Gianna Nannini è un’icona della musica italiana, una figura che ha saputo segnare profondamente il panorama musicale con la sua voce unica e le sue canzoni cariche di energia e passione. Il film “Sei nell’anima”, attualmente disponibile su Netflix, diretto dall’amica di lunga data Cinzia TH Torrini, ripercorre la storia dei primi trent’anni di vita della rocker italiana, dalle sue origini a Siena fino al successo internazionale.
Nei panni di Gianna, Letizia Toni, con una performance attoriale e musicale che restituisce, appunto, l’anima del personaggio in tutte le sue sfumature e che riesce a comunicare tutto quello che c’è da comunicare. In altre parole: la verità e l’integrità di un’icona dei nostri tempi. Con Letizia, scopriamo le varie tappe di un viaggio incredibile, iniziato quando una scelta casuale della canzone da portare al provino ha segnato l’inizio di un legame profondo con il personaggio di Gianna.
Con Letizia, abbiamo parlato del tema del perdono, delle somiglianze tra la vita di Gianna e la sua, dell’ispirazione che ha trovato nell’integrità e nella passione che Gianna mette in ogni cosa che fa. Abbiamo discusso di musica, emotività, di speranze e di paure grandi, e come il cinema ti lasci dentro insegnamenti indelebili e unici.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Il mio primo ricordo legato al cinema risale a quando avevo circa 13 anni e guardavo i film toscani di Nuti. Li guardavo sempre quando tornavo da scuola e grazie a quelli ho capito che avrei voluto fare cinema nella vita. Il mio sogno inizialmente era quello di fare parte proprio dei film di Nuti, quelli scritti da Veronesi, di fare il cinema toscano insomma! [ride] Ero piccola, ancora il cinema non lo capivo davvero, però quei film li imparavo a memoria, come il primo film di Pieraccioni, “Il ciclone”, oppure i primi film con Benigni.
Li amavo al punto da volerne farne parte.
Ho letto che per il ruolo di Gianna Nannini hai fatto le audizioni senza sapere per quale ruolo ti stessi candidando. Hai cantato proprio una canzone di Gianna, però, così, senza sapere nulla. Una bellissima casualità. Qual è stata la tua prima reazione quando hai saputo di aver ottenuto quella parte?
La mia reazione è stata incredulità pura. Pensa che era la prima volta che non mi truccavo per un provino: prima, avevo sempre fatto provini super truccata e preparata, perché avevo il timore di non piacere, perché sai, quando ricevi tanti no, non sai mai come ti devi proporre per ricevere un sì. Per quell’audizione, l’unica cosa che conoscevo era il contesto, ovvero “canzone rock-pop italiana” e poi sapevo di dover recitare un pezzo del film “Closer”. Quel provino, alla fine, l’ho fatto così come sono, con i capelli scompigliati, però, casualità, portavo la frangetta aperta come Gianna a 20 anni. Devo dire che le assomigliavo parecchio. Poi, ho pensato che avrei potuto cantare qualcosa e ho scelto di portare al provino “La differenza” di Gianna Nannini. Era una canzone che in quel periodo canticchiavo continuamente e l’unica tra le rock-pop che ricordavo bene.
Dopo cinque giorni, mi chiamano da Roma e mi comunicano più dettagli sul film e sul personaggio e mi chiedono di fare un secondo provino, a distanza di una settimana. In quella settimana, ho letto due libri e visto un sacco di interviste di Gianna, non dormivo la notte: il provino era mio, il ruolo doveva essere mio.
“Quel provino, alla fine, l’ho fatto così come sono, con i capelli scompigliati, però, casualità, portavo la frangetta aperta come Gianna a 20 anni”.
Quindi, hai trascorso tanto tempo a studiare la figura di Gianna Nannini, imparando i suoi gesti, la sua voce e il suo modo di muoversi. Qual è stata la sfida più grande nell’incarnare questa icona della musica italiana?
La sfida più grande è stata entrare in un meccanismo di verità: non fare la parodia, la caricatura del personaggio, obiettivo che per me era diventata un’ossessione. Ho visto un sacco di biopic su personaggi realmente esistiti in cui non ho sentito l’anima, magari ne ho percepito la confezione ma non l’essenza più autentica, e quindi mi sono detta che io invece dovevo riuscire a trasmettere la verità. Quindi, tra il secondo e il terzo provino, mi sono preparata con l’aiuto del mio acting coach, che è stato fondamentale anche durante le riprese: era il mio metro, mi riportava in asse quando necessario. La mia strategia è stata un po’ cercare di intraprendere un percorso un po’ diverso da quello che forse ci si aspetta, ovvero non partire dalla mia somiglianza estetica con Gianna, ma, piuttosto dalla sua parte più intima e più profonda; sentivo, mentre studiavo la sua autobiografia e guardavo le sue interviste, che il materiale mi lavorava dentro e questo infondeva automaticamente i suoi modi, il suo atteggiamento, dentro di me. Poi, ho chiaramente anche sfruttato e giocato con la somiglianza, le tante cose della sua vita e della mia che coincidono, e ho fatto una sovrapposizione delle nostre personalità, prendendo Letizia e impiantandola nei luoghi, negli spazi e nel vissuto di Gianna.
Ho fatto un lavoro molto profondo a livello psicologico e così, pian piano, è emerso il personaggio anche con le sue caratteristiche esterne: la gestualità, la postura, le mani, il modo in cui tiene il microfono e l’energia che ne deriva, il temperamento, la personalità.
Uno degli elementi più toccanti del film è il tema del perdono e della riconciliazione, soprattutto tra Gianna e suo padre. Come hai approcciato la rappresentazione di questo viaggio emotivo e di crescita dei personaggi?
Nel corso del film, Gianna cambia molto. All’inizio domina un rapporto molto conflittuale con il padre, che ho subito compreso, perché l’ho vissuto anche io con mio padre, più o meno per gli stessi motivi. So bene che dentro di te, quando ti manca il riconoscimento da parte della famiglia, quando senti di non essere stimata dalle persone che più ami e che ricoprono un ruolo importante nella tua quotidianità, è come se ti mancasse un tassello, un pezzetto, qualcosa dentro che ti mangia, che ti dà noia. Reagisci, dunque, provando un desiderio di rivalsa, della serie, “Ora vi faccio vedere io quanto valgo”. Il padre di Gianna, fino agli anni ’80, non ha apprezzato e compreso il lavoro di Gianna, anzi, ne era scandalizzato, perché apparteneva ad un’altra generazione e non capiva perché Gianna avesse questa così forte esigenza di libertà. Insomma, Gianna se ne andava in Germania, non aveva paura di “sconfinare” in nessun senso, e questa sua apertura mentale entrava in collisione con la mentalità chiusa tipica della provincia, della città di Siena, come anche della mia Pistoia e la realtà in cui sono cresciuti i miei genitori. Il fatto di non essere mai “accettata”, prima dalla famiglia e poi dal sistema, e di doversi sempre omologare, in un certo senso, a quello che volevano gli altri, ad un certo punto ha causato, dentro Gianna, una frattura: non si riconosce più, va in tilt, in crisi di identità.
“Ora vi faccio vedere io quanto valgo”
È quella parte del film in cui fa l’audizione per Sanremo, giusto? Quando gli stylist le dicono come deve vestirsi e farsi i capelli e gli autori le dicono che i testi glieli avrebbero scritti loro… E lei non ci vede più.
Esatto, per lei era inaccettabile! Quindi questo, in aggiunta al rapporto conflittuale con il padre, col tempo la mangia dentro e le causa una crisi psicologica fortissima, che io però non definirei “follia”, perché la follia è tutt’altra cosa. Ciò di cui ha sofferto Gianna ha a che fare con altri meccanismi, è stato un vero e proprio esaurimento psicofisico che può diventare grave al punto da causare episodi allucinatori.
Gianna alla fine supera questa fase di crisi anche grazie anche alla vicinanza di Carla: con l’amore, ma anche con il sostegno della madre, si salva. Gianna, così, riprende la sua strada nella musica, e il successo arriva. Da quel momento in poi, rientra in contatto con sé stessa e questo l’aiuta a imporsi nel sistema musicale e discografico con la sua identità, per sempre. A quel punto, anche il padre arriva ad accettare questa nuova realtà, non potendo negare il successo che sua figlia stava avendo.
Il ricongiungimento finale tra Gianna e suo padre è anche un ricongiungimento di Gianna con sé stessa, con la sua identità e con le sue radici: insomma, con ciò che più le appartiene.
Quali elementi del mondo di Gianna, della sua personalità, delle sue motivazioni profonde hai trovato più stimolanti da esplorare?
Il suo senso di integrità che, nonostante la battuta d’arresto che ha avuto in quegli anni di crisi, ha sempre mantenuto. Mi rendo conto di quanto sia difficile, per me che faccio l’attrice, ma penso per chiunque, imporre la propria personalità e non compromettersi. Però, se resti autentico, vivi bene tutto quello che ti circonda: l’autenticità viene sempre apprezzata. La verità che Gianna esprime ed emana con i suoi testi, ma anche personalmente, credo sia impagabile: non c’è niente di più bello che avere a che fare con una persona così, vera in modo spiazzante.
La musica di Gianna ha un impatto profondo sulla sua vita e sul pubblico. Come ti sei preparata per le performance musicali nel film?
Tanti anni fa, ho preso lezioni di canto per “educare” la mia voce, perché mi piaceva cantare ma ero troppo timida. All’inizio, il mio problema era che non gestivo bene il respiro, quindi con le lezioni di canto ho imparato a respirare meglio e ad esprimermi bene a livello vocale, a esprimere le emozioni con il suono giusto. Il mio obiettivo, però, non era quello di diventare una cantante, semplicemente mi piaceva cantare, lo facevo sotto la doccia. Per questo film, all’inizio io non dovevo cantare, dovevo essere doppiata dalla voce di Gianna; però, è successo che quando l’ho incontrata, cinque mesi prima dell’inizio delle riprese, nello studio di registrazione di casa sua mi ha chiesto di cantare un po’. Io ero imbarazzata, e così lei mi ha detto: “Canta la canzone del provino, quella l’hai già cantata, no?”. Allora io l’ho cantata e lei mi ha fatto notare dove sbagliavo con la respirazione, spiegandomi qual è, invece, la sua tecnica. Gianna ha una respirazione molto particolare, si capisce anche guardandola, una respirazione profonda con una spinta che parte dal bacino. Per questo la sua voce è così potente anche senza microfono. Quel giorno, ci siamo esercitate molto, ho provato a cantare seguendo i suoi consigli, e alla fine lei mi ha detto: “Ma perché non canti te? Sei uguale!”. Mi ha dato tanto coraggio, è sempre così ottimista.
Con l’aiuto di una coach di canto bravissima, Elisabetta Tulli, consigliata da Luca Ward, ho iniziato a registrare canzoni e mandarle a Gianna. Siamo andate poi a registrare i pezzi a Berlino da un suo ingegnere del suono, che ha microfoni fantastici che prendono tutte le frequenze. Alla fine, nel film, la mia voce ogni tanto si trasforma nella sua, c’è un bel mix.
Con questo lavoro, col contatto con gli strumenti, imparando un po’ a suonare il pianoforte, sono entrata ancora più dentro il personaggio, perché Gianna è la sua musica.
Hai avuto modo di interagire con altre persone della sua vita durante la preparazione per il ruolo? Come hanno influenzato la tua interpretazione?
Sì, ho conosciuto Carla, la sua bambina… Quando ho visto Carla per la prima volta, è stato davvero strano, mi è venuto da piangere. A tavola, mentre parlava, avevo il magone al pensiero che lei è la persona della vita di Gianna. La guardavo e mi vergognavo, perché avevo passato mesi e mesi a immaginarla e a innamorarmi di lei. È stato bellissimo ed emozionante conoscerla dal vivo.
Gianna, come dicevamo, si rifiuta sin dall’inizio di piegarsi alle volontà, alle regole, alla dittatura e al canone del mondo dello spettacolo, per restare autentica e fedele ai suoi principi e alla sua personalità. Tu che ne pensi di questo atteggiamento, della voglia di uscire dal coro, dei compromessi?
Questo film mi ha fatto cambiare tanto da questo punto di vista. Prima, vivevo nell’incertezza, non sapevo bene come dovevo essere. Certo, non ho mai ceduto a compromessi per cambiare la mia personalità: piuttosto, sono troppo buona e mi faccio prendere in giro. Ho vissuto, però, un momento di crisi prima di questo ruolo, perché avevo ricevuto un sacco di no, facevo cose che non mi piacevano pensando che fosse necessario per arrivare da qualche parte. Non ho mai cambiato la mia personalità, ma a volte ho accettato cose che non mi andavano bene. Con questo film, recuperando la mia infanzia, facendo un lavoro psicologico, ho recuperato la vera me. Mi sono resa conto che prima ero un po’ troppo “come piace agli altri”, ma la vera Letizia è un’altra, quella che ho ritrovato dopo questa esperienza, la ragazzina di 13 anni che guardava i film di Nuti.
“Con questo film, recuperando la mia infanzia, facendo un lavoro psicologico, ho recuperato la vera me”.
Cosa ti ha lasciato Gianna?
Gianna mi ha lasciato un senso di umanità e spontaneità che ora metto in tutto quello che faccio, con tutte le persone che incontro. Mi ha trasmesso un modo di approcciare le cose fondato sulla profondità, perché lei è maniacale sul suo lavoro e vedere come lo fa, standoci molto a contatto, ho capito che lavoro immane ci sia dietro il successo. Ho capito che c’è tanto dolore e c’è tanta fatica, perché per fare questo mestiere, ci si deve allontanare inevitabilmente dalle persone che si amano, ci si deve isolare.
Io cercherò di imitare questo suo atteggiamento nei miei lavori futuri.
C’è un aspetto del processo di recitazione o della vita sul set che spesso viene sottovalutato o non riconosciuto dal pubblico, ma che tu consideri fondamentale o significativo?
Per chi non ne fa parte, è difficile immaginare tutto quello che c’è dietro i film. Il cinema è una macchina pazzesca, il set di un film è Marte. Basti pensare a tutte le persone che ci lavorano, il nervosismo sul set, i tempi stretti, i soldi che si spendono, le attese… non è mai tutto rose e fiori, è un lavoro pesante. Per me non è mai stato un problema, io voglio soffrire [ride], ma le persone non lo sanno che funziona così. Chiaramente, quello che lo spettatore vede è la sublimazione del lavoro, ma non si immagina cosa c’è dietro. Pensa che, dieci giorni prima delle riprese, io mi ero riempita di bolle da stress e mi è andata via la voce per un mese!
Hai una routine o un rituale che segui prima di iniziare a girare una scena particolarmente impegnativa o emotiva?
Le scene le preparo molto prima di girare, soprattutto se sono cariche emotivamente. Trovo elementi ai quali attaccarmi da riportare poi davanti alla camera attraverso un meccanismo mentale che mi consenta di collegarmi anche all’emotività del personaggio, attraverso un’operazione di “recupero”. Per questo film, mi sono agganciata ai pensieri e al passato del personaggio, che poi, come dicevamo, ha molti elementi in comune con il mio!
Poi, è fondamentale per me, prima di girare, stare in silenzio assoluto. Molti, al contrario, ascoltano musica, ma io lo faccio solo se intorno a me ho gente che parla, per cercare di isolarmi e concentrarmi.
“Le scene le preparo molto prima di girare, soprattutto se sono cariche emotivamente”.
Il tuo must-have sul set?
Avevo un braccialetto che dovevo portarmi sempre dietro, ma avevo paura che me lo rubassero, quindi sul set ero costantemente in ansia [ride].
Fondamentali anche gli integratori, perché ho paura di perdere le energie! Sul set di “Sei nell’anima”, una volta, ho preso un miscuglio che conteneva anche un sacco di caffeina, e mi è partita una tachicardia spaventosa, quindi da quel momento ho deciso di andarci piano con le vitamine [ride].
Qual è la tua più grande paura?
Non essere apprezzata come attrice. Prima che uscisse questo film, avevo molta paura che non passasse la verità e l’emotività che ci tenevo a trasmettere. È il mio primo ruolo da protagonista e io sono sempre molto negativa, ma in questi giorni ricevere tanti complimenti e sapere che il film sta piacendo, e anche la mia interpretazione, mi rende felice e mi fa sentire sollevata.
Quando, invece, ti senti più al sicuro? E quando ti senti più sicura di te?
Non ci ho mai pensato…
Mi sento al sicuro quando ho padronanza di quello che sto facendo, quando vedo e sento che sto andando nella direzione giusta.
Se sono appagata dal mio lavoro perché riesco a comunicare quello che voglio far arrivare alle persone, è la soddisfazione più grande e mi sento e sicura di me.
Il tuo più grande atto di ribellione?
Sono scappata di casa una volta, ho fatto un casino. Mi sono nascosta dai miei perché non accettavano in nessun modo che facessi recitazione. Io avevo un disegno in testa e se qualcuno ci si metteva in mezzo io impazzivo. Sono fuggita a Roma quando i miei non volevano, seppur soffrendo come una bestia, perché io sono super legata alla mia famiglia.
“quando vedo che sto andando nella direzione giusta”
L’attuale top 3 della tua playlist?
Gianna l’ho sempre ascoltato tanto, anche quando lavoravo dai miei, mettevo i suoi album in radio con Spotify, ma la ascoltavo anche da piccola, “Meravigliosa creatura” era tra i miei ascolti principali sull’iPod quando avevo 13 anni, e nessuno dei miei amici voleva ascoltare le canzoni dal mio iPod perché avevo musica “da vecchi” [ride]. In questo momento, comunque, la mia top 3 include: “Natural Woman” di Aretha Franklin, la mia canzone preferita, qualsiasi cosa di Pino Daniele, e Janice Joplin, che anche Gianna adora.
La canzone che descrive questo preciso momento della tua vita?
Ultimamente mi sono fissata con una canzone di Zucchero, “Come il sole all’improvviso”. Direi quella.
In una scena del film, Gianna si ritrova a rispondere a una domanda: “che cos’è per te la felicità?”. Lei risponde: “una stanza con un pianoforte, un bicchiere di vino e una moto parcheggiata fuori…”. Tu cosa risponderesti?
Nello stesso modo! Una stanza da qualche parte e un film da preparare. Col vino, perché aiuta [ride].
Cosa significa, per te, sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Per me è provare un senso di libertà, accettarsi con pregi e difetti, sentirsi risolti. Obiettivo difficilissimo da raggiungere, ma accettare il proprio modo di essere è fondamentale, anche perché è inutile cercare di omologarsi agli altri. La chiave, secondo me, è l’unicità.
Qual è la tua isola felice?
Il treno [ride].
In realtà, per ora un’isola felice non ce l’ho ancora, ma il mio obiettivo è trovarla entro 10 anni, costruirmi un posto dove crearmi una famiglia, una stabilità, trovare un senso di pace che riesca a tenermi ferma in un punto. Poi, chissà, magari non ce l’avrò mai, magari ho bisogno di stare in più posti e non in uno solo! Vedremo.
Photos & Video by Johnny Carrano.
Makeup & Hair by Micaela Ingrassia.
Styling by Sara Castelli Gattinara.
Assistant styling Ginevra Cipolloni.
Thanks to Other srl.
LOOK 1
Dress: Calvin Klein
Earring: Giulia Dominici
LOOK 2
Total Look: Dolce&Gabbana
LOOK 3
Jacket and Pants: Michael Kors
Shoes: Sergio Rossi
Rings: Federica Tosi