Più un personaggio è sotto i riflettori, più si ha quasi la percezione di conoscerlo.
Più si ha quasi questa percezione, più, spesso, ci si sbaglia: perché quel che non si vede a volte racconta ben più di quello che abbiamo davanti ai nostri occhi.
Succede anche con un nome come quello di Karl Lagerfeld, “Il Kaiser della Moda”, morto nel 2019 dopo una carriera nel mondo del fashion che lo ha portato, anche mentre era in vita, a guadagnarsi il titolo di “leggenda“. Uno stilista eccentrico, un creativo visionario, un’amante della bellezza in ogni sua forma e una personalità forte: Karl ci ha donato alcune delle collezioni più iconiche di brand quali Chanel, Fendi e Chloè, rivoluzionando la moda in maniera sovversiva e imprevedibile, ed entrando di diritto nell’olimpo dei più grandi stilisti della storia. Dietro ai suoi iconici occhiali da sole neri e i suoi completi bianchi e neri impeccabili, si nascondeva una personalità gentile, malinconica e vulnerabile.
A far luce sulle ombre di Karl, grazie anche alle numerose testimonianze del suo entourage e dei suoi illustri amici e colleghi, ci ha pensato Marie Ottavi nella biografia “Karl“: dopo una serie di incontri con Lagerfeld stesso, Marie ha sviluppato un’ossessione (positiva) per la sua figura e ha scavato a fondo nella sua persona e storia. Toccato da un’infanzia difficile, coinvolto in un amore che l’ha segnato per tutta la vita e dalla voglia di rivoluzionare la moda sia con gesti piccoli che più plateali, Karl Lagerfeld dunque si presenta, tra le pagine del libro di Marie, in una veste inedita tutta da scoprire. Con Marie, abbiamo avuto l’occasione di discutere proprio di Karl Lagerfeld come uomo, come essere umano, andando oltre la figura dello stilista e del genio, per immergerci in quel che Karl è stato e del suo lascito. Semplicemente ma anche, forse per la prima volta, onestamente.
Karl Lagerfeld è stato ed è tutt’oggi un’icona del mondo della moda: dopo la sua morte, ci sono stati diverse biografie dedicate al maestro e, prossimamente, uscirà anche una serie su Disney+. Perché dunque la scelta di questo personaggio?
Ho incontrato Karl Lagerfeld dopo l’uscita del mio primo libro su Jacques de Bascher, che è stato un personaggio centrale nella vita di Karl e ha contribuito alla parte più romanzesca della sua vita. Tuttavia, al di là di questo, al di là della ricerca che avevo già effettuato, dopo quell’incontro Karl mi era sembrato una chiave per raccontare l’evoluzione della storia della moda. Quindi, il mio intento è stato non solo quello di parlare del suo personaggio, ma anche caratterizzare uno sguardo un po’ più pittorico e raffrescato del mondo della moda dell’ultimo periodo.
Come dici anche nel libro, se per il tuo precedente lavoro su Jacques de Bascher c’erano poche informazioni a disposizione, su Karl forse ce ne sono fin troppe. Come si è svolto a questo proposito il tuo processo di organizzazione del materiale?
In realtà, la grandissima quantità di informazioni che avevo a disposizione non è sempre stata un vantaggio, nel senso che Karl raccontava cose diverse da un’intervista all’altra, quindi si è trattato semplicemente di immergersi totalmente negli archivi, sia in quelli di moda che in quelli di immagini, quelli televisivi, quelli di stampa. È stata, dunque, un’operazione di filtraggio di questa mole di informazioni, per poi fare una selezione e trovare un equilibrio.
Per quanto fosse sempre sotto i riflettori, ho sempre avuto l’impressione che Karl fosse un personaggio ricco di sfumature e, soprattutto di ombre: quale aspetto di Karl è stato più interessante per te scoprire e portare alla luce?
Ci sono stati tanti aspetti che hanno suscitato il mio interesse, già a partire dall’infanzia di Karl e il tema delicato del nazismo che lui, per lungo tempo, ha nascosto, ma ha pur sempre vissuto quando era bambino. Poi, naturalmente, tantissimi aspetti prima nascosti e che ho potuto svelare, come per esempio il rapporto con Jacques de Bascher che avevo già approfondito con il libro precedente, un rapporto estremamente peculiare, e anche tutte le vicissitudini dopo la sua morte, che hanno segnato un periodo un po’ più fosco della vita di Karl, fino alla successiva scoperta della luce. Tantissimi aspetti della sua storia, comunque, sono stati una costante scoperta.
Per quanto la sua visione sia sempre stata rivolta al futuro, emerge tra le tue pagine un aspetto malinconico dello stilista, forse dovuto anche al passato difficile che ha affrontato. Oltre a questo comunque, era anche una persona sensibile, esagerata e acculturata: quale lato di Karl ti ha più colpita a livello umano?
Ci sono tanti aspetti della sua personalità che ho trovato interessanti a livello umano. Innanzitutto, ho amato il fatto che fosse ambivalente e anche un po’ amorale, a volte, un po’ voyeur, bitchy, provocatore, ma allo stesso tempo avesse un’immensa cultura. Questo lo rendeva molto affascinante. Quando l’ho incontrato, sono rimasta particolarmente colpita dalla sua grande generosità, una qualità innata che aveva, e dal fatto che, allo stesso tempo, nonostante avesse una grande cultura e una presenza ingombrante, riuscisse a metterti a tuo agio, senza mai darti l’impressione di volerti “schiacciare”, prevaricare, si mostrava su un piano culturalmente elevato ma mai con l’intenzione di schiacciare l’altro.
Anche il concetto di amore, o meglio, della mancanza di amore, per Karl ha sempre rappresentato un punto critico. Cos’hai scoperto a riguardo, mentre scrivevi il libro?
L’assenza d’amore, a mio parere, non ha mai riguardato Karl: l’amore c’era eccome nella sua vita. Se parliamo di assenza d’amore dal punto di vista carnale, allora è corretto, perché Karl si autodefiniva asessuale, e tra l’altro con gran coraggio in un’epoca in cui non era così scontato poterlo dichiarare. Quindi, il tipo di amore che lo legava a Jacques era molto diverso dallo standard, ma c’era, ed ho avuto modo di verificarlo dal fatto che, quando lo Jacques, Karl piangeva se lo si nominava. Questa melanconia, questo senso di mancanza di Jaques, dopo la sua morte, l’ha tormentato per molto tempo. Quando gli ho chiesto che cosa lo legasse a Jacques, lui mi ha risposto: “la differenza”, e questo mi ha molto colpita, perché ho capito che quella molto probabilmente è l’essenza dell’amore più puro e più vero. Karl l’amore se l’è trascinato con sé per tutta la vita. Per tanto tempo ha cercato di fuggire dalla tristezza e dalla malinconia, ma non c’è mai riuscito.
“Quando gli ho chiesto che cosa lo legasse a Jacques, lui mi ha risposto: ‘la differenza’, e questo mi ha molto colpita, perché ho capito che quella molto probabilmente è l’essenza dell’amore più puro e più vero”.
Che relazione si è creata con la figura di Karl durante il processo di scrittura? Come è evoluta nel tempo, considerando anche che l’hai conosciuto di persona?
In realtà, la mia opinione non è molto cambiata: l’idea che avevo è rimasta tale e si è confermata nel momento del mio incontro con Karl, anche se, e di questo sono molto fiera, quando ci siamo visti lui si è aperto molto, mostrando un lato molto più sensibile di sé e svelando cose che invece avrebbe voluto tenere nascoste. Tuttavia, in generale, lui era caratterizzato da una profonda solitudine e una profonda freddezza; come arma personale, tendeva a tagliare i ponti con tutto ciò che lo rendeva vulnerabile, e probabilmente non ha mai voluto neanche tentare di psicanalizzarsi o farsi psicanalizzare, per capire cosa ci fosse nel profondo di sé, ha sempre voluto chiudere gli occhi di fronte a tutto. Però, mi ha appunto sorpresa il fatto che, quando l’ho incontrato, abbia rivelato una grande e inaspettata sensibilità, e anche una loquacità maggiore rispetto a quanto mi aspettassi.
Il suo approccio anti-convenzionale e imprevedibile alla vita si è anche poi riversato e visto anche nel suo approccio al lavoro e nelle sue creazioni. Dopo averlo conosciuto di persona, e più da vicino attraverso le numerose testimonianze presenti in questo libro, come descriveresti la sua rivoluzione artistica e creativa?
Probabilmente, a livello di stile, anche Yves Saint Laurent aveva affrontato sfide simili alle sue, se non alcune ancora più grandi, però non dobbiamo dimenticare che Karl Lagerfeld ha un lungo curriculum pieno di rischi. Per esempio, lui è stato il primo a fare moda prêt-à-porter: avrebbe benissimo potuto accontentarsi di fare haute couture alla vecchia maniera, e invece ha deciso di abbracciare il mondo del prêt-à-porter. Poi, lui per un periodo ha lavorato per più marchi, cosa che all’epoca era molto malvista, e ha compiuto spesso delle scelte che venivano considerate di cattivo gusto: per esempio, ha scelto come beniamina un’attrice porno durante il suo periodo in Fendi. È anche stato il primo a identificare la Maison per cui lavorava con una sola modella, nel suo caso Inès de La Fressange, in cui riconobbe l’unica modella con una personalità forte e adatta a rappresentare Chanel. Le sue sono state piccole, grandi rivoluzioni, un approccio molto nuovo al mondo della moda.
Parlando di testimonianze e interviste per questo libro, ce n’è stata una che ti ha colpita? E se sì, perché?
Ce ne sono state diverse. Prima di tutto, quelle di Jürgen Doering e Bruno Pavlovsky. Quest’ultimo è il presidente di Chanel, il primo invece ai tempi lavorò contemporaneamente per Saint Laurent e Lagerfeld, e fu il primo a fare una cosa del genere, riuscendo, così, ad offrire un punto di vista differente sui due studi. Era un uomo molto sensibile, e la conversazione con lui ha avuto un ruolo molto incisivo nella stesura del mio libro. Poi, anche Carolina di Monaco: sono stata a casa sua, lei si è aperta tantissimo con me ed era una delle migliori amiche di Karl, dunque una fonte inesauribile di aneddoti. Anche Bruno si è aperto e mi ha raccontato molto più di quanto mi aspettassi, ci siamo divertiti, abbiamo scherzato molto insieme.
“Le sue sono state piccole, grandi rivoluzioni, un approccio molto nuovo al mondo della moda”.
C’è una collezione di Karl Lagerfeld che ti ha particolarmente colpita? Io sono sempre stata affascinata dal set design delle sue sfilate e ricordo ancora quella che ha fatto alla Fontana di Trevi a Roma per Fendi.
Non saprei scegliere una collezione specifica, ma sicuramente il mio periodo preferito di Karl è quello di Chanel dagli anni ’80 ai ’90, soprattutto quando è andato un po’ troppo oltre nel territorio “bling bling” [ride]. Probabilmente, adesso troverei scioccante quel tipo di approccio alla cultura hip hop che lui aveva adottato a quell’epoca, ora magari lo vedrei storcendo un po’ il naso, perché riconosco che è appropriazione di una cultura che non gli apparteneva, però ho adorato quest’aspetto “gold” delle sue linee di quel tempo.
In che modo secondo te l’icona Karl Lagerfeld sopravviverà allo scorrere del tempo, vista anche l’ossessione che Karl stesso aveva per questo argomento?
Quello che resterà di Karl non posso saperlo, ma posso dire che se fosse ancora vivo, probabilmente avrebbe avuto tantissimi problemi con i social network. In particolar modo, in un’epoca di “cancel culture”, penso che Karl sarebbe stato cancellato nel momento in cui avrebbe aperto un profilo TikTok [ride]. In francese, abbiamo un termine un po’ volgare, “grand gueule”, che però si addice a Karl e alla sua “gran boccaccia”: lui diceva la sua su tante cose, senza freni, e io stessa mi sono ritrovata totalmente in disaccordo su molte posizioni di Karl, soprattutto sulle sue idee a proposito delle donne, che erano molto controverse e con cui, fortunatamente, quasi nessuno è d’accordo. È anche vero, tuttavia, che manca ad oggi una figura che abbia il coraggio di essere così tanto “grand gueule”, spietato, graffiante, menefreghista.
In questi ultimi tempi, sta avendo molto successo la rubrica di Vogue “73 domande con…”, e c’è l’episodio con Anna Wintour in cui è palese che l’intervista sia stata tutta preparata e orchestrata, per giocare con gli aspetti più bizzarri della sua persona (che non è per niente facile); ecco, probabilmente in quella rubrica manca Karl. Non saprei, effettivamente, come avrebbe potuto essere supportato dalla generazione più giovane, ma una personalità come la sua oggi manca davvero.
Qual è il ricordo a cui sei più affezionata legato a questo libro?
Il momento in cui ho conosciuto Karl e in cui ho potuto finalmente domandargli qualcosa in più sul suo rapporto con Jacques de Bascher. Più volte mi era stato detto che sarebbe stata un’intervista quasi impossibile, perché lui su questi temi non si esponeva mai. Quando, invece, ho ricevuto la telefonata che Karl avrebbe accettato di parlarne con me, è stata una grandissima emozione. Ricordo perfettamente che, dopo l’intervista, quando stavo tornando a casa in scooter, avevo il terrore di fare un incidente per il semplice motivo che avevo tutta l’intervista sul telefono e quindi, se mi avessero investita, sarebbe stata una catastrofe, perché un tesoro sarebbe andato perduto… Non vedevo l’ora di arrivare a casa e metterlo in salvo! [ride] Da questo episodio, ovviamente, è nato il libro, quindi quando penso al libro non posso fare a meno di pensare a quel momento lì, che è stato determinante per me.
“Una personalità come la sua oggi manca davvero”.
Scrivere è anche un profondo processo che, in un modo o nell’altro, ci porta a conoscere meglio se stessi. Hai scoperto qualcosa di nuovo su di te scrivendo “Karl”?
La cosa più importante che ho scoperto è che sono molto più stacanovista di quanto pensassi. Quando scrivi di qualcuno, entri in una totale empatia con quella persona, o ne diventi addirittura ossessionato. Quando ho iniziato a scrivere di Karl, ho sviluppato un’ossessione per la sua vita al punto che, quando mi trovavo a partecipare ad eventi sociali e conversare con conoscenti che mi parlava della propria vita, io pensavo: “Chi se ne frega, mi interessa solo di Karl” [ride]. Il processo di scrittura del libro è stato davvero un tête-à-tête, che mi ha resa sicura di me.
Karl Lagerfeld una volta ha detto di essere “una specie di ninfomane della moda”. Per te invece, cosa rappresenta questo concetto e questo mondo?
Quello che preferisco di questo mondo è la stravaganza, ma l’aspetto più formidabile della moda è che, attraverso di essa, possiamo sviluppare una maggiore consapevolezza dell’evoluzione dell’essere umano: delle donne, degli uomini, della società, dell’economia, della storia. E tutto questo avviene attraverso un mezzo che apparentemente sembra frivolo, ma in realtà ha tantissime sfaccettature.
Il libro sul tuo comodino in questo momento.
Proprio in occasione del mio viaggio in Italia, ho iniziato a leggere “Scritti corsari” di Pasolini, una raccolta di articoli che ho in edizione tascabile; a Parigi, invece, sto per finire il saggio “What Artists Wear” di Charlie Porter, che mi sta piacendo molto.
Su quale personaggio sogni di scrivere prossimamente, sia del mondo della moda che non? O hai già delle previsioni all’orizzonte?
Al momento, in realtà, sto lavorando ad una sceneggiatura che affronta il tema dell’omosessualità negli anni ‘70/’80; non posso svelare molto, ma ti dico che non ha nulla a che vedere con la moda. Parallelamente, sono alla ricerca del mio prossimo soggetto.
Thanks to L’Ippocampo Edizioni.
Credits Cover Picture of Marie Ottavie: Matthew Oliver.
Pictures of the article from the book: “Chanel. Le campagne di Karl Lagerfeld” (2018), published by L’Ippocampo Edizioni