Geometria e simmetria, in natura come nel corpo umano, si manifestano per equilibrare e perfezionare tutto ciò che altrimenti sarebbe caos. Per questo, nulla accade per caso, o meglio, tutto è collegato: un battito di ali di farfalla ha conseguenze anche dall’altra parte del mondo.
Ecco la storia di “Eye Two Times Mouth”, il cortometraggio di chiusura della 25esima edizione delle Miu Miu Women’s Tales: ci si può reinventare, se lo si vuole, e c’è sempre tempo per sbocciare, se si sogna in grande. È questo il bello dell’arte, “che quando muori dalla voglia di dire qualcosa, a prescindere da tutto e tutti, alla fine la dici. Ci vuole molto coraggio”. Lila Avilés di coraggio ne ha parecchio, tanto quanto di iniziativa, esperienza, e soprattutto versatilità: nel cinema, ha tastato tutti i terreni, dal trucco ai costumi, dal casting alla produzione, ed ora è dietro la macchina da presa, a raccontare il mondo del teatro e dell’Opera da una prospettiva inedita.
D’altra parte, l’obiettivo di Miu Miu Women’s Tales è proprio lasciare carta bianca alle registe di oggi per incoraggiare le registe di domani a tirar fuori la voce, da ogni angolo del mondo, per raccontarlo così come lo vedono i loro occhi, quel mondo. Così che a nessuna, come dice Lila, venga mai più domandato “Ma un regista donna come dev’essere?”.
Quest’anno, il cortometraggio conclusivo delle Miu Miu Women’s Tales sarà il tuo “Eye Two Times Mouth”: com’è stato per te partecipare a questo progetto e cosa vorresti comunicare attraverso questa piattaforma?
Quando mi è stato proposto di partecipare, mi sono sentita super felice e onorata. Il cinema, sai, è fatto di alti e bassi e io, in quanto regista, penso che per fare cinema ci sia bisogno di tanto entusiasmo. Per esempio, ho avuto l’opportunità di conoscere Agnès Varda a Marrakesh poco prima che morisse: aveva 80 anni ed era super vitale, non faceva altro che ripetermi, “Voglio continuare a lavorare!” [ride]. È quello il tipo di regista che voglio essere, non voglio fermarmi e voglio essere viva.
Tra le Miu Miu Tales che ho visto, ci sono quelli di Agnès Varda, Lucrecia Martel, Mati Diop, Lynne Ramsay, Alice Rohrwacher, Carla Simón, e le loro sono tutte delle storie bellissime, intime. La cosa speciale è che le Miu Miu Women’s Tales danno a ogni regista la libertà di fare quello che vogliono, ed è questo il bello, che puoi dar vita a tutto quello che hai nel cuore e nel cervello.
Quali sono state le sfide principali che hai dovuto affrontare per realizzare questo progetto?
Principalmente, il poco tempo che avevo, perché è successo tutto così in fretta [ride]. Ma è questo il potere della creatività ed è stupendo perché, ovviamente, avevo un sacco di cose da fare per sviluppare ciò che avevo in mente, ma è il bello del cinema, che si lavora in squadra e vada come vada, insieme ce la si fa!
Per me le persone sono fondamentali – io sono quel tipo di regista pazzerella che ci tiene tanto ad occuparsi anche dei casting [ride]. Per “Eye Two Times Mouth” è stato estenuante trovare la protagonista perfetta; io vengo dal teatro, e per molto tempo ho lavorato nell’Opera e so bene che non è facile trovare un cantante che sappia anche recitare bene, quindi è stata dura trovare Akemi [Endo], che era così naturale in quello che faceva; io ci tengo tanto alle parole e sono anche molto puntigliosa sulla questione degli accenti e degli slang, che siano sempre accurati, e Akemi parlava un messicano perfetto, era molto naturale, appunto. Quando trovi le persone giuste, è allora che tutto diventa vero e vivo.
Insomma, non so come, ma ce l’ho fatta! [ride] Credo sia questo il bello dell’arte, che quando muori dalla voglia di dire qualcosa, a prescindere da tutto e tutti, alla fine la dici. Ci vuole molto coraggio.
“Quando trovi le persone giuste, è allora che tutto diventa vero e vivo”.
Certo, secondo me quello del filmmaker è uno dei mestieri più coraggiosi che ci siano.
“L’effetto farfalla” a cui si accenna nel film è un concetto che mi ha sempre affascinata, l’idea che il solo battito delle ali di una farfalla possa cambiare qualcosa dall’altra parte del mondo; sei mai stata testimone di questo fenomeno?
Sai, io ho dei quaderni in cui prendo appunti che leggo e modifico in continuazione, quindi il film cambia mentre lo stai girando, e credo sia una cosa molto potente. Tuttavia, ci sono sempre delle frasi o parole chiave che in qualche modo ti riconducono “all’origine”, e il bello dell’effetto farfalla è che significa che tutto è collegato e quindi bisogna avere rispetto di ogni cosa e persona. Ora come ora, in quanto esseri umani, dovremmo tutti sapere che ogni cosa può cambiare, che tutto è fragile, e invece non abbiamo rispetto per niente; credo che dovremmo impegnarci per ripristinare una mentalità improntata al rispetto, per la natura, per le persone, o per qualsiasi cosa abbiamo davanti, o anche per ciò che non esattamente sotto il nostro naso, anche se si trova in un’altra galassia. Ovviamente, non possiamo vivere ossessionandoci con questo pensiero, ma penso sia importante avere un certo buonsenso. È così bello quando leggi, ascolti o vedi qualcosa e quel qualcosa ti fa pensare, “Voglio farci un film” e non sapere cosa potrebbe succedere dopo, magari qualcuno in qualche università da qualche parte del mondo scriverà una tesi proprio sul tuo lavoro! È questo il bello delle connessioni.
Inoltre, tornando al discorso sull’Opera, credo che la musica sia ciò che di più misterioso esiste al mondo, è qualcosa che tutti possono sentire dentro, ascoltare, e quando canti, entri in connessione con quello che stai cantando e con le persone che ti ascoltano. Poi, l’Opera nella maggior parte dei casi racconta eventi tragici, quindi l’argomento non è dei più allegri se si estrapolano i testi, per esempio, ma ciò che rende l’Opera meravigliosa è la musica.
Erotismo, alte aspettative, femminilità e fiducia in sé stessi sono alcuni tra i temi affrontati nel tuo corto. Di questi argomenti e delle domande che lascia senza risposta, quali ti stanno più a cuore? A quali hai trovato delle risposte?
Amo il mistero che si cela dietro ogni persona, quel famoso “chissà” che ti pervade quando sali in metro, o mentre cammini e ti soffermi su qualcuno seduto in qualche angolo. Si può giocare un sacco con la percezione, forse perché siamo esseri sociali e, a volte, crediamo troppo negli stereotipi; a me invece piace dimenticarmi delle etichette e chiedermi, “E se…?”, ed è una bella cosa! Per esempio, quando visito un museo, adoro osservare le guardie museali, a volte nemmeno guardo le opere d’arte perché sono troppo distratta da loro! [ride]
Sono ossessionata dalle persone, adoro le persone.
Per me è bellissimo che Luz, la protagonista del corto, fosse circondata da arte ogni giorno, oltre al fatto che lei, in quanto cantante, l’arte ce l’ha dentro di sé, nella casa che è il suo corpo, nel suo tempio. Il bello del cantare, come attività, è che per farlo devi trovare la tua voce, sia nel senso di raggiungere le note giuste, sia nel senso di scavare in fondo alla tua anima per trovare la tua “vibración”. Ognuno di noi ha bisogno di trovare la propria voce: se ti piace scrivere o dipingere o qualunque sia la tua passione, è fondamentale trovare la tua vocazione, una ricerca da cui credo che le nuove generazioni siano ossessionate. Dobbiamo riscaldare la voce e poi lanciarla nel mondo, ecco come la penso io.
Inoltre, tra le mie parti preferite di questo corto c’è proprio la questione della percezione: nell’Opera, così come nello sport, il rapporto tra allievo e maestro è molto solido, così come lo è il rapporto tra Luz e il suo insegnante, nonostante lui abbia una percezione diversa del mondo. Secondo me, ciò che conta davvero in ogni singolo percorso è il processo, e non la meta finale.
“La tua bocca è il doppio del tuo occhio, il tuo viso è il triplo del tuo orecchio”: la ricerca della simmetria e della perfezione geometrica è una questione che ti colpisce in maniera particolare?
Sì, profondamente. Tornando alla natura e alle farfalle, e pensando a noi uomini e donne come ad animali, perché a volte ci dimentichiamo che siamo animali, ogni giorno siamo fuori nel mondo e sarebbe bello se riuscissimo di nuovo ad ascoltare, guardare, osservare, sentire, per davvero, e a ricordare ogni giorno una cosa fondamentale: che siamo parte di un grande cerchio e dovremmo comportarci in maniera più rispettosa. Secondo me, la geometria è ovunque, è nella musica, è perfino in un tavolo, ed è qualcosa di spirituale più che di biologico, perché non siamo perfetti, ma allo stesso tempo lo siamo, e ognuno di noi è unico. Credo sia un concetto bellissimo.
Nei corti di Miu Miu Women’s Tales, gli abiti sono un elemento fondamentale della narrazione, la arricchiscono e diventano personaggi tanto quanto le persone. Nel tuo film, i costumi li hai scelti personalmente? Sono stati un modo per enfatizzare qualche aspetto della storia?
Sì! Qui i costumi li ho scelti personalmente anche perché la cosa meravigliosa delle Miu Miu Tales è che abbiamo libertà totale anche nella scelta degli abiti. Quindi, ho scelto i miei colori preferiti, i verdi e i marroni, in abiti della collezione Primavera/Estate. Tuttavia, io sono quel tipo di regista a cui in realtà non piace quando i vestiti oscurano le persone e diventano protagonisti al posto loro, ma resta il fatto che mi piace molto dare ai costumi un ruolo di rilievo.
“Non siamo perfetti, ma allo stesso tempo lo siamo”
Miu Miu Women’s Tales è una piattaforma pensata per innescare conversazioni e dibattiti: di quale argomento vorresti che si iniziasse a parlare?
Sin dal mio primo film, a prescindere da in quale parte del pianeta io sia, mi sono sempre ritrovata a dover rispondere ad una domanda in particolare: “Ma un regista donna come dev’essere?”. A volte, odio quella domanda, ma ovviamente so che viviamo in un momento storico in cui è necessario insistere sull’argomento così che alle registe del futuro quella domanda non venga più fatta. Credo anche che ora sia un periodo positivo per le registe, perché sempre più donne nel campo stanno guadagnando visibilità, quindi le Miu Miu Women’s Tales sono un’ottima iniziativa anche se pensiamo alle scuole di cinema, ai fondi, ai nuovi talenti che ci sono da scoprire. Sai, forse per ragioni culturali o religiose le donne spesso tendono a tenere la testa bassa e restare nell’ombra, ma penso sia l’ora che tiriamo fuori la voce e che ci rendiamo tutti quanti conto dei diversi tipi di approccio al cinema che le registe possono avere, per esempio. Dobbiamo uscire dalla gabbia. Per quanto mi riguarda, ciò che adoro dell’essere una regista e ciò che mi fa sentire potente è che il mio lavoro parla al posto mio, quindi potrei anche avere una scatola in testa, e così nessuno saprebbe mai il mio genere, è il mio lavoro che conta.
È bello anche poter parlare di argomenti diversi, e non solo essere donne che parlano di altre donne: portare sul campo varie tematiche e giocatori, come i bambini o persone di culture diverse o di età diverse.
Immagino che attori o registi, quando fanno un film, entrino in contatto con parti di loro che magari prima non conoscevano, perché hanno modo di auto-analizzarsi attraverso quello che fanno. Qual è l’ultima cosa che hai scoperto su te stessa anche grazie al tuo lavoro?
Il cinema mi ha dato tutto. Sono incredibilmente grata a quest’arte. Ho ricoperto vari ruoli in questo campo, sono stata un’attrice, ho lavorato nel dipartimento del trucco e dei costumi, in produzione, sono stata un’assistente alla regia, e in ogni situazione ho cercato di dare il meglio di me e di portare rispetto, perché ogni singolo settore ha la propria importanza. Tuttavia, ho la sensazione di aver bisogno di qualcosa di diverso per essere Lila, e non è una questione di potere, non è perché essere alla regia ti dà alcun tipo di “potere” particolare, parlo del posto in cui mi sento più a mio agio. Per me, il bello dell’essere così profondamente coinvolta in ogni film che faccio è proprio il fatto che posso scavare così a fondo dentro me stessa che non ho bisogno della psicoterapia [ride]
Ad ogni ragazza e ragazzo che sognano di fare cinema, direi: “Sì, lasciatevi andare e provate a raccontare quello che avete dentro!”.
Il tuo secondo lungometraggio, “Totem”, uscirà questo 2023. Hai voglia di raccontarci qualcosa?
Sai come si dice a teatro, che se il tuo primo lavoro ha successo, il secondo sarà un fiasco… [ride] Oppure, parlando con alcuni amici filmmaker, loro dicono sempre: “Col secondo è difficile”. Ma per quanto mi riguarda, non importa a che numero sia, io i film continuo a farli! Più ne fai, più meraviglioso sarà realizzare che stai lavorando nel cinema, quindi non importa fare meglio ogni volta.
“Totem” è una storia che nasce da una parte molto profonda di me: negli ultimi tempi sono molto nostalgica, infatti immagino che presto sarà tutto una montagna russa [ride]. È il potere che deriva dal privilegio di fare il lavoro che amiamo.
Thanks to Miu Miu.