Non è una novità che Luke Featherston sia una fonte inesauribile di umorismo e profondità sullo schermo: in questa intervista, ci racconta la sua esperienza in “Picture This”, la nuova rom-com di Prime Video, il suo amore per l’improvvisazione e le connessioni personali che ha trovato con il suo personaggio, Jay.
Ci siamo incontrati per la prima volta a Londra per il servizio fotografico, dove la sua energia era tanto naturale e carismatica quanto lo è sullo schermo. Poi, durante una chiacchierata su Zoom, la conversazione è fluita con spontaneità e risate, toccando argomenti che spaziavano dai ricordi cinematografici d’infanzia ai suoi pensieri sulla solitudine. Oltre al lavoro in “Picture This”, Luke ha un ruolo principale anche nella terza stagione della serie tv “The Wheel of Time”, dimostrando di essere un artista estremamente versatile.
Che si tratti di riflettere sulle sue citazioni preferite, sulle gioie della collaborazione o sulle sue più grandi paure, Luke ci offre uno sguardo sia sul suo mondo del cinema che sulla vita – una visione fatta di autenticità, spontaneità e un amore spassionato per l’ignoto.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Probabilmente la volta in cui sono andato a vedere “La Bella e la Bestia”, quando i film della Disney uscivano ancora al cinema. Mia madre mi racconta sempre che mi nascondevo dietro i sedili quando appariva la Bestia [ride].

Comprensibile! È uno dei film Disney con le scene più spaventose secondo me, insieme a “Biancaneve” – ecco, io mi nascondevo dietro i sedili quando la Regina Cattiva si trasformava nella vecchina…
Sì, quella scena è terrificante!

Parlando di “Picture This”, qual è stata la tua prima impressione leggendo la sceneggiatura? Il tuo punto di vista sulla storia è cambiato durante le riprese?
È stata un’esperienza davvero collaborativa, quindi quando volevo cambiare o modificare leggermente qualche aspetto del personaggio, mi è stato permesso con grande disponibilità. Quando ho letto la sceneggiatura per la prima volta, l’ho trovata super divertente.
Il mio personaggio, Jay, è il migliore amico gay della protagonista e, di solito, ruoli del genere vengono pensati solo per inserire momenti comici. Quello che mi è piaciuto molto di questo film, invece, è che Jay è una presenza costante nel viaggio di Pia, non è lì solo per far ridere qualcuno. Questa situazione è molto più fedele alle mie relazioni con le mie amiche: Jay è sempre presente per Pia e ha un arco emotivo che si sviluppa parallelamente al suo.

Quali parallelismi vedi tra te e Jay invece? Quanto di te stesso hai messo nel personaggio?
Per cominciare, il film è ambientato a Hackney e Jay ha trent’anni – io vivo a Hackney e ho trent’anni. Il suo senso dell’umorismo è diverso dal mio, ma nel complesso l’ho sentito molto vicino a me, quindi non ho dovuto scavare troppo a fondo per trovarlo dentro di me, se devo essere onesto. Potrei provare a dire qualcosa di profondo su come sono entrato nel personaggio, ma la verità è che era già tutto scritto, e coincideva abbastanza con chi sono io come persona. Questo ha reso il mio lavoro più semplice.

Hai anche improvvisato qua e là?
Certo! Il bello della commedia è proprio il poter improvvisare. Come dicevo prima, la regista, Prarthana Mohan, era più che felice di lasciarmi fare, anzi, mi ha incoraggiato ed è stato molto divertente. Molte delle improvvisazioni sono finite nel film, e ne sono davvero felice!

A un certo punto del film, Pia e Jay parlano di Charlie e della sua relazione con Pia, e lei dice: “Charlie è andato avanti”, e tu rispondi: “Forse è ora che lo faccia anche tu”. È più facile a dirsi che a farsi, secondo me, ma sempre necessario. Hai mai avuto difficoltà ad andare avanti dopo una situazione difficile?
Assolutamente, come tutti. Rotture, perdita di persone care… Ma quei momenti sono importanti quanto quelli di celebrazione e felicità. Sono esperienze di vita che ci plasmano come persone, e certamente dobbiamo attingere a esse quando affrontiamo un copione. Ci rendono artisti più completi.
Direi che tutto è importante.

“Rotture, perdita di persone care… Quei momenti sono importanti quanto quelli di celebrazione e felicità”
Se potessi incontrare un guru spirituale, cosa ti piacerebbe che prevedesse per te?
Ci ho pensato molto perché sono un po’ fissato con l’astrologia, ma penso che non vorrei parlare con un guru. L’idea che qualcuno possa suggerirmi qualcosa sul mio futuro e di rimanere poi in attesa che accada o meno… non fa per me. Mi piace l’ignoto, quindi sono felice di percorrere il mio viaggio e scoprirlo a modo mio.
E com’è andata con la tua partner di scena? Com’è stato lavorare con Simone Ashley per creare la chimica tra Jay e Pia?
In realtà, non era la prima volta che ci incontravamo. Simone e io ci siamo conosciuti brevemente quando lei aveva circa 15 anni. Stava seguendo un corso estivo a Londra a cui lavoravo anche io, aiutavo un amico che coreografava uno spettacolo in cui lei era coinvolta. Ho lavorato con lei per circa una settimana; io non mi ricordavo benissimo di lei, ma sapevamo entrambi di esserci già incontrati. Poi ci siamo rivisti quando lei recitava in “Sex Education”, forse cinque anni dopo, e di nuovo ovviamente alla fine durante il mio ultimo provino per “Picture This”.
Forse lei si ricorda di me più di quanto io mi ricordi di lei, visto che quando ci siamo conosciuti ero il “maestro” – sai, di solito ricordi chi ti ha insegnato qualcosa da piccolo. È stato molto facile creare il rapporto tra Jay e Pia perché io e Simone avevamo già lavorato insieme, anche se brevemente, e poi è diventato molto naturale, proprio come spero sia il nostro rapporto nel film: divertimento puro.

Qual è stata la scena più divertente da girare? Io ho trovato esilarante la scena dei titoli di coda…
Il balletto finale! Sì, è stato davvero divertente perché c’eravamo tutti, tutto il cast. Spesso, quando guardi un film, pensi che tutti gli attori siano molto uniti, ma in realtà non è sempre così. Quella giornata è stata molto speciale.
A proposito, quando abbiamo girato quella scena erano le tre del mattino e faceva freddissimo in quei giardini d’inverno giganteschi, quindi da quel punto di vista è stato un po’ meno piacevole [ride].
A parte questo, forse la scena con Pia e Jay, quando Jay si presenta a casa di lei e diventa il quarto appuntamento di Pia – è stata una giornata di riprese molto bella, perché eravamo solo io, Simone e la troupe. In quella scena c’è un momento sentimentale in cui Jay racconta la sua storia di coming out, e poi Pia si brucia i capelli, il che era piuttosto ridicolo e assurdo, quindi è stata una giornata davvero divertente.


Adoro anche quando Pia e sua sorella prendono in giro la loro mamma perché parla per citazioni, di Brian Adams, di Silente… C’è una citazione che usi spesso o qualcuno che ami citare?
Mio padre una volta mi disse: “Luke, tu vali tanto quanto i rischi che sei disposto a correre”. Me lo disse prima che andassi al college, e mi rimarrà impresso per tutta la vita.
Poi c’è una frase di Tom Ford che mi fa ridere: una volta gli chiesero come si comportava a scuola, e lui rispose: “Io ritenevo di essere favoloso, e che tutti gli altri fossero stupidi” [ride]. Mi rivedo molto in quella sensazione.

“Luke, tu vali tanto quanto i rischi che sei disposto a correre”

Cosa ti fa dire sì a un progetto?
È difficile da dire. È quando leggi una sceneggiatura e provi quella risposta istintiva, quel qualcosa che ti fa sentire allineato con il personaggio. Penso che, come attore, la varietà e la diversità siano fondamentali. Tendo a fare molta commedia, quindi spesso cerco qualcosa di leggermente più drammatico o romantico, perché mi sono ormai affermato nel genere comico. Quindi, quando arrivano quei copioni, magari un fantasy o qualcosa del genere, per me è più allettante.
Ad ogni modo, è meraviglioso lavorare in generale, essere un attore è un dono, e mi diverto tantissimo sul set. Dico no molto spesso, e forse per me è più facile dire di no. Piuttosto che pensare a cosa mi si addice, penso a cosa non va bene per me.


E quando ti approcci a un personaggio, tendi a essere più razionale o emotivo?
Direi che seguo il mio istinto. È fondamentalmente da lì che parto. Sono una persona piuttosto visiva, quindi mi piace molto visualizzare il personaggio e cerco di avere il maggior controllo possibile su ciò che indossa. Penso che il modo in cui ci vestiamo ogni giorno influenzi moltissimo la percezione che gli altri hanno di noi e quella che vogliamo dare di noi stessi. A volte mi chiedo perché alcuni attori non vogliano avere alcuna voce in capitolo su cosa indossano, perché non è il loro lavoro, c’è un intero dipartimento di costumi per questo. Tuttavia, a me piace molto fare amicizia con il reparto costumi e mandare loro dei moodboard, specialmente se si tratta di qualcosa ambientato ai giorni nostri, dove sono perfettamente in grado di vestirmi da solo. Se invece è qualcosa di più storico o fantasy, ovviamente ci sono limiti a ciò che posso suggerire [ride]. Ma sono cose che mi piace fare.

Tu nei film ci reciti, ma qual è il tuo genere di film preferito da guardare?
Adoro i thriller psicologici, è il genere verso cui tendo a gravitare. Mi piace la suspense, magari un pizzico di horror e l’adrenalina che ne deriva. La maggior parte delle volte li guardo con gli occhi coperti, ma adoro quella sensazione!
E ti piacerebbe recitare in uno di quei film?
Forse no, perché la magia finirebbe!
Sai, quando sei un attore e guardi un film, a volte ti distacchi e inizi a pensare: “Quante riprese avranno fatto? Da quali angolazioni?”. E così la magia svanisce. Quindi, forse, meglio evitarlo se voglio continuare a godermi il genere.
Voi attori avete la possibilità di conoscervi a fondo anche grazie alle tante vite che vivete. Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te stesso grazie al tuo lavoro?
Non credo di aver scoperto nulla in particolare che non sapessi già. Forse ho riscoperto la gioia della collaborazione incontrando nuovi attori. Il cast di “Picture This” è incredibilmente talentuoso e ha un’enorme esperienza. Ho scoperto che mi piace molto passare il tempo con altri attori, tutti con prospettive diverse sul mondo e sulle persone, e assorbire da loro tutto.
Non so se sei un tipo da binge-watching, ma se è così, qual è stata la tua ultima maratona?
“American Primeval” su Netflix, è una serie incredibile. L’attrice protagonista, Betty Gilpin, è straordinaria, tutto il cast è fantastico.


Cosa ti fa ridere di più?
I miei eroi comici dell’infanzia: Robin Williams e Jim Carrey.



E invece, cosa ti fa arrabbiare di più?
Le persone che arrivano in ritardo. Odio tantissimo il ritardo. Il mio coinquilino è sempre in ritardo e mi manda fuori di testa.

Cosa diresti ad un giovane te stesso, se avessi la possibilità di parlargli?
Penso che non vorrei parlargli per paura di deviare il percorso che lo ha portato fin qui, dove mi trovo ora.


È una risposta molto saggia.
Parlando di un tema che mi sta molto a cuore, qualcosa che probabilmente voi attori in particolare sperimentate in un modo o nell’altro: la solitudine. Credo che alcune persone la sognino, altre ne siano terrorizzate, alcune siano “costrette” a conviverci. Il cinema, ad esempio, è un lavoro collettivo, ma penso che gli attori abbiano bisogno di stare soli con sé stessi per “diventare qualcun altro”. Qual è il tuo rapporto con la solitudine? Ti capita mai di sentirne il bisogno, fino al punto di sperare che accada?
La solitudine non è certo qualcosa da cui vorrei scappare. Ha una connotazione negativa che non penso dovrebbe avere, perché spesso anche chi è in una relazione può sentirsi la persona più sola del mondo.
Di solito non mi sento solo, ma le volte in cui mi è successo, mi sono seduto felicemente in quella sensazione e ho capito che fa parte dell’esperienza umana.

Qual è la tua più grande paura?
La mia più grande paura è piuttosto noiosa, perché sono molto claustrofobico. Hai presente quando vedi quelle persone che si infilano nei tunnel? La sola idea mi terrorizza!
Il libro sul tuo comodino in questo momento?
Ho appena finito “La canzone di Achille” di Madeline Miller. È eccezionale, non posso credere che non sia ancora stato trasformato in un film o in una serie TV. È uno dei migliori romanzi “gay romance” che abbia letto.

Cosa significa per te sentirti a tuo agio nella tua pelle?
È un privilegio sentirsi a proprio agio nella propria pelle.
Significa vivere autenticamente me stesso con i miei amici, trovare quelle persone con cui puoi esistere in uno spazio sicuro, senza essere giudicato. Trovare quegli spazi è davvero importante. Vivere autenticamente ed essere a mio agio nella mia pelle è una cosa non negoziabile. Ci è voluto del tempo, ma ora è semplicemente la norma per me.

Cosa significa “casa” per te?
Casa è gli amici e la famiglia.
E qual è il tuo posto felice? È lo stesso?
Forse non la famiglia! [ride] La famiglia serve a scopi diversi, no?
Il mio posto felice è con i miei amici più stretti, ovunque ci troviamo, che sia in vacanza, a ballare o semplicemente a casa a guardare un film. È lì che mi sento più felice.

Photos & Video by Johnny Carrano.
Grooming by Nohelia Reyes.
Styling by Gareth Scourfield.
Thanks to Prosper PR.
LOOK 1
Shirt and trousers: Connolly
White vest: Mr P
Shoes: Grenson
Rings, necklace and bracelet: Serge Denimes
LOOK 2
Knitted tank top: Mr P
Trousers: Edward Sexton
Belt: Anderson’s
Shoes: Harrys London
Jewellery: Serge Denimes
LOOK 3
Knitted sweater: WAX London
Jeans: Prada
Boots: Harrys London
Jewellery: Serge Denimes
White vest: Mr P
Cardigan: Percival
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