia gamma di emozioni e caratteristiche.
Moda e cinema, due mondi più che collegati: qual è il tuo rapporto con i costumi di scena quando costruisci un personaggio?
I costumi di scena sono una parte fondamentale della costruzione del personaggio, perché quello che indossiamo riflette chi siamo o chi vorremmo che il mondo pensi che siamo, oltre ad essere un riflesso del nostro ambiente. Ho lavorato con costumiste davvero straordinarie che sono sempre state molto aperte e collaborative, disposte a parlare di cosa ogni costume racconta del personaggio e della sua vita in quel momento. I costumi sono anche una parte importante del processo di spersonalizzazione di noi attori, che usciamo da noi stessi per calarci in un ruolo. Per esempio, non appena ho indossato il costume di Marine per “The Old Guard” ho sentito immediatamente la differenza nella mia fisicità e presenza. Oppure, mi sono sentita istantaneamente molto regale e principesca in molti dei costumi che ho indossato in “Il principe cerca figlio”, o molto dolce e femminile nei miei costumi di “Se la strada potesse parlare”, che mi hanno anche aiutata a lasciare il 2017 e catapultarmi negli anni ’70.
Quindi, i costumi di scena sono molto importanti per me.
“Qualsiasi progetto, perché io lo accetti, deve attivare ed emozionare una parte del mio spirito”.
Hai un momento fashion o un look del cinema preferito? E uno personale?
Del cinema, ogni look de “Il principe cerca figlio”. Lavorare con Ruth E. Carter è stato semplicemente incredibile. Personalmente, il look che ho indossato al LACMA Gala di Gucci è stato molto speciale.
Il tuo personaggio in “The Old Guard” è una donna molto forte, come il personaggio che interpreta di Charlize Theron. Come avete lavorato insieme per far nascere l’evidente chimica tra i vostri personaggi?
La chimica è nata davvero spontaneamente. Io ho sempre rispettato il lavoro di Charlize e ciò che lei ha rappresentato per le donne nei film d’azione. Farmi guidare da lei in quanto novellina del genere action è stato molto naturale, così come per il mio personaggio, Nile, e per la sua nuova vita da immortale. È stato un processo molto organico.
Che tipo di ricerche hai fatto per creare il tuo personaggio che, sebbene sia tratto dai fumetti, ha delle radici storiche?
Nile è un Marine, quindi gran parte delle ricerche che ho fatto hanno riguardato i Marines e le forze armate. Ho letto libri, guardato video, parlato con veri e propri soldati. Il miglior complimento che ho ricevuto è stato quando alcuni veri membri delle forze armate hanno detto di essersi sentiti ben rappresentati.
Qual è il tuo must-have sul set?
Il mio speaker Bluetooth. Ho bisogno di buona musica nella mia roulotte, e anche quando sono al trucco e quando mi fanno i capelli. O anche durante alcune scene, la musica giusta mi catapulta esattamente nel luogo e stato d’animo in cui ho bisogno di trovarmi.
Qual è il libro sul tuo comodino?
“Padre ricco, padre povero” di Robert T. Kiyosaki.
“…la musica giusta mi catapulta esattamente nel luogo e stato d’animo in cui ho bisogno di trovarmi”.
Durante le Miu Miu Women’s Tales hai detto che anche grazie alle piattaforme streaming abbiamo finalmente più opportunità di vedere e raccontare storie “black”, incentrate sulle persone di colore, e più opportunità per la gente di colore, e le donne in particolare, di vedersi rappresentate sullo schermo e, finalmente, non in ruoli stereotipati. C’è una storia “black” che ti piacerebbe vedere sullo schermo o, magari, interpretare tu stessa?
Al momento, non mi viene in mente niente in particolare. Forse, un film o una serie fantasy di quelli enormi, epici. Uno sci-fi. Generi cinematografici di cui credo non si parli troppo spesso nel contesto “black”.
Hai anche detto, “Vorrei sedermi dalla parte del tavolo in cui si siede chi dà lavoro alle persone”. Quali aspetti della produzione ti piacerebbe esplorare in maniera più profonda in futuro?
La produzione è importante perché se sei un produttore hai più controllo sul tipo di storie che vengono raccontate e su come vengono raccontate.
Per me, è importante avere più controllo creativo per assicurarmi che qualunque cosa venga rappresentata sullo schermo sia qualcosa di cui possa essere fiera, e per assicurarmi che alla produzione e allo sviluppo di un progetto lavorino persone che capiscano e che si riconoscano nella storia e nei personaggi. Ma anche per poter aiutare a offrire opportunità ad altri creatori magari sottovalutati. Quindi, ho intenzione di avere una mia casa di produzione e far parte dello sviluppo di progetti molto prima del previsto.
“È importante avere più controllo creativo per assicurarmi che qualunque cosa venga rappresentata sullo schermo sia qualcosa di cui possa essere fiera”.
Quali cambiamenti vorresti vedere nell’industria del cinema in termini di inclusività e autenticità?
Vorrei che l’inclusione diventasse la norma, in modo che quando i gruppi poco rappresentati recitano o raccontano e sviluppano le nostre storie, quello non sia argomento di conversazione, o che la diversità e l’inclusione siano così normali da non diventare notizie di prima pagina. Charlize e io ne abbiamo parlato durante le riprese di “The Old Guard”, abbiamo proprio detto che aspettiamo con ansia il momento in cui un film d’azione con due donne come protagoniste e diretto da una donna/persona di colore non sia più visto come un evento così straordinario. Vorrei che i film incentrati su persone di colore, quando superano le aspettative in termini di incassi e record, com’è successo con “Black Panther” o “Crazy Rich Asians” per esempio, vorrei che quegli episodi non siano notizie da prima pagina.
Quando queste cose diverranno la norma nell’industria cinematografica e nel mondo, sarà un enorme cambiamento. Allo stesso tempo, trovo emozionante far parte del cambiamento che l’industria sta subendo, con molti più filmmaker di colore e donne e altri gruppi sottorappresentati al controllo delle nostre storie e del modo in cui vengono raccontate. Le nostre voci si stanno alzando e facendo sentire come mai prima.