Frammenti che si fanno ricordi, incontri di energie vitali, ricerche di uno sguardo personale: Lucrezia Guidone vive alla scoperta e in nome di tutti questi valori, personificandoli e facendosi veicolo di messaggi essenziali, un po’ come le sue amate Statue Parlanti.
La nostra Cover di giugno, protagonista di due serie tv Netflix Original – la seconda e terza stagione di “Summertime”, e “Fedeltà”, tratta dal romanzo omonimo di Marco Missiroli – Lucrezia ci ha raccontato la sua esperienza su due set ben diversi, ma accomunati da un’aria di ritorno alla vita, e dalla bellezza del trovarsi e ritrovarsi, e condividere le emozioni e le difficoltà della recitazione.
Nei panni di una giovane madre single, o di una donna in crisi matrimoniale, Lucrezia non ha paura di buttarsi nella mischia, certa che la chiave per il successo, nella carriera e nella vita, sia un giusto equilibrio tra metodicità e spericolatezza, alla ricerca del percorso che sia il più aderente possibile ai propri principi e desideri.
Perché se salti, “la rete apparirà”.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Il primo ricordo è quasi embrionale, fatto di frammenti. È la maniglia verde dell’entrata nella sala in centro della mia città, le luci riflesse che si muovono sui volti degli spettatori, il volume alto che fa vibrare il petto, Mastroianni e Sophia Loren.
Il ricordo più consapevole invece è legato alla prima volta che sono andata al Festival del cinema di Venezia da ragazzina. Ero ospite di mia zia a Padova e dopo settimane di pressioni ho convinto i miei genitori a lasciarmi andare con un’amica. Emozionantissime abbiamo preso il treno per Venezia e una volta visto il film, anziché filare in stazione come promesso, ci siamo perse nella magia del momento… E abbiamo perso anche l’ultimo treno. Il cinema mi ha sempre restituito una vibrazione fortissima ma imprendibile. Una sensazione alcolica, stupefacente. Mentre ci penso ora mi torna anche in mente un film in bianco e nero che guardavo con la mia bisnonna. Mi torna in mente che la mia bisnonna mi ha fatto guardare tantissimi film con lei, tutti in bianco e nero.
Quindi il mio primo ricordo, forse, sono dei frammenti alcolici di una bisnonna stupefacente che mi faceva vedere dei film in bianco e nero in un cinema pescarese mentre sognavo di andare a Venezia come Mastroianni e la Loren.
Sei tra protagonisti della serie “Summertime”, di Francesco Lagi e Lorenzo Sportiello, con la terza stagione ora disponibile su Netflix. Com’è stata la tua esperienza sul set e che tipo di confronto hai avuto con il resto del cast?
Il set di “Summertime” è stato il primo dopo il lockdown e sono tornata a scoprire le cose che mi facevano felice dopo un momento tanto strano e scioccante. Forse anche per questo sono nate delle amicizie così belle, che ci portiamo dietro ancora oggi fuori dal set. Forse ci ha fatto bene quella vulnerabilità iniziale, il riprendere le misure con tutto e tutti ha alzato il volume delle affinità secondo me.
Entrare nel cast di una serie già avviata può non essere facile ma con loro mi sono sentita accolta fin dal primissimo giorno. Nella seconda stagione ho girato quasi solo ed esclusivamente con Andrea Lattanzi, mentre nella terza ho potuto condividere il set anche con altri e sicuramente questo mi ha dato l’occasione di solidificare alcuni rapporti che non avevo avuto tempo di approfondire. Entrare a far parte di questa serie è stato bello anche perché ho avuto modo di confrontarmi con energie e personalità così varie per età, carattere e per esperienze di vita. E poi credo che girare a Marina di Ravenna, dove eravamo quasi tutti fuorisede, ci abbia permesso di vivere il gruppo molto più intensamente, quasi come una grande famiglia.
Grandi spaghettate la sera a casa.
Il tuo personaggio, Rita, è una madre single che irrompe nella vita degli altri personaggi, e di uno in particolare, Dario (Andrea Lattanzi), con una forza stravolgente per loro tanto quanto per lei stessa. Come l’hai costruito pezzo per pezzo, episodio dopo episodio, e come hai lavorato con Andrea sul rapporto tra Dario e Rita?
Nella seconda stagione ho cercato di lavorare sulla corazza, ho provato a tendere la corda della resistenza e poi ho lasciato andare. Rita si presenta come una giovane madre single che porta sulle spalle delle responsabilità, una donna che negli anni ha imparato a risolversi da sola e forse per questo fatica a far entrare Dario nella sua vita. All’inizio Rita è solida nel suo equilibrio, poi fa qualche passo ma si blocca, traballa ma alla fine capisce che vivere in difesa non fa bene a nessuno e allora meglio lasciarsi andare e come spesso accade nella vita…buttarsi fa bene. Infatti nella terza stagione sono partita al contrario, mettendo in campo per il personaggio un’isola felice dove poi insinuare dei punti di rottura e confusione. Tutto questo la porterà a mettersi in gioco e prendere delle decisioni importanti per sé stessa e per Dario.
Con Andrea abbiamo cercato di lavorare sull’evoluzione del loro rapporto rendendolo si più solido e stabile ma non spento.
“…come spesso accade nella vita…buttarsi fa bene”.
Hai scoperto qualcosa di nuovo su te stessa interpretando questo personaggio? Quanto c’è di te in lei?
Ho provato a mettermi nei panni di una madre che mette i bisogni di suo figlio in primo piano e cresce insieme a lui, che ogni tanto le indica la strada. Nei personaggi che faccio c’è sempre qualcosa di me, solo che è declinato in vite parallele e con modalità diverse magari. Io ho una madre giovane e anche noi siamo maturate insieme per certi aspetti. Mentre costruivo Rita mi sono trovata all’improvviso a immaginare i dubbi di mia madre nel ricostruire il suo equilibrio dopo la separazione da mio padre per esempio. Mi sono sintonizzata su delle frequenze inaspettate, forse ho capito delle cose. Mi piace andare per associazioni, seguire il flusso e vedere dove mi porta. Nel tempo ho trovato dei pezzetti interessanti di me, inaspettatamente. Quando credevo di vedere un’aderenza ho scoperto grande distanza e, al contrario, quando mi sentivo di dover fare più strada per raggiungere un personaggio, alla fine me lo sono scoperto addosso.
Forse perché faccio fatica a definirmi, non mi va. Preferisco pensarmi mutevole.
La scena più divertente e quella più complicata di questa terza stagione?
In tutte le scene con Thony ci siamo divertite molto, siamo amiche anche nella vita ed è stato bellissimo girare con lei. Senza scendere nei dettagli le scene più complicate sono state quelle che riguardano dei momenti emotivamente più densi nel rapporto con Dario.
Come descriveresti “Summertime 3” con una sola parola?
Crescita.
Il personaggio che interpreti in “Fedeltà”, la serie Netflix tratta dal romanzo omonimo di Missiroli, è sotto molti aspetti molto diversa da Rita, ma le due hanno forse in comune una quotidianità piena di dubbi e sfide: che approccio hai adottato nella preparazione di questo personaggio? Sei metodica nella creazione di un personaggio o è la “storia” che guida il tuo approccio?
Sono metodica nell’analisi, nell’approfondimento e nella ricerca che metto in moto per entrare nella storia o in connessione con i personaggi. Per preparare “Fedeltà” mi sono concessa un periodo subacqueo nel romanzo, per assorbire bene le energie delle relazioni. Adoro lavorare a progetti che partono da romanzi, mi è successo diverse volte e sono stati processi di lavoro sempre densi e nutrienti. Mi piace lavorare con una timeline del personaggio nella storia. La creo sempre perché mi aiuta nella continuità sul set e soprattutto quando ho a che fare con la serialità dove le scene sono tantissime, si rivela uno strumento utilissimo che mi fa orientare meglio.
Ho fatto un sacco di altre cose per Margherita. Il processo può essere interessante, ma alcune zone devono restare segrete secondo me, e poi quello che conta è dimenticare tutto e vedere cosa succede nel momento del set. Se la preparazione chiude in uno schema, non è una buona preparazione per me.
Quanto è importante, per te, essere fedeli, anche a sé stessi?
Molto. È la cosa più importante. Non riesco a offrire niente di buono all’altro se non sono in aderenza con me. Mi riferisco a ogni tipo di rapporto, umano e professionale. Non parlo solo dell’amore. Non bisogna avere paura dei desideri, altrimenti il rischio è quello di vivere la vita e le relazioni con delle maschere sulla faccia. E questo credo succeda sempre, ma se la maschera arriva a distruggere chi c’è sotto non va bene. Questo può avvenire in nome di una coppia, per il successo, per tante cose. Va trovato un equilibrio, non è facile.
Parlare aiuta.
“Non bisogna avere paura dei desideri, altrimenti il rischio è quello di vivere la vita e le relazioni con delle maschere sulla faccia”.
Cosa ti fa dire di sì ad un progetto e cosa, invece, ti fa dire di no?
Ti direi l’istinto. Ma non solo.
Nel tempo ho costruito un rapporto di fiducia con i miei agenti, ci confrontiamo e ci ascoltiamo molto. Devo dire loro dei grandi grazie per avermi consigliata su dei rifiuti importanti, che mi hanno dato la possibilità di fare dei passi che magari mi sarei preclusa. In questo l’agenzia giusta può contare tanto, perché non si tratta solo di trovarti il provino. L’agente che sa fare il suo lavoro guarda avanti, ha una visione e lotta per realizzarla insieme a te. Per fare questo deve imparare a conoscere chi ha davanti e noi dobbiamo aprirci, mettere meno filtri in campo. In alcuni momenti si accettano anche dei lavori che nel nostro ideale di carriera non sono ai primi posti, va benissimo.
Ci vuole pazienza, tenacia e visione. Però bisogna capire anche qual è il percorso che desideriamo e perché lo desideriamo. È importaste capire questo, tenerlo bene a mente e se ci sono delle deviazioni fa parte del gioco. L’importante è non dimenticare dove vogliamo andare, quello è un motore che deve restare acceso e vibrare sempre e pazientemente. Sia per gli attori che per gli agenti.
Il primo VHS/dvd che ricordi di aver comprato?
Il primo VHS ero piccolissima e credo sia stato “Pomi d’ottone e manici di scopa” di Robert Stevenson non sono sicura. Il primo DVD forse era una in una raccolta in edicola di tutti i film di Totò.
Il tuo ultimo binge-watch?
“Too old to die young” di Nicolas Winding Refn.
Un personaggio realmente esistito che ti piacerebbe interpretare?
Leonarda Cianciulli.
Tre canzoni di un’ipotetica playlist che rappresenta questa fase della tua vita?
Questa è difficile…proviamo con:
1. Concerto No.2 in CMinor, Op.18 di Sergey Rachmaninoff, per lo struggimento esagerato e tempestoso dell’anima romantica che è in me;
2. “Acida” dei Prozac, per il caos acido e gioioso;
3. “Je te laisserai des mots” di Patrick Watson, perché è l’amore.
Qual è stato l’incontro professionale più significativo della tua carriera, finora?
Luca Ronconi. Mi ha lasciato il bisogno di ricercare uno sguardo personale, l’allergia al sentimentale (il sentimento convenzionale) e mi ha salvata dal falso mito del sapere chi sono e la presunzione del portarlo come un valore assoluto in scena.
“Il falso mito del sapere chi sono”
Chi o cosa ti ispira sul lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni?
Il controtempo, gli atti mancati, il magnetismo. Mi ispira tutto ciò che è senza tempo, la bellezza. Anche la scrittura è un canale importante per me, così come la musica e i colori.
Sei appassionata delle Statue Parlanti, qual è la tua preferita e c’è un messaggio che hai letto negli anni che è rimasto con te?
Trovo bellissimo che negli anni il popolo utilizzasse queste statue per lasciare bigliettini di satira o protesta. A Roma ce ne sono sei e la mia preferita è ovviamente Madama Lucrezia. Si trova all’angolo di Piazza San Marco, vicino piazza Venezia ed è l’unica rappresentante femminile del gruppo. Poi mi piace molto Pasquino, anche per i film con il grande Nino Manfredi (“Nell’anno del Signore” regia di Luigi Magni e “La notte di Pasquinò”).
Un epic fail sul set?
Tenevo la spada in mano con grande fierezza, un momento prima di colpire il nemico dovevo dire una battuta importantissima.
E invece ho starnutito.
Il tuo must have sul set?
Cuffiette per sentire la musica, diario degli appunti del film, mandorle.
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Seguire i miei sogni, cercare di realizzare quello che desidero per me stessa senza avere un piano B. Quando studiavo a New York, nei momenti in cui mi sentivo un po’ persa e meno sicura, una ragazza mi disse il suo motto che era: “Salta, la rete apparirà”. Il concetto è stato quello, integrare i sentimenti che mi fanno sentire insicura a proposito del futuro, renderli parte del gioco così come i successi.
E allora io mi butto, poi qualcosa succede.
“Integrare i sentimenti che mi fanno sentire insicura a proposito del futuro…”
Cosa significa per te “sentirsi a proprio agio nella propria pelle”?
Credo sia una sensazione che muta, la percepisco in movimento. Sono abbastanza sicura che abbia a che fare con qualcosa di interno, che bilancia. Mi sento a mio agio nella mia pelle quando sono in aderenza ai desideri, alle spinte vitali, quando mi ascolto e mi accetto anche nelle mancanze.
Di cosa hai paura?
Delle gabbie, della mediocrità, delle altezze e dei ragni. E di molto altro perché in realtà cambiano anche le paure di giorno in giorno.
Qual è l’ultima cosa/persona che ti ha fatto sorridere, oggi?
Un biglietto che ho trovato a casa. Ho le mie statue parlanti che disseminano sorprese in giro.
La tua isola felice?
Se ci penso e chiudo gli occhi non vedo un posto, vedo delle persone che amo. Forse sono proprio loro la mia isola felice.
Photos&Video by Johnny Carrano.
Makeup by Adelaide Fiani.
Styling by Valentina Palumbo.
Thanks to Lapalumbo Comunicazione.
Jewels: Voodoo Jewels
LOOK 2
Total look: Morfosis
Shoes: Giorgio Armani