Il cinema è un linguaggio potente attraverso cui le persone possono entrare in contatto con argomenti diversi, imparare qualcosa di nuovo sul mondo e, soprattutto, su loro stessi.
Miu Miu questo lo sa bene: attraverso le Miu Miu Women’s Tales, dà alle registe il potere di costruire un ponte tra i loro mondi e la filmografia, la moda e temi significativi come l’empowerment femminile, l’inclusione e l’uguaglianza. Per il loro 28° cortometraggio, hanno collaborato con la regista Laura Citarella, che si è ispirata al paesaggio argentino e alle sue dinamiche sociali per creare “El Affair Miu Miu”. Un dramma misterioso incentrato sulla libertà, in cui le donne possono andarsene, assumere il controllo ed esprimere la propria emancipazione senza dover giustificare le loro scelte.
Come Laura ha affermato durante la nostra intervista sul progetto, questo film ha rappresentato per lei un nuovo mondo da esplorare, dove le ispirazioni e l’approccio cinematografico è in costante evoluzione per trovare nuovi modi per mantenere vivo il mistero della vita e dell’essere donna, proprio come dovrebbe essere.
Prima di tutto, congratulazioni per “El Affair Miu Miu”. Come sta andando qui a Venezia?
Sono stata qui nel 2003 con un film studentesco che avevamo fatto con alcuni amici, ed è stata la mia prima volta. Ma nessuno parlava con noi ed è stato molto divertente perché eravamo così giovani alla Settimana della Critica, aspettavamo che qualcuno venisse a parlarci [ride]. Non sapevamo come funzionasse la Mostra all’epoca!
Sono tornata due anni fa perché ho presentato il mio film “Trenque Lauquen” e poi di nuovo l’anno scorso perché facevo parte della giuria per le Opere Prime. Sono venuta qui per tre anni consecutivi, insomma, e mi piace molto. È strano perché è un Festival dove lavori, ma allo stesso tempo sei circondato dalla bellezza, e sei sempre in giro, vai da un posto all’altro e a volte non riesci a credere dove ti trovi.
Qual è stata la tua prima reazione quando sei stata contattata da Miu Miu e come ti è venuta in mente l’idea di questo cortometraggio? Hai avuto un’ispirazione principale o è più un collage di cose diverse?
Sono rimasta sorpresa, non mi aspettavo di essere chiamata. Conoscevo il progetto perché uno dei primi cortometraggi è stato diretto da Lucrecia Martel, e noi registi argentini la ammiriamo tutti. Ero molto felice e ho sentito anche una grande responsabilità, quella di far bene il mio lavoro, essere soddisfatta del mio cinema e rendere felici le persone che mi hanno contattato. È sempre una situazione piacevole ma intensa.
Non c’era quasi nessuna direttiva, l’unica richiesta che mi è stata fatta era di realizzare un cortometraggio e utilizzare la collezione invernale che mi sarebbe stata inviata. Con questo, dovevo creare qualcosa, ed è stato divertente perché cercavo di capire se ci fosse qualche regola dato che non avevo ricevuto nulla, la mia libertà era totale.
Penso che lo spirito del progetto sia: “Questo è un incontro tra la regista e Miu Miu” e devi pensare a cosa puoi farci, senza limiti, senza richieste su come mostrare i costumi. È molto interessante perché i brand di solito si proteggono sempre, cercando di controllare e supervisionare ogni immagine dei prodotti che vendono. In un certo senso, questo è davvero un progetto coraggioso perché puoi fare ciò che senti, ciò che desideri, come lo vedi tu. Non c’è un’idea commerciale dietro, questa è un’azione, una risposta politica. È da qui che nasce l’idea di includere Miu Miu proprio nel film, non solo i costumi, per renderlo trasparente: non si tratta di Laura Citarella chiamata da Miu Miu per fare un film, ma si tratta di Miu Miu che arriva in Argentina, il che in un certo senso è simile a ciò che mi è successo come regista. Una delle prime cose a cui ho pensato è stata quella donna che scompare, che è simile a ciò che accade in “Trenque Lauquen”, dove il mistero riguarda una donna che se ne va. In “El Affair Miu Miu”, invece, l’ambientazione è il mondo della moda, con una modella che ha un rapporto molto strano con la Pampa argentina.
Questo cortometraggio è un mistero-dramma con un’allure retrò, ed è un genere con cui eri già familiare. Quali sono le tue principali ispirazioni per quel genere, sia in ambito cinematografico che culturale?
Lavoro con molti libri, film e generi. “Trenque Lauquen” è un film in continua mutazione: inizia come un road movie, poi diventa un thriller, e poi un fantasy, con elementi quasi fantascientifici. In un certo senso, con piccoli trucchi, puoi fare tutto ciò anche con un cortometraggio, nonostante il minor tempo a disposizione. Questo cortometraggio, infatti, inizia come un film di Fellini e poi muta. All’inizio vediamo questa donna arrivare in città e tutti ne sono felici, poi diventa una storia di detective, e poi, improvvisamente, quando compaiono i vestiti, diventa quasi una fantasia, ma anche dramma con umorismo, e improvvisamente compaiono anche alcune situazioni assurde. È interessante perché una delle cose che cerco di fare quando realizzo film è di non andare in una sola direzione, ma cercare di variare, ed è per questo che il linguaggio degli attori in questo corto non segue direttamente il mood tipico di una trama poliziesca/thriller, è più leggero.
La mia idea non è stabilire una sola cosa per un film, ma mutare e muovermi continuamente.
“…non si tratta di Laura Citarella chiamata da Miu Miu per fare un film, ma si tratta di Miu Miu che arriva in Argentina“.
Ciò che cattura l’attenzione è il forte contrasto tra il mondo della moda, dei vestiti Miu Miu, e lo stile di vita di La Caterina con l’ambientazione rurale di “Trenque Lauquen”. Pensi che la moda possa essere un ponte tra mondi e realtà diversi?
Penso che il cinema sia un ponte: il cinema è il ponte tra “Trenque Lauquen” e Miu Miu. Se non fosse per il cinema, non ci saremmo incontrati. Penso che il cinema possa far sì che due cose molto diverse si incontrino finalmente, ed è molto misterioso perché iniziano a dialogare tra loro.
Penso che ci sia qualcosa che accade nello spettacolo ed è l’idea di conversazione in cui il cinema permette al mondo della moda di entrare nella sua dimensione fittizia, e allo stesso tempo, la moda permette al cinema di ritrarre alcuni aspetti di quel mondo.
Quello che mi ha colpito del film è il fatto che le tre donne del team investigativo vivano un rapporto naturale, anche in modo ironico, con la moda.
Penso che si possa avere una visione della moda come qualcosa di cui non si ha bisogno perché non si sente che sia essenziale per la propria vita; poi, si può iniziare a capire che la moda è così dentro la tua vita che non ci pensi nemmeno. Quello che succede ai personaggi del film è simile a quello che è successo a noi che abbiamo fatto il film: quando i vestiti sono arrivati in Argentina, è stato meraviglioso, come se fossero qualcosa di intoccabile perché, in Argentina, non abbiamo questo tipo di moda. L’Argentina è un paese molto difficile sotto molti aspetti, è molto povero, e ci sono molte restrizioni sulle cose che puoi vedere, quindi è un incubo per i brand andare lì.
Cercando di capire i vestiti, per noi era pazzesco, li guardavamo provando a capire quale fosse il mistero dietro essi. I vestiti di Miu Miu sono particolarmente diversi nel modo in cui si collegano tra loro e sebbene alcuni pezzi possano sembrare simili, c’è sempre un dettaglio che fa la differenza. Non puoi che sentirti intrigato da questo mondo.
“Penso che il cinema possa far sì che due cose molto diverse si incontrino finalmente, ed è molto misterioso perché iniziano a dialogare tra loro”.
Un altro tema che affronti spesso è quello della fuga. Libertà e fuga sono concetti simili per te?
No, penso che siano diversi. Fuggire significa che ti senti legato a qualcosa… Sono un po’ ossessionata dal tema delle donne che se ne vanno. Questo appare in “Trenque Lauquen” con il personaggio di Laura, ma anche con il personaggio di Carmen Zuna, che mia rappresenta durante la gravidanza e rappresenta il mio desiderio di fuggire alla gravidanza.
In questo cortometraggio, vedi la modella lavorare e improvvisamente non c’è più, e potrebbe essere percepito come un movimento fantastico dello spettacolo oppure puoi pensare che ci siano due Caterine, ma la cosa importante per me è proiettare l’immagine di una donna che se ne va perché vuole andarsene. Di solito, se una donna se ne va, tutti pensano che sia perché è pazza, folle, o in pericolo, e non siamo molto familiari con l’idea di una donna che se ne va per emanciparsi. È strano perché nella storia del cinema, se vedi gli uomini fare questo tipo di cose, non gli diamo troppa importanza, o almeno non pensiamo a tante ipotesi, e penso che abbia a che fare con il modo in cui gli uomini si sono stabiliti nel mondo, che è “cercare di capire le donne”, sono ossessionati dal capire perché le donne fanno quello che fanno, perché se ne vanno.
Recentemente mi è stato chiesto se faccio film femministi: non la vedo in questo modo, tutto quello che so è che lavoro con immagini che mi piacerebbe portare nel mondo, e voglio che i miei film presentino immagini che proiettino queste possibilità.
La moda, il cinema, le Miu Miu Women’s Tales hanno il potere di cambiare la realtà.
“Senza sguardo maschile su di me”.
Sì, penso che la rappresentazione sia importante ma non si tratta solo di quello…
Esatto. Nei film che realizzo, mi piace sempre lavorare sul mistero come una sorta di sensazione sospesa o atmosfera in cui forse non capisci molto, ma improvvisamente non puoi smettere di seguire cosa sta succedendo. Per me, questa è una percezione molto simile alla comprensione femminile della realtà. Siamo tutte diverse, ovviamente, ma abbiamo una tendenza a lasciare che i misteri siano misteri, e a volte non capire cosa abbiamo in mente è qualcosa che ci piace. Mi piace non sapere perché il mistero mi mantiene viva. A volte, i critici non sanno che nome dare a questa percezione, e quando non sanno cosa dire, stabiliscono che quello è il “female gaze”. Ma è sbagliato, è il modo di girare di una regista e non si tratta nemmeno di uno sguardo! A volte le categorie sono utili, ma penso che non sia necessario dare un nome a tutto. È un modo per far sentire invisibili le donne, anche se forse non sempre intenzionalmente.
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto su di te, anche grazie al tuo lavoro?
È stato interessante quando abbiamo parlato del mondo Prada e di Miss Prada: c’è qualcosa che trovo molto interessante in lei perché appartiene a un mondo enorme, sia dal punto di vista creativo che economico. Sento che il valore sta nelle cose che accadono: ovviamente lei è importante di per sé, ma comunque sta lavorando affinché accada qualcosa nel mondo.
Negli ultimi anni, “Trenque Lauquen” è diventato, non voglio dire un successo, ma abbiamo realizzato un film in modo molto indipendente ed è diventato molto importante per alcune pubblicazioni e ha vinto il premio come Miglior Film al Festival Internazionale del Cinema di Mar del Plata. Ho iniziato a capire che mi piace quel modo di vivere, stare un po’ in disparte – posso parlarti molto della mia vita personale, di me come madre, anche se non ci conosciamo e ti sto parlando di me perché sono una regista, ma cerco sempre di tenere i piedi per terra perché quello che conta davvero è il film e far sì che quante più persone possibile lo vedano.
Un mio amico, un cantante, una volta mi ha detto qualcosa di bellissimo: “Scrivo le mie canzoni non per me ma per ascoltarle tutti insieme”. Penso che sia un buon modo di pensare all’arte e alla creatività: la comunità è importante. Ovviamente io sono la testa, sono la regista, ma sto lavorando con le persone, nel mio caso in modo completamente collettivo, condivido il mio processo creativo con loro, ma l’unica cosa importante è ciò che accade fuori da noi, ovvero che è un film che lascerà speranza per sempre, ed è quello che voglio. È qualcosa che ho scoperto di recente ed è bello pensarla in questo modo, mi sento più rilassata.
Come si dice nel cortometraggio: “Nessuno sta pensando a te, Chicho”.
A volte, dobbiamo dirlo a noi stessi.
Photos by Luca Ortolani
Thanks to Miu Mu