Quella che Margherita Laterza racconta (e vive ogni giorno) è una storia d’amore.
Per la recitazione, che l’ha portata a mettersi in gioco sia sul palcoscenico che sul grande e piccolo schermo.
Per la musica, che per lei rappresenta una “droga” con la quale sperimentare anche in prima persona.
Per l’ambiente, ricordandoci che ogni singolo contributo, anche se minimo, fa la differenza in vista del futuro.
Ma soprattutto, per la vita: Margherita si presenta con un entusiasmo travolgente di fare, di raccontare e di mettersi in gioco. Come? Interpretando personaggi forti, capaci di trasmettere l’urgenza di un cambiamento a favore delle donne (come la sua Anita Mancuso in “Bella da Morire”), affrontando ogni sfida con la giusta serenità (il vero must-have da avere sempre con sé, anche se arrabbiarsi sul serio ogni tanto è più che legittimo…) e ricordandoci che la vera bellezza si cela tra le luci e le ombre delle cose imperfette, non di certo su un social o tra gli irrealistici standard imposti dalla società.
Qual è il tuo primo ricordo legato a al cinema?
Il mio primo ricordo legato al cinema è sicuramente il cineforum domenicale nella casa dove sono cresciuta, con mia madre che cucina la pizza e mio padre che ci propina film improbabili: dall’ultimo film di Takeshi Kitano a “La corazzata Potionkin”…
Nel 2020 sei entrata a far parte del cast della serie “Bella da morire” di Andrea Molaioli, in cui interpreti il medico legale Anita Mancuso. Qual è stata la tua prima reazione quando hai letto la sceneggiatura e metabolizzato il ruolo che avresti dovuto interpretare? E qual è stata la prima domanda che hai rivolto al regista?
Anita è un folletto, quel personaggio che nelle commedie di Shakespeare sarebbe il “fool”: un essere a metà tra realtà e sogno; per intenderci quello che nella “Tempesta” è Ariel e ne Il “Sogno di mezza estate” è Puk. La mia prima reazione quando ho letto le sue vicende nella sceneggiatura intanto è stata di entusiasmo, perché non capita tutti i giorni di interpretare un Personaggio così complesso e poco scontato, tantomeno in televisione e poi ho provato grande tenerezza verso questa bambina geniale ma un po’ disadattata. Se non ricordo male chiesi ad Andrea Molaioli proprio qualcosa riguardo a quanto questo mondo parallelo di Anita fosse reale per lei e lui mi rispose che no, Anita non sente le voci, non “parla” con i morti, piuttosto la sua è una forma di estrema sensibilità che si trasforma in estrema asocialità: l’ambulatorio è un piccolo mondo sicuro, dove nulla di male può accadere perché tutto è già accaduto!
Il tuo personaggio svolge un ruolo fondamentale affiancando la protagonista, l’ispettrice Eva Cantini, nelle indagini sulla scomparsa di una loro compaesana. Come ti sei calata in un personaggio così diverso da te e dalla tua personale esperienza di vita? Riconosci qualcosa di te in Anita?
Devo dire che non mi sono sentita così distante da Anita… della mia sensibilità un po’ estrema io ho fatto il mio mestiere scegliendo di mostrarla, mentre lei la nasconde al mondo riservandola ai morti. Ho empatizzato molto con la difficoltà di scendere a patti con la bruttezza del mondo e col desiderio di dargli giustizia. Prima delle riprese ho passato una giornata nel laboratorio di mia zia a Napoli per prendere confidenza con provette, guanti e spostamenti in laboratorio e poi ho speso un bellissimo pomeriggio a chiacchierare con un’amica di famiglia anatomopatologa, scoprendo, tra le altre cose, che anni prima aveva scelto l’indirizzo di anatomopatologia proprio perché durante gli studi di medicina aveva capito di essere troppo sensibile per vedere le persone soffrire e morire…
Nella serie “Bella da morire” risuona forte e chiaro il tema del sessismo e della violenza sulle donne tanto nel quotidiano quanto sul posto di lavoro. Com’è stato partecipare ad un progetto che affronta temi tanto delicati e importanti, in questo momento storico più che mai?
Sono stata molto fiera di far parte di una produzione che affrontava questi argomenti. Trovo giusto che il servizio pubblico si assuma la responsabilità di parlare di temi importanti e anche potenzialmente disturbanti per il pubblico, come il femminicidio, tanto più che è una questione ancora tutta da risolvere: oggi sappiamo che durante il lockdown la situazione della violenza sulle donne si è addirittura aggravata. “Bella da morire” è una serie tutta al femminile e tutta incentrata su “donne forti” ; anche questo è un passo importante per l’emancipazione delle attrici, delle donne che si vedono rappresentate, e infine, speriamo, per tutti gli uomini che vedono sullo schermo figure femminili libere, forti, anticonvenzionali e soprattutto…al potere!
Come descriveresti “Bella da morire” in una sola parola?
Impegnativo!
“Trovo giusto che il servizio pubblico si assuma la responsabilità di parlare di temi importanti e anche potenzialmente disturbanti per il pubblico, come il femminicidio, tanto più che è una questione ancora tutta da risolvere”.
Cinema e televisione: cosa cambia nel tuo approccio a questi due diversi tipi di produzioni?
In linea teorica non cambia nulla, si tratta sempre di recitare bene. La verità però è che, almeno in Italia, la televisione ha dei tempi molto più veloci del cinema, quindi quello che cambia è sostanzialmente che quando fai televisione devi essere sempre pronto a tutto. Pronto ad appoggiarti a qualsiasi cosa possa esserti utile per dare il meglio in quella scena in quel momento, perché per quanto tu possa prepararti, i tempi forsennati delle produzioni televisive probabilmente sconvolgeranno i tuoi piani e le tue aspettative.
Stringere un forte patto di solidarietà col proprio compagno di scena è ancora più importante in Tv che al cinema: a dispetto della macchina produttiva, il tuo compagno, se è un attore generoso, non ti tradirà. Chiaramente la mia è una generalizzazione che ha delle eccezioni e poi, fortunatamente, le cose stanno cambiando, e anche le serie Tv italiane cominciano a ricevere la cura che meritano. Sicuramente non scorderò mai la mia esperienza di qualche anno fa sul set internazionale dei “Borgia“: allora mi era sembrato un altro mondo.
Sei un’attrice a tutto tondo: abbiamo avuto modo di ammirarti non solo sul grande e sul piccolo schermo, ma anche in numerose produzioni teatrali. Quale mondo è stato il primo amore?
Non saprei dire qual’è il mio primo amore. Ho fatto una scuola di cinema e professionalmente ho cominciato col video, ma è anche vero che quando salgo sul palcoscenico sento fortissimo il legame tra quella sensazione e quella che provavo da piccola quando organizzavo le mie prime “recite” e i miei primi “giochi col pubblico”. Il teatro ha un potere trasfigurante che il cinema non ha, sul palcoscenico puoi davvero trasformarti in chi e cosa vuoi e questo risponde evidentemente a una spinta che sento da quando sono molto molto piccola. Quando salgo sul palcoscenico sento quasi di tornare a casa, nel mondo della mia fantasia. E poi è più facile che il teatro accolga energie grandi (che nella vita e sullo schermo a volte non so dove mettere!) e che in compenso te le rimandi…difficile provare al cinema la sensazione che io ho provato cantando alla cavea dell’Auditorium o recitando sul palcoscenico dell’Argentina.
“Il teatro ha un potere trasfigurante che il cinema non ha, sul palcoscenico puoi davvero trasformarti in chi e cosa vuoi e questo risponde evidentemente a una spinta che sento da quando sono molto molto piccola”.
La musica è un’altra tua grande passione: in che modo sta crescendo ed evolvendo il tuo rapporto con quell’universo?
La musica…credo sia una droga da cui non potrò più tornare indietro! Nell’ultimo spettacolo (Mystery Train) cantavo accanto a quel talentuoso di Gabriele Amalfitano; da allora lui, che ora è un mio grande amico, non fa che ripetermi che dovrei fare la cantante. In questo momento sto scrivendo le mie canzoni; il mio è un progetto che ha a che fare con le mie origini napoletane. Mi piace tantissimo il rapporto che c’è tra la musica popolare e la musica elettronica: la ripetizione, la passione e il lirismo…vediamo cosa combino.
Una canzone per descrivere questo momento della tua vita?
Ascolto una quantità imbarazzante di musica, questa domanda è la più difficile! Allora dirò “La danse de Daphnis” di Pavane, perché c’è l’attesa, la gioia di vivere, la malinconia e la consapevolezza.
3 canzoni che non possono mancare nella tua playlist.
Diciamo 3 canzoni che non possono mancare ADESSO nella mia playlist (perché senno impazzisco):
1- “Ashiko” dei Clap Clap
2 – “A case of you” di Joni Mitchell
3- “Ogni pensiero vola” di Venerus
E poi Billy Holiday sempre, tutta la vita, per qualunque occasione.
Sei sostenitrice e attivista del movimento per la giustizia climatica e ambientale Fridayforfuture: in cosa consiste il tuo contributo alla causa? Avete in serbo qualche nuova iniziativa?
Con i ragazzi di Friday for Future Roma stiamo progettando uno spettacolo che racconterà la storia di Rachel Carson, Vandana Shiva e Wangari Maathai, tre donne-americana, indiana e africana- che hanno dedicato la loro vita alla lotta al cambiamento climatico e che hanno, ognuna a suo modo, delle storie incredibili. Durante la prima quarantena avevo la sensazione di DOVER fare qualcosa; il Covid per me (come forse per molti) è stata la sveglia definitiva. Se non cominciamo a invertire la rotta adesso, non solo rubiamo per sempre il destino ai nostri nipoti, ma già nel tempo della nostra esistenza questo virus sarà solo il primo di una serie. I virus sono aumentati esponenzialmente dagli anni 40 ad oggi, cioè da quando c’è stata la cosiddetta “rivoluzione verde”: quando disboschiamo per insediare colture o allevamenti intensivi, uccidiamo quelle specie che fanno da “cuscinetto” tra noi e i virus, cioè che ci proteggono da essi. Il Covid è il sintomo di una malattia molto più grave che non possiamo proprio più ignorare.
L’ultimo binge-watch?
“La regina degli scacchi” e “Sanpa”.
Quali storie sogni di raccontare?
Sogno di raccontare la storia della mia famiglia caprese, sconvolta dall’arrivo della donna da cui prendo il nome, Margherita Bielshowskj, ebrea tedesca in fuga dalla Germania nazista e approdata a Capri tra le due guerre, quando l’isola era rifugio per ebrei, intellettuali, omosessuali, dissidenti politici. È una storia incredibile su cui sto lavorando da anni con Pierpaolo Verga e che spero di poter presto raccontare al mondo.
“Se non cominciamo a invertire la rotta adesso, non solo rubiamo per sempre il destino ai nostri nipoti, ma già nel tempo della nostra esistenza questo virus sarà solo il primo di una serie”.
L’ultima cosa che hai scoperto di te stessa?
Che sono capace di arrabbiarmi sul serio! Che di fronte a certi modi brutali che fino ad oggi ho subito più o meno in silenzio per mancanza di strumenti, oggi ho imparato a difendermi. Ed è una gran bella scoperta… soprattutto per una donna: troppo spesso noi donne siamo abituate ad essere accomodanti anche rispetto a situazioni insostenibili, e invece dobbiamo poterci arrabbiare, quando necessario, esattamente come gli uomini.
Cosa vuol dire per te sentirti a tuo agio nella tua pelle?
Sono a mio agio nella mia pelle quando riesco a integrare nella mia immagine di me il bello e il brutto, le luci e le ombre. Quando mi ricordo che sono affascinanti le cose che ci attirano e ci respingono insieme, non le cose perfette (che, tra l’altro, non esistono).
Il tuo must-have sul set?
La serenità è l’unica cosa che non vorrei mai mi mancasse sul set, non ho necessità materiali. Ma se manca quella, allora è imprenscindibile il coraggio di riversare e trasformare nella scena qualsiasi (più o meno) stato d’animo mi attraversi in quel momento. Nasconderlo per me non funziona, per la mia esperienza è inutile e dannoso, è tutta energia repressa. Che lavoro complesso il mio eh?
Un epic fail sul set?
L’epic fail degli epic fail è stato quello accaduto sul set de “Il terzo tempo” di Enrico Artale. Campo da rugby, scena finale de film. Il mio compito era seguire di corsa un segnetto sulla telecamera facendomi largo tra i rugbisti per arrivare al mio compagno di scena al centro del campo (Lorenzo Richelmy). A un certo punto, dunque, Lorenzo si sarebbe dovuto sostituire al segnetto rosa e ci saremmo dovuti baciare appassionatamente. Al primo ciak di questo splendido piano sequenza io inseguo il famoso segnetto con una tale dedizione che non solo mi faccio largo tra i rugbisti manco fossi una di loro, ma arrivata da Lorenzo scanso anche lui e continuo imperterrita a seguire il segnetto! Ancora mi ricordo la faccia dell’aiuto regista, che indica Lorenzo alle mie spalle…
Hai paura di?
Ho paura di fallire. Non sono esente dal male di quest’epoca. Ma ci sto lavorando. Viviamo in una società che ci dice che se non raggiungiamo certi obbiettivi (che magari non sono neanche i nostri) non siamo nessuno, che la dimensione del fare è tutto e quella dell’essere è niente. Siamo bombardati da modelli preconfezionati di successo, di bellezza, di forza. È tutto falso. Nulla di tutto ciò che ci propina la società dei consumi e ora i social ha il potere di indicarci la strada per la felicità, al massimo può indicarci la strada verso l’ansia di essere inadeguati, che io credo colpisca tutti, a prescindere dal numero dei followers. Io cerco sempre di tenere strette le più belle sensazioni della mia vita e di ricordarmi che non hanno mai a che vedere col rispondere alle aspettative degli altri o col sentirmi meglio di loro, ma sempre col sentirmi connessa con gli altri e amata nelle mie fragilità.
“Nulla di tutto ciò che ci propina la società dei consumi e ora i social ha il potere di indicarci la strada per la felicità, al massimo può indicarci la strada verso l’ansia di essere inadeguati, che io credo colpisca tutti, a prescindere dal numero dei followers”.
L’ultima bugia che hai raccontato?
Non ho mai raccontato una bugia in vita mia. Eccola.
Il personaggio del cinema che vorresti come amico?
Groucho Marx. Pagherei oro per una serata con lui.
Il primo dvd che hai comprato?
Forse i diari della motocicletta, che comprai con il libro. O almeno il primo che ricordo di aver comprato. Tra l’altro mi ero completamente innamorata di Gael Garcia Bernal.
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Credo decidere di andare a destra al bivio di un sentiero in mezzo alla giungla, un bel po’ di anni fa, in Nepal, quando, la mia amica Gioia ed io avevamo perso la guida e la strada. Siamo andate a destra, abbiamo attraversato uno sgangherato ponticello di legno alla Indana Jones e arrivate dall’altra parte, dove fortunatamente c’era la guida, gli abbiamo fatto un culo così per averci abbandonate nel nulla (in realtà non so se ha capito una parola di quello che gli ho detto).
In generale quel viaggio, iniziato con un trekking a 3000 metri nel Mustang, inframmezzato dall’attraversamento a piedi di una zona inaspettatamente colpita dai monsoni e finito a Katmandu, ha messo a dura prova il mio coraggio, anche perché la mia amica (non me ne voglia, Gioia sai che ti amo) era piuttosto spesso in preda ad attacchi d’ansia per le molteplici situazioni a rischio di morte che abbiamo incontrato lungo la nostra strada e per qualche motivo io mi trovavo ad essere quella “coraggiosa”. D’altro canto gli attori hanno tanti difetti (ma proprio tanti tanti) ma è difficile che siano proprio dei fifoni. Fare l’attore di per sé è una cosa molto coraggiosa, lo dico senza retorica: esporsi costantemente al giudizio degli altri richiede fegato.
Qual è la tua isola felice?
Capri, senza dubbio. Lì ho quasi tutti i miei ricordi più belli. E la maggior parte di quelli con la mia nonna caprese, che è stata il mio primo grande amore. Se porto un uomo con me a Capri, a casa mia, vuol dire che sono davvero innamorata.
Cosa ci puoi svelare dei tuoi progetti futuri?
Sono impegnata in due altri bei progetti Rai, però sono stata intimata di non dire altro… E poi è in uscita un cortometraggio di Paolo Mannarino che ancora non ho visto ma di cui sono molto curiosa: lavoro per la prima volta col mio amico Edoardo Purgatori (che stimo tanto) e poi in questo corto ballo come una pazza attingendo agli anni di danza africana e danza classica…e all’aiuto della mia amata insegnate del centro sperimentale Silvia Perelli. Infine ci sono altri progetti teatrali in cantiere. Speriamo davvero che i teatri e i cinema riaprano presto: abbiamo bisogno di elaborare collettivamente tutte le cose che ci stanno accadendo.
“Fare l’attore di per sé è una cosa molto coraggiosa, lo dico senza retorica: esporsi costantemente al giudizio degli altri richiede fegato”.
Photos by Johnny Carrano.
Thanks to Other Srl.
Makeup by Chantal Ciaffardini.
Styling by Sara Castelli Gattinara.
Location Manager Luisa Berio.
Location Le Méridien Visconti Rome.
LOOK 1
Chemisier Dress: Edoardo Gallorini
Rings: Flaminia Barosini
Shoes: TOD’S
LOOK 2
Dress: Edoardo Gallorini
Shoes: Roger Vivier
Jewels: Flaminia Barosini
LOOK 3
Dress: Edoardo Gallorini
Jewels: Flaminia Barosini
Hat: 11/20