Per la nostra Cover di aprile, ci immergiamo nel mondo della serie tv “Extraordinary” con Máiréad Tyers, l’attrice che dà vita al personaggio principale, Jen. Dai suoi ricordi più remoti legati al cinema alle riflessioni sull’evoluzione del personaggio, Máiréad ci offre uno sguardo inedito su quel mix di commedia e dramma che è lo show.
Durante la nostra chiacchierata, abbiamo parlato di cosa del progetto l’abbia attirata, esplorato i temi sociali e psicologici che vengono affrontati nella serie e approfondito il processo collaborativo che ha portato “Extraordinary” sullo schermo. Con simpatia, umiltà e un tocco di fascino irlandese, Máiréad ci invita tutti a seguirla in un viaggio che celebra ciò che c’è di straordinario nel quotidiano.
Prima di tutto, congratulazioni per la tua nomination al BAFTA come Miglior Performance Femminile in un Programma Comico! Come ci si sente?
È pazzesco! Mi svegliavo ogni al mattino ripetendo le stesse parole: “Wow, sono candidata a un BAFTA”.
Sai, io sono cresciuta guardando i BAFTA in TV, e penso che sia l’onore più grande che ci sia. Quindi, mi sento così grata per essere stata nominata, e che lo show sia stato nominato, e che Sofia [Oxenham], che interpreta Carrie nello show, sia stata nominata nella stessa categoria. È qualcosa di davvero speciale e significativo.
Nomination meritate, naturalmente, e poi probabilmente questo farà parlare ancora di più dello show!
Sì, speriamo che questo faccia sì che molte più persone lo guardino anche con l’uscita della terza stagione!
Noi qui in Italia facciamo passa parola. Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
“Monsters & Co.” al cinema molti anni fa! Ricordo bene che mio padre si è addormentato e ha dormito durante tutto il film, cosa che succede ancora oggi, ogni volta che andiamo al cinema [ride]. Ricordo che dopo aver visto quel film, l’abbiamo comprato su videocassetta e lo guardavamo in continuazione. Comunque, ho iniziato a frequentare regolarmente il cinema solo negli ultimi 5 o 6 anni. Sono contenta quel film sia il mio primo ricordo legato al cinema, perché resta un grande classico!
E serie TV? Qual è stata la prima serie di cui ti sei innamorata?
“Breaking Bad” o “Orange is the New Black”, quella che è uscita su Netflix per prima. Ricordo di averle guardate quando avevo 15-16 anni, ed è stata la prima volta che ho sperimentato i “cliffhanger”, i finali sospesi e con essi il desiderio di guardare quanto prima l’episodio successivo. Quando ero più piccola, i miei genitori spegnevano il Wi-Fi di notte perché sapevano che altrimenti avremmo passato tutta la notte a guardare cose online, e le volte in cui il Wi-Fi rimaneva acceso per errore, infatti, io stavo sveglia fino alle 6 del mattino, quindi facevano bene a spegnerlo.
Ricordo una volta che stavo guardando un episodio di “Breaking Bad” e volevo sapere cosa sarebbe successo dopo ma il Wi-Fi era stato spento, così ho acceso i dati sul mio telefono e, naturalmente, in circa 5 minuti avevo speso 20£ di dati per guardare solo 5 minuti dello show, e comunque non ero soddisfatta! Quindi, quella è forse la prima serie drammatica di cui mi sono davvero appassionata, e poi sono cresciuta guardando “Friends” – la guardavo quando tornavo a casa da scuola, quindi è stata la prima serie TV di cui mi sono innamorata.
“…è stata la prima volta che ho sperimentato i ‘cliffhanger’, i finali sospesi e con essi il desiderio di guardare quanto prima l’episodio successivo”.
Cosa ti fa dire sì a un progetto? Cosa ti ha fatto dire sì a “Extraordinary”?
Non c’era niente a cui potessi dire “no”! [ride] C’erano così tanti fattori incredibili a suo favore, a partire dalla sceneggiatura. Ho letto la prima sceneggiatura quando ho fatto il provino iniziale, e poi ho avuto altre sceneggiature man mano che il processo di audizione proseguiva, e ho pensato che fosse così divertente e in linea con il mio umorismo. Poi, quando ho visto che la casa di produzione è la stessa che ha fatto “Killing Eve“, e che i registi erano persone che ammiravo, gente incredibile, e considerando tutto quello che avevo sentito su Emma Moran, la sceneggiatrice, ho pensato: “Voglio partecipare”.
Quindi, sono state la sceneggiatura e l’umorismo di cui era intrisa. In generale, penso che sia importante sapere chi è coinvolto in un progetto. Spesso, se c’è un produttore, uno sceneggiatore o un regista dietro il cui lavoro ho visto e amato, mi fa desiderare ancora di più quel progetto. Poi, quando fai un provino per qualcosa su cui sta lavorando un regista che ammiro, divento un po’ ossessionata: voglio vedere tutto quello che ha fatto. La maggior parte delle volte, più guardi le sue cose, più capisci quanto lo desideri.
Insomma, penso che le persone siano una grande parte del processo: ciò che conta per me è se sono brave persone e se hanno fatto cose valide.
Qual è il tuo rapporto con “Jen”? Il tuo approccio è cambiato nella seconda stagione?
A lei ci tengo davvero. Qualcuno mi ha chiesto di recente: “Se potessi dire qualcosa a Jen, cosa le diresti?” Penso che mi piacerebbe semplicemente darle alcuni consigli su cosa fare della sua vita [ride].
Ovviamente, c’è un cliffhanger alla fine della prima stagione e Jen non sa bene cosa sia successo ma sa che la sua vita sta per cambiare e decollare e pensa che tutto sarà semplice da quel momento in poi: va alla clinica per i poteri, ha un fidanzato, e quindi sembra che tutto si stia mettendo in ordine. Ecco, mi ha reso piuttosto triste realizzare che sarebbe stato molto più complicato in realtà per lei e non così semplice come avrebbe dovuto essere.
Sono stata davvero felice di vedere che Jen, come personaggio, è cresciuta molto nella seconda stagione: ha capito alcune cose che doveva capire. I rapporti con Carrie, sua madre e suo padre si sono sviluppati in maniera matura e hanno raggiunto rivelli che la stessa Jen riteneva irraggiungibili; parlano delle loro relazioni e sono consapevoli delle loro relazioni e questo può solo essere positivo per Jen. Nella terza stagione vedremo cosa succede! Perché penso che Jen stia diventando una persona migliore e non vedo l’ora di sapere cosa le succede.
Hai una relazione preferita tra i personaggi o un processo di crescita personale preferito? Oppure c’è qualcosa che ti ha “deluso” o una reazione che avresti sperato fosse diversa? O qualcosa in cui ti rivedi tu stessa?
Amo il rapporto tra Jen e suo padre. Penso che quel tipo di relazione esista anche al di fuori di “Extraordinary” e che sia molto vicina al mio cuore. Tante volte nella serie Jen si sente come se nessuno la capisse e nessuno la vedesse per quella che è, ma suo padre sì. Ma si sente frustrata perché quella relazione non è reale (perché suo padre è morto). È reale ma non è letterale perché lui non è davvero lì ed è anche un po’ disfunzionale il modo in cui lei si affida a Carrie per continuare a parlare tramite lei con suo padre – questa è co-dipendenza. Comunque, è la mia relazione preferita, che è anche messa alla prova nella seconda stagione, ma quello che succede succede per il meglio.
A me, Máiréad, ha devastato quello che succede nella seconda stagione, e per il bene di Jen, avrei voluto che potesse avere suo padre intorno, che fosse in senso reale – se fosse stato ancora vivo – o attraverso questa relazione con Carrie. Le cose vanno per il verso migliore, ma è un momento davvero definitivo nella sua vita, qualcosa che doveva fare per crescere e andare avanti.
Lo show offre molti paragoni con la nostra società, diventando quasi un riflesso di essa: ad esempio, il bisogno di Jen di essere “come gli altri”, i problemi legati ai social media e così via. Come pensi che il pubblico possa relazionarsi a tutto questo? E cosa rappresentano i “poteri” per te?
Penso che sia un ottimo quadro, quello di diciottenni che ottengono un potere in una fase della vita, tra i diciotto e i vent’anni, in cui si cerca di barcamenarsi tra carriera, relazioni, coinquilini, le amicizie – la storia funziona davvero bene. Ciò che rende tutto ancora più emozionante è che c’è un personaggio come Jen che non ha alcun potere, il che è una metafora del confronto che facciamo con altre persone che sembrano avere tutto ciò che non abbiamo noi e che sembrano aver capito tutto della vita, hanno prospettive di lavoro, un quadro chiaro del loro futuro. Tutto questo, tra i venti e i trent’anni, ci rende confusi, stravolti, e ci fa sentire persi. Penso che molte persone possano riconoscersi proprio in questi argomenti guardando lo show ed è il motivo per cui in tanto lo amano.
Jen è in grado di canalizzare tutti i suoi sentimenti, la sensazione di sentirsi persa, la confusione e il senso di inadeguatezza – tutto questo viene canalizzato attraverso la sua mancanza di potere. Se consideri il simbolismo metaforico della “mancanza di potere”, ti rendi conto che è qualcosa che molte persone sperimentano in quella fase della vita. Poi, Emma ha scritto una sceneggiatura così perfetta e molti dei poteri che hanno i personaggi sono davvero folli e divertenti.
“Jen è in grado di canalizzare tutti i suoi sentimenti, la sensazione di sentirsi persa, la confusione e il senso di inadeguatezza – tutto questo viene canalizzato attraverso la sua mancanza di potere”.
Ne hai uno preferito?
Quello del capo di Carrie è super divertente – lui sa quando le persone hanno mestruazioni [ride] Vorrei che ci fossero più scene di lui, è così assurdo!
Amo come i poteri dei personaggi siano un’estensione delle loro personalità. Il potere di Kash e Carrie, per esempio, li sta scombussolando un po’ – certo, permette a Carrie di andare oltre i suoi limiti, però per Kash significa che non potrà mai ammettere nessuno dei suoi errori perché può semplicemente cambiarli e non deve affrontare alcuna conseguenza.
Quindi, Jen sta cercando il suo potere e pensa che tutto andrà bene una volta che lo avrà, mentre Kash ce l’ha e continua ad essere un po’ un pasticcione!
Sì, assolutamente! E ti rendi conto di quanto sia controproducente per lui, alla fine, perché non riesce mai a crescere con quel potere, è in uno stato di immaturità emotiva che sembra irreversibile, perché non deve affrontare nessuno dei suoi problemi.
Il dramma e la commedia sono ben bilanciati nella serie. Come ti prepari, personalmente, e come lavori con il cast per rendere il mood al meglio e mantenere anche questo equilibrio così ben scritto?
Come hai detto tu, questa serie è commedia e dramma insieme; il regista che abbiamo avuto per i primi quattro episodi di entrambe le stagioni, Toby MacDonald, non penso abbia mai considerato la serie come una commedia; lui diceva: “La serie è un dramma, queste persone sono reali, stanno attraversando circostanze difficili e dobbiamo trattarle come tali”. Sono così contenta che abbiamo fatto così, perché penso che questo sia ciò che rende i personaggi reali e rende le relazioni reali.
Abbiamo fatto due settimane di prove prima di girare la prima stagione, in cui facevamo esercizi assurdi – ad esempio, a Jizzlord [Luke Rollason] e a me veniva detto di uscire a Londra e comprare qualcosa per il Flash, cosa che facevamo solo per noi e esplorare la città e conoscerci meglio, e penso che ci abbia aiutati a rendere ancora più vera e aderente al reale la storia. Poi, puoi rendere comiche alcune situazioni, ma la cosa più importante era credere che questi personaggi fossero reali e comprendere il mondo in cui avrebbero vissuto, il Flash e come ci si è arrivati, i retroscena e le relazioni con i genitori, la storia di come Kash e Carrie si sono messi insieme (hanno improvvisato il loro primo appuntamento) – tutto questo è stato fondamentale per rendere l’interpretazione realistica. Per quanto riguarda il lato comico dello show, gran parte della comicità è innata, praticamente, perché tra noi c’è grande chimica e ci troviamo tutti molto bene gli uni con gli altri.
Poi, per la seconda stagione, Emma ha iniziato a scrivere per noi, ora che ci conosce e sa quali sono i nostri punti di forza come attori. Lo show è ricco di commedia fisica e io amo la commedia fisica (sono cresciuta guardando Mr. Bean) e poter girare una scena come quella in cui Carrie si taglia i capelli è stato semplicemente fantastico!
“Per quanto riguarda il lato comico dello show, gran parte della comicità è innata, praticamente, perché tra noi c’è grande chimica”
Hai detto che Emma ha iniziato a scrivere per voi. È qualcosa che hai notato mentre leggevi la sceneggiatura o te l’ha detto proprio lei?
Per farti un esempio, in origine il mio personaggio, Jen, non doveva essere irlandese, quindi, quando sono stata scelta io, Emma ha modificato la sceneggiatura e aggiunto vari “irlandesismi”. È stata incredibile, abilissima, e poi era una mossa vantaggiosa per noi. Poi Siobhán [McSweeney] è stata scelta per interpretare mia madre, e quella relazione madre-figlia irlandese è stata perfettamente localizzata, quindi ha potuto giocare molto sui particolarismi regionali.
Nella seconda stagione, era palese che scrivesse ispirandosi alla nostra vita reale: se dicevamo qualcosa a Emma, per esempio che stavamo andando al pub, prima di presto ci ritrovavamo qualcosa di inerente nella sceneggiatura [ride]. Per l’ultimo episodio, scherzavamo tutti con lei che volevamo una puntata musicale, e Chris [Lew Kum Hoi], che interpreta Gregor, e Olivia [Marcus] che interpreta Megan, continuavano a dire che sapevano fare le spaccate, e così Emma ha detto: “Beh, scriverò qualcosa in cui entrambi dovrete fare le spaccate” e quindi nell’episodio musicale entrambi si esibiscono in spaccate.
Quindi, Emma è molto intelligente nel cogliere le cose che diciamo e scrivere in base ai nostri stili.
I costumi sono meravigliosi e giocano anche un ruolo importante nella serie (vedi i pantaloni strappati di Kash), ne hai uno preferito? E quanto lo stile di Jen ti ha aiutato a plasmare il personaggio?
I costumi sono una parte enorme dello show. Buki [Ebiesuwa], che è la nostra costumista, è fantastica e così talentuosa. Vai al fitting dei costumi ed è un turbine di colori e texture e tessuti. Booki è incredibile perché le basta guardarti e capisce immediatamente cosa deve cambiare dell’outfit per renderlo perfetto per te. Quando pensi che l’abito sia fatto e creato, lei aggiunge qualcosa in più che lo eleva a un altro livello.
Per me, come attrice, è sempre un momento interessante quando ti scelgono per un lavoro e, che tu faccia o meno le prove, o parli con il regista e così via, ti rendi conto di come il tuo personaggio dovrebbe essere vestito o in quale mondo ti trovi – questo succede quando provi i vestiti per la prima volta e hai il fitting. È un momento così decisivo per me. Il mio primo fitting è durato probabilmente due ore – sapevo che Buki lavorava in un negozio di costumi e che lavorava indossando abiti da principessa, ma per me ha fatto abiti da principessa x1000! Ho un cappotto, una tiara, dei guanti… Roba di un altro livello!
Il mio costume preferito… amo davvero quello che ho indossato nell’episodio 8, quello con un top verde sotto, una tuta e degli stivali incredibili, era davvero cool. Su questo, la Londra che abbiamo creato con la straordinaria scenografa, Melanie Allen, è East London ma enfatizzata e più colorata e più interessante, con elementi soprannaturali. Poi, un altro dei miei costumi preferiti, che non indosso io ma che indossa qualcun altro, sono i pantaloni di Kash – un paio di pantaloni arancioni imbottiti strani, che erano perfetti! [ride]
Come immagineresti la tua mente fisica?
Sento che sarebbe qualcosa legato al cibo, tanti gusti diversi di patatine o qualcosa del genere [ride]. Sarebbe come una fabbrica di patatine con patatine gourmet fantastiche da una parte, e poi patate marce e menu che rappresentino tutti miei pensieri e idee a cui vorrei non pensare in un altro angolo.
L’ho sempre immaginata come una specie di biblioteca mentale… ma solo perché quella di Jen è così, non significa che debba essere così per tutti, ce ne sono di diversi tipi. Oppure, la mia potrebbe essere un campo gigante, anche se non penso di essere mai di umore così calmo [ride].
“Una fabbrica di patatine”
Useresti il Vuoto? In caso affermativo, cosa ci getteresti dentro?
Immagino che lo farei! Ad esempio, se ti lasci con qualcuno e vuoi bruciare ricordi materiali… c’è una sensazione di alleggerimento nel farlo; penso che se mi trovassi in una situazione in cui desiderassi una liberazione catartica, lo userei. Sarebbe bello sapere che è sempre lì a mia disposizione.
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto su te stesso attraverso il tuo lavoro? O mentre interpretavi Jen?
Quando le persone mi chiedono che tipo di lavoro voglio fare, a volte trovo difficile rispondere perché mi sento sopraffatta da tutte le possibilità e le cose che voglio fare. Di recente, ho riflettuto su ciò che mi piace guardare, leggere e ascoltare, ci ho pensato molto: se ti piace ciò di cui stai fruendo, allora probabilmente è ciò che vorresti fare.
Ho avuto un anno molto impegnativo durante le riprese di “Extraordinary”; quando è uscito, abbiamo fatto la promo e poi siamo passati direttamente alle riprese, e dopo le riprese della seconda stagione, ho attraversato un periodo molto tranquillo dal punto di vista lavorativo: in quel periodo ho capito che se stai lavorando 365 giorni all’anno, non significa che sei più appagato o che hai più successo rispetto a quando lavori un solo giorno all’anno; penso che ci siano altri modi per sentirsi appagati. Se ti senti ispirato e incoraggiato a continuare a fare ciò che stai facendo, allora è sufficiente. Se provi quella sensazione e non hai lavorato un solo giorno all’anno, va bene. L’idea di successo che abbiamo è mitizzata in quest’ambiente, secondo me. Alzarsi al mattino è già un successo, non importa se hai 50 programmi su Netflix o uno, il successo è diverso per ogni persona, e questa intera idea di inseguire il successo è piuttosto pericolosa. Specialmente nell’arte, si tratta di creare cose che ti fanno sentire appagato e che sono importanti per te. Se continui a inseguire il successo o l’idea che gli altri hanno del successo, allora questo ti distruggerà e non penso che lo raggiungerai mai.
Penso che Jen, anche se molto insicura, non si preoccupi di ciò che gli altri pensano di lei, e questo mi ha incoraggiato ad essere come lei. Tutti sono troppo occupati a vivere nel loro mondo e a preoccuparsi di ciò che stanno facendo, per considerare o notare effettivamente ciò che stai facendo tu, anche è qualcosa che magari ti preoccupa molto.
“il successo è diverso per ogni persona”
Qual è il tuo più grande atto di ribellione?
Penso che trasferirmi dall’Irlanda possa essere considerato un atto di ribellione. Arrivando a Londra, ho messa in una scatola la ragazza irlandese timida e giovane che per anni ho sottovalutato molto. Nell’ultimo anno, da protagonista di “Extraordinary”, sento di essere diventata meno timida e molto più sicura di me e quelle parti di me che mi è stato spesso chiesto di “sopprimere”, i limiti che mi sono stati imposti quando mi sono trasferita a Londra, li ho valicati tutti, combattendo gli stereotipi.
Il più grande atto di ribellione è fare le cose che le persone si aspettano di meno da te. È sempre bello avere quella spinta e determinazione – spesso quando le persone ti sottovalutano e vogliono abbatterti, è più facile trovare determinazione dentro di te per combattere.
Cosa ti fa ridere?
La comicità fisica mi fa morire dal ridere, come Mr. Bean, Jamie Demetriou, “Staths Lets Flats”. Amo anche l’umorismo quotidiano, su situazioni e circostanze quotidiane, le risate per cose che accadono tutti i giorni, quando non succede molto o non ci sono circostanze estreme, anzi è quasi una quotidianità noiosa. C’è questo tipo di comicità nella cultura irlandese in effetti, per esempio le storie che si raccontano nei pub, magari su qualcuno che torna a casa ubriaco o cose simili, questo è il tipo di umorismo che mi fa ridere.
Qual è la tua isola felice?
Casa in Irlanda, nella mia camera da letto d’infanzia. È bello tornare lì dopo essere stata a Londra per un po’, piena di impegni; nella grande città, potresti perdere di vista da dove sei venuto e le persone che ti hanno sostenuto, quindi, amo sempre tornare a casa dalla mia famiglia e ritrovare tutti.
Photos & Video by Johnny Carrano.
Makeup by Karin Darnell.
Hair by Ben Cooke.
Styling by David Daley.
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