Nel mondo di “Disclaimer”, ora in onda su Apple TV+, l’attrice Leila George emerge con una performance potente che esplora le complessità di temi come la verità, l’identità e il peso dei segreti. Quando l’abbiamo conosciuta, Leila si stava preparando nella sua stanza d’hotel a Venezia. L’atmosfera era intima, e lei ci ha accolti con un calore che ci ha subito messi a nostro agio. Sin dall’inizio, abbiamo avuto l’impressione che fosse desiderosa e disposta ad aprirsi con noi, condividendo pensieri ed esperienze: durante la nostra chiacchierata, si è confidata con fiducia e autenticità.
L’interpretazione di Catherine – un personaggio che oscilla su un equilibrio precario tra sicurezza e vulnerabilità – è stato un viaggio emotivo senza precedenti per Leila. Con noi ha condiviso aneddoti divertenti, ricordando il suo primo incontro con la storia e l’influenza significativa della visione del regista Alfonso Cuarón.
Tra esperienze personali e professionali, Leila ci ha spiegato le fasi della sua preparazione, analizzando i temi affrontati dalla serie e le lezioni che hai imparato nei panni di un personaggio tanto forte quanto fragile. Il suo genuino desiderio di rivivere tutte queste emozioni complesse ha reso la nostra conversazione profonda, significativa e, molto probabilmente, universalmente valida.
Com’è stato conoscere il tuo personaggio nella sceneggiatura? Il libro da cui è tratta la serie lo conoscevi?
Sì! Un giorno il mio agente di Londra mi chiama per dirmi che Alfonso Cuarón mi avrebbe telefonato il giorno dopo, cosa spaventosissima, perché non succede mai a Hollywood che un regista ti chiami al telefono, è una di quelle leggende magiche che occasionalmente diventano realtà, ma pensi che a te non capiterà mai.
Comunque non avevo sceneggiature da leggere, quindi non sapevo come prepararmi, ma non volevo fare brutta figura, quindi mi sono procurata il libro e l’ho letto tutto in una notte. Quando il giorno dopo ho parlato con Alfonso, lui ha iniziato a raccontarmi la storia, e nel mezzo del racconto, perché pensavo che avrei preso punti dicendolo, gli ho detto, “Sappi che ieri ho letto il libro”, e lui mi ha risposto, “No, perché l’hai fatto?!”, e così mi sono resa conto di aver già fatto un casino [ride].
Comunque, per rispondere alla tua domanda, sì, il libro l’ho letto ed è fantastico.
Nelle prime scene Catherine, quando riceve il premio, appare come una persona che, “Con la sua storia, vuole scoprire la verità e rivelare cosa c’è sotto”. Presto, però, scopriamo che è lei ad avere un segreto. Qual è la tua opinione sul mantenere i segreti, soprattutto per tanto tempo? Pensi che possa cambiare le persone?
Credo dipenda da che tipo di segreto sia. Non dovremmo parlare o rivelare cose della nostra vita che non siamo a nostro agio a rivelare o rivivere. In questa storia, Catherine è obbligata ad affrontare il suo passato in un modo che non le sta bene, e il suo è un passato di cui avrebbe dovuto parlare a modo suo e nel momento più giusto per lei. Credo sia molto importante tenersi per sé i segreti che non si ha voglia di rivelare, almeno finché non fanno del male a nessuno.
“Non dovremmo parlare o rivelare cose della nostra vita che non siamo a nostro agio a rivelare o rivivere”.
La giovane Catherine è molto diversa dalla Catherine del presente. Per esempio, la prima è super determinata, sicura di sé, disinvolta nel suo corpo… Ma quando nel presente vede le foto che le ha fatto Jonathan, sembra spaventata, umiliata, come se il soggetto degli scatti non fosse lei, è molto turbata. Allo stesso tempo, in qualche modo “le due Catherine” si assomigliano molto, hanno la stessa voce, le stesse movenze… Come hai lavorato con Cate Blanchette per ritrarre lo stesso personaggio che però in realtà tra presente e passato è così diverso?
Cate con me è stata super generosa, mi ha letteralmente passato lo scettro. Non abbiamo lavorato insieme, in realtà, ma abbiamo avuto un’oretta di tempo per esaminare alcune scene, in cui lei mi ha comunicato le sue idee su alcuni momenti specifici. È stata molto generosa, appunto, mi ha detto, “Adesso lei è tua, buona fortuna”, che per me è stato di grande supporto.
Tenersi un segreto può farti sentire molto solo. Qual è il tuo rapporto con la solitudine? La cerchi mai nella tua vita o è qualcosa che eviti, piuttosto?
Io ci tengo molto alla mia solitudine. Vivo da sola e adoro vivere da sola, mi riunisco con le persone e partecipo a situazioni sociali per ricaricare un po’ la mia batteria, ma per ricaricarmi in realtà mi serve anche la solitudine. Ora ho trovato il mio equilibrio, ma in generale se passo troppo tempo in compagnia, poi mi sento esausta, e se passo troppo tempo in solitudine, poi mi sento sola. È difficile trovare una via di mezzo, ma credo di aver trovato l’equilibrio perfetto per me ora.
In che modo lo stile unico di Alfonso Cuarón ha influenzato la tua performance, lo storytelling e l’estetica della serie? Che impatto ha avuto la sua collaborazione con cast e troupe sul processo creativo?
Innanzitutto, lui è fantastico, io lo stimo tantissimo. Se chiama, io ci sono sempre.
È stata l’esperienza migliore della mia carriera, adoro lavorare con lui. È un genio al punto che sul set la libertà che senti di fare quello che ti dice di fare perché ti fidi di lui non ha paragoni, non mi era mai capitato prima. Dico davvero, mi fido di questa persona al 100%, sono sicura che non mi farà mai sembrare stupida.
Prima di iniziare a girare, eravamo a cena, e qualcuno gli chiese chi era l’attore o l’attrice con cui avesse avuto l’esperienza migliore, e lui disse che i migliori con cui avesse mai lavorato erano gli attori non professionisti – sai, del cast di “Roma” moltissimi non erano professionisti. Io dal canto mio per questa serie mi ero preparata moltissimo, avevo fatto un sacco di ricerche, ma da quel momento in poi decisi che sul set, con la coscienza pulita per aver fatto comunque i compiti a casa, avrei messo da parte la mia preparazione e mi sarei concentrata su ciò che lui volva che facessi. È stata una presa di coscienza liberatoria e mi sono divertita molto sul set, infatti. Lui ama il suo lavoro al punto che non sembra mai un ingranaggio di una macchina, né che stia lì per lavorare, per fare soldi, per avere successo o niente del genere. Sembra un bambino che vuole fare un film – a volte, mentre giravamo, io lo guardavo con la coda dell’occhio e lo vedevo con il monitor in mano che saltellava contento. Lui e il suo direttore della fotografia, Emmanuel Lubezki, sono sempre e ancora così emozionati quando lavorano. Immagina come dev’essere stato essere sul set di “Y tu mamá también”, con loro due giovanissimi: anche allora erano due bambini che si divertivano.
La passione e l’emozione che Alfonso ci mette nel fare cinema sono immense e te le trasmette, quando stai provando una scena e lo vedi lì seduto immerso nei suoi pensieri e poi viene da te e ti dice, “Possiamo farlo in un take unico? Te la senti?” e tu gli dici, “Sì cazzo, certo che me la sento!”.
“Sembra un bambino che vuole fare un film”
In diversi momenti, nelle prime scene ma anche più in là nella serie, la tua Catherine è inondata di luce. Per te, anche la luce era un personaggio in sé?
Credo sia parte di una fantasia. In realtà, mentre giravamo, non ci facevo troppo caso, ma effettivamente guardando la serie, capisco di cosa parli. Catherine sembra questa sorta di figura angelica, ed è buffo perché è l’opposto di chi è davvero in quel momento della serie.
Credo sia un espediente per enfatizzare l’immagine che si ha di lei come un’apparizione irresistibile, una visione, come una sirena, di quelle che emergono dalle acque per uccidere i marinai.
Il padre di Jonathan dice che l’assenza, a volte, è ciò che riempie tutto, ogni piccolo spazio. Secondo te, il lutto può riempire il vuoto?
Sì, ogni tipo di lutto. Credo sia importante prendersi del tempo per elaborare un lutto, ma è quasi tanto importante quanto assicurarsi di superarlo e andare avanti, e prendersi del tempo per guarire. È qualcosa di cui tenere conto e mai ignorare.
Qualcuno una volta ha detto che quando stai elaborando un lutto, il tuo cuore soffre “fisicamente” e ha fatto questo paragone: se fossi un’atleta e ti rompessi un piede, continueresti ad allenare le altre parti del tuo corpo, così che quando il piede sarà guarito, saresti pronto a ricominciare. Dovremmo applicare questa strategia anche per quando siamo a lutto: se il mio cuore soffre perché sto elaborando una perdita, mi assicuro di continuare ad andare in palestra, lavorare, mantenere i contatti con le persone così che, anche se tutto è molto più difficile perché ho il cuore spezzato, quando poi sarà guarito, non mi ritroverò a realizzare che “sono rimasta indietro”, che un una vita in cui reinserirmi quasi da zero.
Il lutto sicuramente crea un vuoto dentro di noi, ma tutto sta nel cercare di riempirlo.
“Credo sia importante prendersi del tempo per elaborare un lutto, ma è quasi tanto importante quanto assicurarsi di superarlo e andare avanti…”
Si percepisce anche una grande paura del fallimento nella serie: nel matrimonio, nell’essere genitori, o nel lavoro. Qual è il tuo rapporto con il fallimento?
Credo sia molto importante accettare il fallimento. A noi attori insegnano a fallire, ed è così che impari, secondo me. Anche nella vita, non puoi aver paura di fallire, perché è con i fallimenti che diventiamo più forti e impariamo a non ricascarci.
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto su te stessa attraverso il tuo lavoro? Dopo questa esperienza, per esempio, hai ottenuto nuove consapevolezze o capito qualcosa di nuovo su te stessa?
Catherine è molto sicura di sé, lo si vede per esempio dal modo in cui cammina e sta in piedi, e io da questo punto di vista vorrei un po’ essere come lei. Tendo a chiudermi in me stessa, io, e cerco sempre di essere invisibile, di nascondermi, e ovviamente le persone se ne accorgono, sanno in che modo ti poni nel mondo. Sto cercando di imparare e camminare un po’ più dritta, a testa alta.
Qual è la tua isola felice?
Disneyworld [ride].
Sto scherzando, ma nemmeno troppo: ogni anno facciamo lì una vacanza di famiglia e col tempo ho realizzato che è l’unico momento in cui riesco a sentirmi una bambina, e mi piace sentirmi una bambina ogni volta che posso, cerco sempre di divertirmi. Quando arrivo a Disneyworld, tutte le mie responsabilità svaniscono, e credo sia perché ci vado con la mia famiglia, quindi c’è mio padre e sono gli unici giorni della mia vita adulta in cui la responsabilità è sua.
Poi, il mio fidanzato guida moto, e di tanto in tanto andiamo a farci un giro a Topanga Canyon a LA o in spiaggia, e in quei giorni io mi sento così felice, in moto dietro di lui. Non so se hai mai visto “Grease 2”, ma c’è una canzone che canta Michelle Pfeiffer che si chiama “Cool Rider”, e quando siamo in moto, seduta dietro al mio ragazzo, tenendolo stretto, nella mia testa canto quella canzone e mi sento super felice.
Non molto tempo fa abbiamo fatto un giro in moto e ci siamo fermati a mangiare un gelato in un posticino in cui non ero mai stata prima: c’era un venticello piacevole, e io mangiavo un gelato con praline color arcobaleno, e in quel momento mi sono sentita felice e serena. Credo che la mia isola felice sia dovunque ci sia pace. La mia vita è piena di drammi, e quando decido di fare un passo indietro e non reagire e non lasciarmi coinvolgere, mi sento felice.