Chi siamo, chi dovremmo essere, ma soprattutto chi non dobbiamo essere: l’adolescenza è scandita da queste piccole ossessioni, che crescendo si attenuano e si snocciolano nella forma degli esseri umani che saremo bene o male fino alla fine. Fa paura, soprattutto all’inizio quando di risposte se ne hanno poche e vaghe, ma “a vent’anni si deve avere paura”. Qui cito Manfredi Marini, il protagonista del film “Diciannove” di Giovanni Tortorici, in cui interpreta Leonardo, uno studente nel suo primo periodo universitario.
Ho intervistato Manfredi alla fine di un pomeriggio di shooting, seduti rilassati davanti ad una tazzina di caffè serale come due nuove conoscenze un po’ assonnate che condividono una passione: quella per i film. “Diciannove” l’avevo visto la sera prima: incuriosita, affascinata, confortata dal suo ritratto di una vita da studente fuori sede, ero andata a dormire pensierosa e il mattino dopo mi ero svegliata con una ricchezza in più. Conoscere Manfredi a distanza di poche ore mi ha riempita di impazienza: non vedevo l’ora di inondarlo di domande. E così è stato: abbiamo parlato, ovviamente, del film, degli esordi, del rapporto di un attore con il proprio personaggio, dei ragazzi di oggi e di quelli di ieri, delle ossessioni, delle arroganze, della paura e della fortuna.
La storia di Leonardo è una storia di fragilità mascherata da saccenza, di una passione ai limiti dell’ossessione, ma soprattutto, è la storia di quanto forte sei se fai una scelta che è solo tua. La storia di Manfredi è quella di un ragazzo che è forte perché ha fatto la scelta più potente e giusta per sé stesso: il cinema.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Ne ho uno specifico e uno un po’ più generico.
Da piccolo, mia mamma lavorava spesso fuori e viveva fuori: una volta, quando avevo circa sette o otto anni, si ritrasferì, e io ero tristissimo. Mio padre, per consolarmi, comprò il dvd di “Casino Royal” e ce lo guardammo insieme sul lettone. La cosa che mi ha fatto impressione è che dieci anni dopo ho avuto la possibilità di passare del tempo con Daniel Craig. Abbiamo parlato tanto, ci siamo confrontati spesso in quei giorni, è stato pazzesco!
Il secondo ricordo più generico che ho è il tempo che passavo con la nonna, che aiutava un sacco mamma e papà quando non c’erano per lavoro. Lei è super fissata col cinema e mi ci portava sempre, anche quando ero molto piccolo.


Come hai scoperto “Diciannove” e cosa ti ha fatto avvicinare al personaggio di Leonardo?
Frequentavo l’ultimo anno di liceo classico, sapevo di voler studiare Regia e Sceneggiatura e ne parlavo con il mio professore di Storia e Filosofia, con cui avevo legato abbastanza: a ogni ricreazione parlavamo di cinema. Io allora collaboravo già alla regia di alcuni spot pubblicitari e un giorno il professore mi ha detto: “Fai questo provino”. Era per “Diciannove”, per cui hanno fatto lo street casting in tutta Italia, prima avevano visto molti gli attori ma non gli è piaciuto nessuno, e quindi si sono rivolti anche alle scuole. Il mio professore tra gli alunni di tutta la scuola ha indicato solo me, anche se non avevo mai recitato prima e non era nemmeno tra i miei pensieri.
Di solito, se non ho almeno una minima quantità di autostima, faccio molta fatica a lanciarmi, ma mi sono fidato ciecamente del mio professore.


Quindi non hai mai studiato recitazione.
No, mai. Solo dopo essere stato preso alle audizioni mi sono messo a studiare, ma da autodidatta, perché non riesco ad avere un approccio accademico alle cose, il che è un difetto, da una parte, ma dall’altra secondo me è un pregio sotto alcuni aspetti.
Insomma, ho fatto il provino, mi sono lanciato, ho pensato: “Male che vada la mia vita non cambia di una virgola”. Alla fine, ho avuto il privilegio di leggere questa sceneggiatura, di studiare e interpretare un personaggio in cui ho trovato qualche punto di contatto. Leonardo, per esempio, ha un approccio molto ossessivo alle cose che gli piacciono che io condivido, non con la letteratura del ‘300, per quanto mi riguarda, ma io ce l’ho con la musica, che è una mia grandissima passione, e con il cinema. “Taxi Driver” l’ho visto nove volte, per dire!

Tutte le passioni sono un po’ “ossessive” secondo me.
Sì, ma sai, se penso a molti miei coetanei, non mi sembra sia così per tutti… Forse perché loro non hanno ancora trovato una vera passione.
Comunque, quell’atteggiamento ossessivo verso le cose che mi piacciono è stato un punto di contatto tra me e Leonardo insieme al senso di solitudine, che penso sia molto comune a quell’età: una solitudine “forzata” da sé stessi per sé stessi. Per il resto, però, non lo sento poi così vicino. Certo, per studiarlo, ci sono entrato dentro anima e corpo, quindi adesso lo sento sicuramente parte di me, però c’è voluto tantissimo tempo. Grazie a Giovanni [Tortorici], ho avuto la fortuna di poter lavorare al personaggio per cinque mesi prima di girare, che in Italia a quanto pare è una rarità. In più, io e Giovanni abbiamo stretto un legame di amicizia al di fuori del lavoro che ha aiutato molto sul set: il film è autobiografico, quindi il fatto di aver conosciuto Giovanni a livello umano mi ha aiutato tanto, perché avevo la materia che dovevo studiare davanti agli occhi, perché anche se è cambiato tantissimo, alla fine è sempre lui. Una cosa che mi ha detto, infatti, è che lui ha preso delle espressioni da me, anche facciali, e io le ho prese da lui durante la preparazione del film. Se vogliamo, ci siamo un po’ fusi tra di noi.

“una solitudine ‘forzata’ da sé stessi per sé stessi”


Insomma, sei diventato un po’ Leonardo ma allo stesso tempo da lui sotto certi aspetti eri distante e quindi ti sei dovuto avvicinare. È un personaggio complesso, infatti, con un’evoluzione interiore molto sottile, ma allo stesso tempo evidente. Come ti sei preparato per interpretarlo?
Gli altri dicono che sono abbastanza empatico, anche se ci sono stati alcuni momenti in cui non ce l’ho fatta a fare miei i suoi sentimenti, come la scena in cui piange sui sonetti di San Francesco. Lì, io ci ho provato, ma poi ho deciso che per piangere, dovevo piangere per i cazzi miei. Alla fine, per avvicinarmi a Leonardo ho provato a vivere il più possibile come lui e puntare sulla connessione che si è creata con Giovanni.


Com’è stato lavorare con un regista che era al suo esordio alla regia? C’è un consiglio in particolare che ti ha dato che ricordi come particolarmente utile?
Più che consigli, mi dava direzioni da seguire, ma sul set non c’è mai stata un’aria di “tirannia”. Anche Giovanni è molto empatico, quindi ci capivamo, c’era complicità tra noi, ci spalleggiavamo anche perché era un esordio per entrambi, il che penso sia stato un punto di forza. Per esempio, Dana [Giuliano], che interpreta Grazia, qualche tempo fa mi ha detto che sul set si vedeva che c’era una grande armonia tra me e Giovanni, e io penso che si veda anche dal film.


Sicuramente si vede che eri molto a tuo agio, e di conseguenza la tua recitazione è stata molto spontanea e la performance verosimile.
Il film affronta temi come l’alienazione giovanile, l’indipendenza e la ricerca di sé e della propria identità, sessualità. Secondo te, cosa rende “Diciannove” una storia universale?
Sai, quando mi preparavo, e passavo del tempo con i miei amici, coetanei, cercavo delle cose di Leonardo in loro, perché era un modo per studiarlo: se lo vedevo in loro, per me era più facile, più tangibile. Alcune cose le ho trovate, altre meno, ma in generale ho individuato dei punti di connessione sulla questione della solitudine di cui parlavamo prima, della ricerca del proprio ruolo nel mondo, provando a scendere il meno possibile a compromessi, che è un’arroganza adolescenziale. Il film quindi, secondo me, tratta temi molto comuni, ma forse non universali. Leonardo è un personaggio particolare, certo, e allo stesso tempo più comune di quanto secondo me superficialmente si possa pensare: è un personaggio che ha sicuramente degli spunti universali, ma che di per sé non lo è del tutto.
Conosco ragazzi che quel tipo di situazioni non le hanno mai vissute e quei temi non li hanno mai affrontati, secondo me per una forte repressione che subivano, come se quasi si vietassero di affrontare determinate cose.


È una tendenza comune quella di sviare di fronte ai problemi.
Sì, che però è pericolosissima, a un certo punto esplodi, o se non esplodi, cresci in maniera sbagliata. Anche “solo” affrontare tematiche come quello che vuoi fare nel futuro è importante: per Leonardo non è stata una scelta influenzata minimamente da nessuno, perché lui ha fatto quello che voleva fare, ma questo è un atteggiamento che non vedo nei miei amici, e ammiro molto chi la vive così, invece. Devi avere tanto coraggio per fare le tue scelte, perché a volte non ci è concesso dai genitori.

“…a un certo punto esplodi, o se non esplodi, cresci in maniera sbagliata”

Se potessi parlare con il tuo personaggio, dargli tu un consiglio, cosa gli diresti?
“Sii più leggero”.
Non che io sia più leggero di lui, però hai presente quella classica cosa per cui sai dare consigli agli altri ma tu quegli stessi consigli non li sai applicare? Insomma, se potessi gli direi di affrontare davvero tutte le cose vis-à-vis, perché a volte lui non lo fa, si auto-reprime. È giusta la ricerca che fa nella letteratura, che poi è una ricerca che fa di sé stesso, però potrebbe viverla con più “calma”, perché questo approccio lo aiuterebbe. È come con lo studio: non è che se studi dieci ore vuol dire per forza che hai studiato meglio di uno che ha studiato per sei ore, perché dopo dieci ore hai il cervello esploso in mille pezzi, mentre dopo sei ore magari sai ancora ragionare.


C’è un aneddoto o un momento sul set che ricordi con particolare affetto?
Ti racconto un aneddoto che per me personalmente è molto importante. Le riprese del film erano divise in diverse tranche: abbiamo girato a Siena per un mese e mezzo, poi pausa estiva, poi Milano, Londra e, dopo due mesi, Torino. Quando dovevamo girare a Londra, era per me a livello personale un brutto periodo: prima di allora, mi ero sentito grande, adulto, maturo, e invece quando è arrivato il momento di partire per Londra, dopo che sono successe alcune cose, mi sono sentito piccolissimo, all’improvviso ero un bambino di tre anni. Avevo super paura di andare a Londra, perché era la prima volta nella mia vita che ci andavo, e dovevo comunque starci tanto tempo, in un momento della vita in cui nella mia testa dovevo prendermi cura di me stesso. Ma una volta lì, sul set, mi sono reso conto che, come sentivo il ciak, i problemi scomparivano.
È stato allora che ho capito che volevo fare questo lavoro, perché se fatto bene, ha una potenza incredibile. Ho capito che se l’avessi abbandonato, sarebbe stato come tradire ciò che mi fa stare bene e mi aiuta, e che è meravigliosamente grande.


“come sentivo il ciak, i problemi scomparivano”


In che modo questo ruolo e questo film in generale ti ha arricchito come attore e come persona? C’è qualcosa di nuovo su te stesso che ti ha fatto scoprire?
Dal primo provino ad oggi sono passati due anni e mezzo, e posso dire che è stata un’esperienza straordinaria. Al di là di questo, al di là di tutto quello che ho imparato lavorando e di quanto sono cresciuto di mio, a prescindere, interpretando Leonardo ho capito che cosa devo evitare nella vita.
Sai, tendenzialmente si impara osservando e imitando oppure facendo l’opposto, e io con Leonardo ho capito che alcuni atteggiamenti del personaggio, come il suo approccio ossessivo alle cose, proprio li devo evitare, perché poi ti si ritorcono contro.
Da Leonardo penso di aver imparato ad eliminare degli atteggiamenti che avevo trovato dentro di me, come l’arroganza, il senso di superiorità nei confronti degli altri su alcuni argomenti. Quest’ultimo è un difetto evidente di Leonardo: lo notiamo, per esempio, quando parla col cugino a Milano o nel dialogo finale con lo psicanalista, interpretato da Sergio Benvenuto, persone con cui comunque alla fine riesce a “calmarsi”, a non essere arrogante, a non rimuginare più di tanto, ad avere dei dialoghi più leggeri, anche sugli argomenti che lui studia in maniera ossessiva.



Forse perché è cresciuto. Questi due momenti di cui parli arrivano alla fine del film, quando è passato un anno dal periodo senese: così vediamo chiaramente il percorso di crescita del personaggio.
Esattamente, e insieme a lui sono cresciuto e cambiato anche io da quel punto di vista. Adesso, per esempio, se si parla di un argomento che mi sta particolarmente a cuore come, purtroppo, la politica, e se capisco che davanti ho una persona con cui non posso avere un confronto sano, rinuncio, perché so che sarebbe un confronto che non porterebbe a niente, se non al nervosismo. Se invece ho davanti qualcuno, come Sergio Benvenuto nel film, che sa quello che dice, anche se non sono d’accordo col suo punto di vista, riesco ad ascoltare con grande interesse, a non avere una mono-visione, ma ad essere più aperto su tutto.

“Sei tu il problema” è una frase che non solo Leonardo, ma tanti bambini e adolescenti sentono spesso dalle figure adulte della loro vita. Leonardo in particolare, la sente dal suo papà, in una conversazione al telefono, e per chi ci crede, le conseguenze sullo sviluppo della personalità possono essere negative. Quale messaggio/insegnamento speri che la storia di Leonardo riesca a trasmettere ai ragazzi ma anche agli adulti che guardano il film?
Innanzitutto, ci tengo a specificare che la voce del papà di Leonardo al telefono è la voce del mio papà [ride].
A questo proposito, ti cito quello che ha detto lui, mio padre, quando ha visto il film ieri per la terza volta: è un film che lui non comprende a pieno, pur avendo una cultura cinematografica. Mio padre è del ’63, e il film di sicuro non parla il linguaggio di quella generazione, né visivo né parlato; nonostante ciò, papà l’ha apprezzato, perché effettivamente Giovanni dà la possibilità ad un adulto di fare un viaggio nella profonda intimità di un ragazzo di 19 anni che su per giù è abbastanza comune, come dicevo prima.


E quando gli ricapita?
Infatti! Ne ho parlato giusto oggi con il papà di una mia cara amica: lui ha quattro figlie, tutte e quattro fuori sede, e questo film lo ha incredibilmente sorpreso, perché è stata la prima volta che ha visto in modo “nudo e crudo” cosa può succedere e cosa succede. Secondo me, questo film per un adulto può essere quasi un “documentario”.
Parlando col pubblico, insomma, ho notato che più giovane era lo spettatore e più apprezzava il film, perché si sentiva rappresentato finalmente, mentre più anziano era e meno lo comprendeva, perché il film non lo rappresentava in nessun modo, ma allo stesso tempo ne era molto incuriosito. Due punti di vista completamente diversi, dunque, ma entrambi interessanti e potenti.

“Cosa può succedere e cosa succede”

Uno degli aspetti del film che mi ha colpito e che mi è piaciuto di più è lo stile a metà tra fumetto e film d’epoca. Che tipo di film ti piace guardare? E in che tipo di film ti piace recitare, invece?
I miei registi preferiti sono Godard e Truffaut, quindi direi che i film che preferisco guardare sono quelli di quel genere. Mi sono appassionato alla Nouvelle Vague anche perché Giovanni me ne faceva vedere tanti di quei film che mi hanno lasciato a bocca aperta. Sono orgoglioso di “Diciannove” anche perché si rifà un po’ a quel genere, è un film che amo genuinamente, che cita un po’ anche il cinema orientale con alcune inquadrature o movimenti di camera. Insomma, il mio genere preferito da guardare è sicuramente il cinema d’autore.
Che tipo di film mi piacerebbe fare, invece? Amerei alla follia fare come Truffaut con Jean-Pierre Léaud e Antoine Doinel, avere una carriera in cui interpreto anche altro, ma continuo anche con ruoli come quello di Leonardo, perché lo trovo un personaggio potente, meraviglioso e ben costruito. Vorrei recitare in film che trattano temi “non superficiali”. Poi, ho 20 anni e sarebbe stupido precludermi gli altri generi, come anche la commedia, sono aperto a tutto al momento, però per esempio farei qualsiasi cosa per poter interpretare il personaggio di De Niro in “Taxi Driver”, anche se non so se sarei mai capace di fare anche solo l’1% di quello che ha fatto lui.
Sono i film come quello, i film che trattano temi reali, tangibili e rari da vedere, quelli che mi affascinano di più.


Che cosa del set ti spaventa di più e cosa invece ti attrae?
Mi attrae alla follia il fatto di non essere Manfredi una volta sul set: tu in quel momento non puoi essere te stesso, sei obbligato ad essere qualcun altro. È un’opportunità meravigliosa che fuori dal set, nella vita reale, non puoi avere. Sul set, i problemi non sono tuoi, sono del personaggio, hai la possibilità di vivere momenti di leggerezza, nonostante tu stia comunque lavorando, ed è una cosa meravigliosa.
Ad oggi, mi spaventano, invece, le scene di ballo. A breve dovrò affrontare questa paura… Comunque, ho 20 anni, devo aver paura delle cose.
Qual è stato il primo film o attore che ti ha fatto innamorare del cinema e ti ha spinto a intraprendere questa carriera?
Ci sono due attori che mi hanno fatto innamorare del cinema: Jean-Pierre Léaud e Robert De Niro. Li sento più reali di chiunque altro, riesco ad empatizzarci più facilmente.
Sei più razionale o istintivo quando ti approcci al personaggio?
Dipende dalla fase in cui sono. Il mio primissimo approccio è emotivo: cerco delle connessioni emotive, ovvero provo a collegare la mia emotività con quella del personaggio. Poi, in “Diciannove”, con la fortuna di aver avuto tanto tempo per preparare Leonardo, ho potuto alternare un primo approccio più razionale, mirato a studiare il personaggio per farlo mio, ad un approccio più istintivo. Secondo me, se con il personaggio adotti questo tipo di approccio, il film lo fai “prima del set”, perché poi quando sei sul set, devi semplicemente fare quello che già sai e che hai già fatto. È come prepararsi perfettamente per un’interrogazione a scuola: una volta alla cattedra, ti basta essere tranquillo e prenderai il voto che ti meriti in base a quanto ti sei preparato.


Il tuo must-have sul set?
Dipende dalla temperatura! [ride] Quando abbiamo girato a Londra c’era un freddo atroce e noi non eravamo vestiti adeguatamente, quindi in quel momento il must-have era la borsa dell’acqua calda. Poi, banalmente, il caffè. Fondamentale.
Sei un grande lettore come Leonardo? Quale libro stai leggendo adesso?
Rispetto ai miei coetanei, sicuramente leggo di più, anche se basta poco, i ragazzi oggi non leggono molto. Vorrei avere il tempo e la voglia di leggere ancora di più, però, perché io ho una forte dipendenza dalla scrittura, piuttosto. Nel tempo libero, scrivo tanto, sia film, sia cose personali: per me è proprio un’esigenza, una dipendenza completa. Quando la scrittura inizia a diventare un po’ pesante, perché magari a volte arrivo a toccare troppo violentemente alcuni tasti, allora mi metto a leggere. Vado molto a periodi, comunque.
Tra i libri che più mi sono rimasti nel cuore, cito “Il lupo e la steppa” di Herman Hesse: sto provando a scriverne un adattamento per il cinema. Poi anche “Lo straniero” di Camus, meraviglioso, o “La nausea” di Sartre… Niente di troppo allegro, insomma [ride].
Che palle le cose allegre, dai!


Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
In linea di massima, non sono molto coraggioso… Però sicuramente lanciarmi in questa esperienza è stato un atto di coraggio. C’è da dire, però, che nel momento in cui dopo il provino vieni scelto per la parte, sei fortunato, ed è più facile avere coraggio quando hai anche fortuna.
Comunque, una cosa coraggiosa che ho fatto è stata decidere di voler fare della regia, della sceneggiatura e della recitazione il mio lavoro, una decisione estremamente diversa rispetto ai percorsi scelti dai miei amici che fanno l’università, per esempio, seguendo una strada di certo più sicura. La carriera cinematografica, invece, è incerta, rischiosa, ci vuole un attimo a spezzarla, così come ci vuole un attimo ad elevarla.
Di cosa hai paura, quindi?
Ecco, una cosa che ho scoperto grazie a Leonardo è che nella vita quotidiana, ma non in quella lavorativa, ho una folle paura del giudizio; prima di interpretare Leonardo, pensavo di averla superata completamente, di essermene liberato, invece non è così. Però, solo a livello personale: se leggo un articolo che parla male di me e del film, non mi smuove di una virgola, ma se una persona a me cara giudica il film in modo negativo, ci rimango male, mi pesa. Quindi, direi che in questo momento la mia paura più grande è il giudizio.
E cosa significa, per te, sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Con me stesso non mi trovo malissimo, però cosa significa sentirsi a proprio agio con sé stessi spero di scoprirlo nell’arco della vita, che non è per nulla scontato.
Ora, per sentirmi sicuro all’interno di questo corpo, di questo cervello, sotto questa pelle, credo che a mancarmi sia quello step necessario per non avere paura dei giudizi personali di cui parlavamo prima, perché spesso quel mezzo sguardo che noti, quella parola che ti sembra di troppo, ma che magari non era niente di che, sono semplicemente paranoie che ti rovinano le esperienze, i rapporti, le relazioni che invece dovresti goderti.
“…è più facile avere coraggio quando hai anche fortuna”

Stai viaggiando parecchio da qualche anno a questa parte, ma cos’è casa per te?
Sto ancora cercando di capirlo.
Sono andato via da Palermo per trasferirmi a Firenze, dopo aver abitato nella stessa casa per 12/13 anni. A Palermo, pur essendo a casa mia, mi sentivo un estraneo, anche se le persone che definisco “casa” sono là: i miei genitori, con cui ho recuperato un rapporto meraviglioso, e mia sorella che è l’amore della mia vita. Però, io a Palermo mi sentivo come di passaggio, e forse in questo ha influito anche il film, per cui ho dovuto girare tanto ed estraniarmi dalla città e dalla socialità che mi ero costruito là.
Adesso mi sono trasferito a Firenze in primis per esigenza, per il bisogno di benessere personale, di cercare una casa, e ho scelto una città in cui non conoscevo praticamente nessuno, di proposito. Ora, il fatto di avere un nuovo posto, una nuova stanza vuota, con le mura spoglie, e piano piano decorarla, per me significa poter rendere una cosa nuova mia, a partire da zero.
Penso di essere una persona abbastanza nomade, comunque, non vorrei mai vivere sempre nella stessa città, indipendentemente dalla città di per sé. Per il momento, mi sento più a mio agio costruendomi di volta in volta cose nuove: provo più soddisfazione nel costruirmi qualcosa di nuovo che nella stabilità.
La tua isola felice?
In questo momento il set: se dovessi decidere dove svegliarmi domani, direi il set, che sia davanti o dietro la camera.

Photos & Video by Johnny Carrano.
Grooming by Camilla Oldani.
Thanks to Leonardo Milan City Center.
LOOK 1
Trousers: Drumohr
Vest: Drumohr
Fake fur: AMF Fake
LOOK 2
Shorts: Cruna
Hoodie: Giovanni Gerosa
Fake fur: AMF Fake
LOOK 3
Total look: Emporio Armani
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