Tra i vicoli di Venezia, con nella mente ancora il film “Padre Pio” e la sua forza.
Diretto da Abel Ferrara, “Padre Pio” è un film che nella sua essenzialità ci ha fatto vivere qualcosa di unico, rimanendo sotto la nostra pelle. E, tra i vicoli di Venezia, in una giornata un po’ nuvolosa, incontriamo Martina Gatti, che ci spiega come è stato speciale, diverso ed unico lavorare al film con un regista come Abel e di come fosse terrorizzata all’inizio delle riprese. Ma con Martina abbiamo parlato anche di indifferenza, ribellione e delle sue isole felici, e di come a volte queste isole si possano trovare sulla cima di una montagna.
Qual è il tuo primo ricordo legato al mondo del cinema?
Lady Oscar e Anastasia, quanto desideravo essere come loro.
“Padre Pio” è un film unico nel suo genere, parlando di redenzione ma allo stesso tempo di colpa e di rivoluzione. Come ti sei preparata per il tuo ruolo?
Ho cercato di pensare a cosa potrebbe succedere a una persona che perde tutto e in cambio le viene proposta la “rivoluzione“, parola che Anna non ha neanche mai sentito. L’ho immaginata sempre in bilico tra il lasciarsi completamente andare alla sua sofferenza e la voglia di trasformarsi in una guerriera. Per me, nessuna delle due cose si realizza mai, e lei resta in bilico tutta la vita.
“L’ho immaginata sempre in bilico tra il lasciarsi completamente andare alla sua sofferenza e la voglia di trasformarsi in una guerriera”.
Abel Ferrara, il regista, non ha voluto utilizzare luci artificiali, molte delle inquadrature ricordano quasi dei dipinti e ha un modo particolare e unico di raccontare questa storia, quasi minimalista, essenziale ma che proprio per questo “rimane con te”. Quando hai letto la sceneggiatura, qual è stato il tuo primo pensiero? E qual è stata la prima domanda che hai fatto ad Abel?
Terrore. Anna ha forse una battuta, e nel film piange solo. Avevo una paura enorme di non riuscirci, e con Abel ho parlato proprio di questo. Lui mi ha rassicurata, ma non è bastato: nemmeno Abel Ferrara riesce a far sparire la mia ansia.
Nel film, l’assenza di Padre Pio a tutto quello che sta succedendo diventa quasi una delle presenze maggiori del film. Nella vita, quando ti fa incazzare l’indifferenza?
Non mi esprimo. La mia percezione è che questa parola la usino un po’ tutti ultimamente, e ne abusino. Le persone parlano tanto di quanto schifo faccia l’indifferenza generale, e a me sembra un po’ ipocrita. Io di certo non mi definisco un’indifferente; nessuno lo fa. Eppure le cose non cambiano. Perché, se nessuno di noi è indifferente a nessuno, allora non si è creata alcuna differenza?
“Perché, se nessuno di noi è indifferente a nessuno, allora non si è creata alcuna differenza?”
In generale, cosa ti fa dire di sì a un progetto?
Diciamo che ancora non sono arrivata al punto di poter selezionare i progetti per cui vengo presa, mi ritengo fortunata quando qualcuno ci casca e mi sceglie. Quando potrò, diro sì alle belle storie, e al modo in cui sono scritte. Saranno dei sì principalmente per la scrittura.
Immagino che, nel fare il lavoro dell’attore e nell’immedesimarsi sempre in altre persone, si vengano a scoprire anche nuove cose di sé stessi. Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te?
Sono molto d’accordo con il conoscere sé stessi recitando. Purtroppo, l’ultima cosa che ho scoperto di me facendo un monologo mesi fa è un po’ triste. Ho realizzato di essere una persona sola, pur essendo un animale sociale, e avendo tantissime persone vicine a me. Realizzarlo è stato illuminante.
“Conoscere sé stessi recitando”
Quando prepari un personaggio, sei più razionale o istintiva?
Servono entrambe le parti, anche se la mia prima analisi è sempre razionale e basata sulla sceneggiatura. Se leggi bene lì c’è già tutto. Anche la musica.
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Ho cercato di non avere paura.
Di cosa hai paura invece?
Tutto. Aerei. Aghi. Buio, mostri, camminare da sola la notte, i tuffi al mare. Però sento che ci sto lavorando. Per esempio non ho più paura di nessun insetto.
Il tuo più grande atto di ribellione?
L’ultimo anno del liceo ho chiesto ai professori di essere bocciata alla maturità per restare a scuola, dove stavo così bene. Hanno detto no.
Cosa significa, per te, sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Significa ballare come ti senti anche se non hai il senso del ritmo.
“Significa ballare come ti senti anche se non hai il senso del ritmo”.
Una persona/personaggio reale che vorresti interpretare?
Non è una persona reale, ma il personaggio di un libro. Il mio sogno è interpretare Meme, uno dei personaggi di “Cent’anni di solitudine” di Gabriel García Márquez.
La tua isola felice?
Voi non lo sapete ma io è da tutta la vita che uso l’espressione “isola felice” per dire quando sto veramente bene. Per questo conosco bene la risposta. Ne ho avute tante. La mia isola felice è stata la palestra dove facevo ginnastica artistica da piccola. È stata il liceo, è stata una casa al mare a Terracina, è stata il tavolino di un bar a Trastevere con i miei amici. È stata Berlino, è stata mia mamma, e poi è stata anche un paesino in Puglia dove ho girato un film. Un’isola in montagna.
“È da tutta la vita che uso l’espressione ‘isola felice’ per dire quando sto veramente bene”.
Makeup by Laura Casato
Makeup assistant Carolina Scerra
Hair by Francesca Amenta
Styling by Valentina Palumbo
Thanks to Lapalumbo Comunicazione
Thanks to Armani Beauty
LOOK 1
Fendi
LOOK 2
Missoni