“La Quietud” è un dramma familiare presentato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, diretto dal regista argentino Pablo Trapero, che parla di legami familiari, di sangue e di perdono. Ciò che salta all’occhio riguardo questo film è il rapporto tra le due sorelle, interpretate rispettivamente da Martina Gusmán (nel ruolo della sorella maggiore Mia) e da Bérénice Bejo nei panni di Eugenia. Sullo sfondo della casa dei genitori, una villa chiamata “La Quietud”, le due sorelle così diverse tra di loro affrontano insieme la vita adulta, le perdite e la riscoperta di loro stesse, in un viaggio che porterà ad una fine inaspettata.
Abbiamo chiacchierato con Martina della sua esperienza a Venezia, del ruolo di Mía e della preparazione per “La Quietud”, vissuta fianco a fianco con Bérénice che, oltre ad essere una sorella sullo schermo, è diventata una vera amica.
____________________
È chiaro come il rapporto tra le due sorelle sia piuttosto complesso: come ti sei avvicinata al ruolo? L’hai trattato in maniera romantica?
____________________
Sicuramente in maniera romantica.
Può essere il tipo di amore più puro che tu possa mai ottenere. In questo caso sono due sorelle e si sente il sangue, la famiglia che le unisce, ma è un rapporto di tipo diverso, anche perchè non tutte le relazioni sono uguali. È qualcosa che va oltre l’amore tra sorelle: è chiaro che sono intrappolate in un rapporto profondamente simbiontico, come se fossero due facce della stessa persona.
Con Bérénice abbiamo anche lavorato insieme per un breve periodo, quando sono andata da lei per due settimane e abbiamo vissuto insieme. Dopodichè abbiamo lavorato a distanza sulla relazione, mandandoci immagini e musica della nostra infanzia, ricostruendo il passato delle due protagoniste e ricostruendo in un certo senso il mondo immaginario delle sorelle. Poi Bérénice è venuta in Argentina, abbiamo vissuto insieme in una cosa molto simile a quella ne “La Quietud” ed eravamo insieme tutto il tempo. Facevamo colazione insieme, andavamo insieme sul set e cenavamo insieme.
____________________
Come le sorelle nel film.
____________________
Esatto, come le sorelle. Abbiamo lavorato su questa simbiosi e l’abbiamo messa a frutto durante le riprese.
“…
intrappolate in un rapporto profondamente simbiontico”
____________________
Lavorando sul personaggio, hai tratto qualcosa dalla tua esperienza personale?
____________________
Oh, grazie al cielo no, non l’ho fatto! In realtà ci sono certi elementi a cui mi sono ispirata – e anche Bérénice. Per esempio l’effetto che ha avuto la dittatura militare sulle nostre vite e sulle nostre famiglie. La famiglia di Bérénice è stata esiliata dall’Argentina a causa della dittatura, ma la mia famiglia ha deciso di rimanere. È stato incosciente, ovviamente, perché tanti dei nostri amici di famiglia sono desaparecidos e io sarei potuta benissimo essere figlia di desaparecidos. È stato un miracolo. Quindi c’era questo aspetto del personaggio di Mia, che vuole sempre che la verità venga a galla, che vuole che sia espressa sempre: è qualcosa in cui mi rivedo. Inoltre, le relazioni in “La Quietud” sono stereotipate, funzionano come archetipi. Ad esempio, il personaggio negativo della madre: c’è qualcosa di universale nel rapporto tra i personaggi.
E possiamo renderci conto che il film ruota attorno alle relazioni, dalla relazione con la madre a quella con la sorella e il padre. C’è questa sensazione che Mia abbia bisogno di amore, di essere riconosciuta, ed è qualcosa in cui tutti ci possiamo ritrovare. Ovviamente in questo posso mettere qualcosa di personale, non perché abbia questo tipo di relazioni o perché prendo spunto dalle mie relazioni, ma perché posso rivedermi nel desiderio di maternità o nel bisogno di essere amata o in tutte queste paure, che sono i temi che si vedono attraverso tutto il film e che ne compongono l’universo. Non c’era in questo senso un universo particolare in cui far muovere i personaggi: in “Leonera” c’era il mondo della prigione, in “Carancho” c’era l’America, e qui entriamo nel mondo delle emozioni. Quindi ho messo delle emozioni che sono mie a servizio del personaggio.
____________________
I personaggi maschili sono quasi negativi.
Come hai lavorato su questo aspetto “negativo” dei personaggi maschili?
____________________
Non so se definirlo un aspetto negativo. I personaggi maschili sono oggetti per le ragazze, sono funzionali, ma non so se sono davvero negativi. Per loro sono positivi.
Il personaggio di Vincent è ciò che permette alle sorelle di minimizzare il desiderio che provano l’una per l’altra, impedendo loro di commettere un incesto. È questo il suo ruolo.
O Esteban: permette ad Eugenia di sostenere il fatto che sua sorella abbia una relazione con suo marito, perchè anche lei ha un altro uomo. O il padre, che alla fine è l’unico che ama davvero Mia. Non so se abbiano un lato negativo a parte il fatto che sono manipolati e usati da queste donne, perchè alla fine è sicuramente un film che parla dell’universo femminile, quasi in opposizione al concetto di “Clan” che vedevamo nel film precedente, che invece è un universo maschile. In questo caso si tratta di un universo femminile.
____________________
E, ovviamente, è un film che parla anche dell’empowerment femminile ed è un momento piuttosto particolare per parlarne, anche con il movimento “Time’s Up”. Cosa pensi che questo film possa portare alle donne?
____________________
Credo che Pablo sia bravo a mostrare il mondo femminile, specialmente se si tratta di esaltare la figura femminile. È molto coraggioso, anche nel suo modo di esporre la sessualità; si può davvero riconoscere il punto di vista di Pablo. In questa scena dove le due sorelle si trovano in una situazione intima, nel subconscio della società tutti potrebbero pensare ed immaginare due uomini, ma con due donne è un taboo. Se vi dico “potete immaginare due uomini, fratelli o amici, che si masturbano”, la risposta sarebbe “magari non l’ho ancora visto in un film, ma sicuramente posso immaginarlo”.
Quel che riguarda le donne è qualcosa che turba di più, perchè è un tabù. Credo che il film inizi ponendo queste basi, dicendo “vedete, siamo davvero uguali”. E questo inquieta e provoca il pubblico. Penso che sia questo il punto da cui parte il film, un film che parla di aborto, di differenti tipi di famiglia, quindi penso che il film tratti di empowerment femminile, che è qualcosa che Pablo tratta in maniera istintiva e viscerale.
Siamo davvero uguali.
____________________
Qual è la ricetta segreta del cinema latino-americano, che ultimamente sta vivendo un’epoca d’oro?
____________________
Non so esattamente se ci sia un segreto! [ride]
Credo che ci sia qualcosa di caratteristico nell’industria, ma non so se si possa parlare di cinema latino-americano in generale, perché credo che sia molto differente: il cinema in Argentina non ha niente a che fare con quello messicano o brasiliano. Ma nel cinema argentino, che sta andando molto bene, penso che ci sia qualcosa di differente, anche considerando la differenza di stili al suo interno: ci sono moltissimi film diversi l’uno dall’altro, come tematica e come stile, ma con un filo conduttore riconoscibile, qualcosa di tipicamente argentino.
Allo stesso tempo c’è qualcosa di universale e con proposte interessanti, sia in materia di qualità tecnica e artistica.
Penso che questo tipo di combinazione sia qualcosa che può valere come “ingrediente segreto”, qualcosa di particolare, ma non credo che si possa riunire in un singolo slot, in tutto il “Cinema latino-americano”. In questa edizione della Mostra abbiamo tre film argentini che sono molto differenti tra loro: “Mi Obra Maestra” è una commedia, “Acusada” è un’opera prima con risvolti sociali, un thriller, e “La Quietud” che è, invece, un drama familiare con black humor. Sono molto differenti, ma c’è un tratto comune piuttosto forte.
____________________
Qual è la tua isola felice?
____________________
“La Quietud” [ride]
Ho una casa sul mare, in Argentina, e credo che quella sia la mia isola felice.
____________________
Un Epic Fail sul lavoro?
____________________
Beh, ero in una commedia spagnola e non mi piaceva affatto… Insomma, mi sono anche divertita, non è stato un completo disastro, ma non è il lavoro che mi è piaciuto di più.
Photos by @Johnnycarrano.