Due bicchieri di sidro e sirenette che scrivono messaggi sulla sabbia.
No, non è l’inizio di un film di Yorgos Lanthimos, ma è un riassunto molto semplificato di questa intervista.
Dopo uno shooting con Mary Malone in cui ho ammirato la sua grazia e sensualità, ci siamo sedute al tavolo di un pub a bere sidro e a parlare di come, quando eravamo piccole, entrambe chiedevamo al mare e alle sirene di venirci a prendere, parlando con loro tra le gocce di acqua e scrivendo messaggi tra i granelli di sabbia.
Ho conosciuto Mary grazie alla nuova serie Netflix “Missing You”, in cui interpreta Aqua, personaggio chiave della serie e del quale mi sono innamorata subito. Così, quando siamo venuti qui a Londra, non potevamo non intervistarla.
Insieme abbiamo parlato di come si possa, e si debba riscrivere la narrativa delle persone trans e di come si possa farlo anche grazie alla recitazione, ma abbiamo parlato anche di come isolarsi a volte sia un’arma per sopravvivere. E, la cosa più bella che ho capito in quel momento, insieme a lei, è quanto le bambine che siamo state avrebbero avuto bisogno solo di un abbraccio dalle noi del presente e soprattutto avrebbero avuto bisogno di noi, come siamo ora.
Tra un sorso di sidro (sì, giuro, mi è piaciuto) e chiacchiere sui libri di Miranda July, posso dire con certezza che quella con Mary è una di quelle interviste importanti, che rimarrà con me per sempre.
Vorrei cominciare con questa domanda: qual è il tuo primo ricordo legato al cinema? Quando ha iniziato ad appassionarti?
Il ricordo più vivido che ho risale a quando andavo in vacanza con la mia famiglia in Cornovaglia, nei paesini in riva al mare. Tra questi, ce n’era uno chiamato Padstow con un vecchio cinemino, non so nemmeno se ci sia ancora, spero di sì, ma ricordo che ci andavo con la mia famiglia. Una volta, abbiamo visto lì “Mamma Mia”: in quell’occasione, ho scoperto la magia del cinema, che mi si è manifestata non solo attraverso il film in sé, ma con l’esperienza della sala, che mi sembrava così antica e magica, appunto, sembrava un teatro, ma con un grande schermo.
La mia passione probabilmente è nata quando ho scoperto i film di David Lynch: la prima volta che ne ho visto uno, mi ha sbalordita il livello a cui i film possono arrivare dal punto di vista creativo. Realizzare l’effettivo potenziale dei film mi ha davvero colpito.
Sono magia pura. Io faccio questo lavoro anche perché amo il cinema. È la mia medicina: a volte, può farti sentire peggio, ma sempre per uno scopo.
Cosa ti fa dire di sì ad un progetto?
Per me, in questa fase della mia carriera, cerco di evitare qualsiasi narrativa trans-centrica macchinosa. Prima di tutto, cerco di capire se il personaggio che dovrei interpretare è una persona specificamente trans oppure se viene considerato per altre sfaccettature e moventi. Evito sempre le storie sui transgender che non sono state scritte da transgender: cerco storie che mi emozionano, o mi divertono, cerco ruoli che mi fanno sentire potente, che riflettono positivamente le persone trans. Io non sono un’attivista, né voglio cambiare il modo, ma so in che modo posso incoraggiare il cambiamento attraverso il mio lavoro. Mi entusiasma l’idea di interpretare ruoli che da spettatrice mi piacerebbe vedere interpretati da qualcuno come me o che avrei avuto bisogno di vedere da piccola. Sai, a volte queste cose lasciano il segno, e se mi ritrovo a pensare notte e giorno ad un ruolo e a immaginare chi potrebbe essere quella persona, significa che è il ruolo giusto. A volte, è un personaggio che mi somiglia molto, ma adoro anche interpretare ruoli che mi trasformano completamente. Ho sempre interpretato ruoli molto diversi tra loro, e mi è sempre piaciuto tantissimo.
“Io non sono un’attivista, né voglio cambiare il modo, ma so in che modo posso incoraggiare il cambiamento attraverso il mio lavoro”.
Faccio sempre questa domanda perché trovo molto interessante il fatto che voi attori interpretate sempre ruoli molto diversi tra loro, appunto, e di volta in volta lavorate sulla comprensione profonda del tipo di persona che interpretate, il che secondo me significa che finite per lavorare molto anche sulla comprensione di voi stessi. C’è qualcosa di nuovo che hai imparato su te stessa attraverso il tuo lavoro?
Sì, certo. La mia risposta forse suona un po’ sdolcinata, ma la scoperta più grande che ho fatto è che posso credere in me stessa. Se ripenso a “Missing You”, per esempio, in quell’occasione ho imparato che sono molto più capace di quello che pensavo. Tra i personaggi che ho interpretato, Aqua è stata particolarmente tosta. È una persona molto leale e apprensiva nei confronti delle altre persone, e mi ha dimostrato che i segreti possono divorarti e che non puoi portarteli dentro per sempre, perché tutto alla fine viene a galla.
Come dicevi, Aqua nasconde un grande segreto, e io penso che a volte, quando ti ritrovi in una situazione del genere, finisci per sentirti solo. Aqua, per esempio, è costretta a passare meno tempo con Kat… Tu senti mai il bisogno di isolarti? La solitudine è qualcosa che cerchi o qualcosa da cui fuggi?
Direi che è qualcosa di cui ho bisogno, ma non necessariamente che voglio. Per tutta la vita, l’isolamento è stato un mezzo per sopravvivere, una sicurezza per me. Ma negli ultimi tempi sento sempre più il bisogno di connettermi con le persone e con il mondo, perché sicuramente stare da soli comporta meno rischi, ma la solitudine ti divora.
A volte, io ho davvero bisogno di isolarmi, forse anche a causa del mio lavoro, per cui sono costantemente a contatto con le persone. In più, io sono molto empatica, il che è positivo, ma a volte è anche negativo perché mi addosso i problemi di tutti.
Però, credo sia molto bello essere empatici, non è da tutti.
“Per tutta la vita, l’isolamento è stato un mezzo per sopravvivere…”
Credo di sì, ma a volte è davvero troppo, me ne rendo conto perché io ci tengo molto alla mia salute mentale. Ad ogni modo, la connessione è uno dei motivi per cui faccio questo lavoro, anche se allo stesso tempo ho bisogno di ritagliarmi momenti per me stessa.
Io sono un po’ l’opposto da questo punto di vista, di solito mi sento piuttosto attiva e sono quella che dice, “Ok, dobbiamo vedere i nostri amici, dobbiamo uscire di casa, dobbiamo uscire dal letto”.
Allo stesso tempo, ho realizzato che il mio lavoro comporta una grande visibilità, e in quanto persona transgender, io ricevo già molte attenzioni, il che non è sbagliato, a volte le desidero, ma altre volte non ne ho bisogno, non voglio essere squadrata, guardata, percepita in un certo modo – mi sento più al sicuro quando non ho tutti quegli occhi puntati su di me. Sai, non sto mica recitando; è vero che anche la vita quotidiana, a volte, mi sembra una messa in scena, sembra lavoro, sembra che quando guardo le persone cerco di coglierne e interiorizzare dei pezzi. Per questo motivo, ho imparato che isolarmi a volte è necessario per trovare un equilibrio dentro di me.
Quando approcci un nuovo personaggio, tendi ad essere più razionale o emotiva?
Bella domanda. Credo entrambe le cose, anche se il mio primo istinto è sempre di lasciarmi andare all’emotività. Le cose le sento sempre prima nel mio corpo, e poi cerco di identificare l’emozione che sto provando. Solo successivamente, inizio a studiare la storia e a individuare le cose importanti e il modo in cui dovrei raccontarle. Sebbene poi, a volte, finisce tutto nella spazzatura quando sono sul set col mio partner di scena.
Direi che riesco a dare il massimo quando mi sento emotivamente libera e non alienata da qualsivoglia piano irrazionale abbia messo in piedi per questo personaggio, perché a volte ti sorprendi quando condividi la scena con altri attori.
Qual è stato il tuo primo pensiero quando hai letto la sceneggiatura di “Missing You”?
È stato un percorso, perché l’ho ricevuta poco alla volta. Ho iniziato con un paio di scene per l’audizione, e quelle non sono finite nella serie.
Ricordo la prima lettura del copione: avevamo gli episodi 1-3 e il mio primo pensiero è stato, “Okay, c’è molta più profondità emotiva di quanto pensassi, è un po’ intimidatorio come progetto, ma anche emozionante”. Dopo aver letto l’episodio 3, abbiamo iniziato le riprese, ma non avevamo ancora gli episodi 4 e 5, quindi è stato come guardare qualcosa senza sapere cosa sarebbe successo dopo!
Però, sai, molti di noi avevano letto il libro da cui è tratta la serie e io pensavo: “Il mio personaggio ha un enorme segreto, non posso interpretare gli episodi 1-3 senza saperlo. Come andrà a finire per lei?”. Così ho scoperto cosa sarebbe successo, ma in realtà non ho visto quei copioni fino a quando non abbiamo finito di girare, il che è pazzesco. È stato divertente [ride]. È stato complicato, ma anche una sfida interessante. Abbiamo scoperto la storia poco per volta un po’ come gli spettatori, immagino.
E sta avendo un grande successo!
Sì, è incredibile, sta andando meglio di quanto potessi mai sognarmi. Sono davvero grata e non posso crederci.
Nell’ultimo episodio, Aqua dice: “Hai il diritto di essere onesta con te stessa”. Cosa significa per te questa frase?
Credo significhi che ci meritiamo di vivere la nostra vita nella maniera più autentica possibile. Se pensi a cosa sta succedendo ad Aqua in quel momento, prima che pronunci quella frase, dice qualcosa del tipo, “So che gli vuoi bene”, nel senso di, “So che ami la tua famiglia, ma hai il diritto di essere onesta con te stessa”. Quindi, in pratica, sta dicendo che non puoi fingere di essere qualcun altro per far piacere agli altri e che nessuno ha il diritto di dirti chi sei. Mi riconosco tanto in questo discorso, ho avuto a che fare con queste cose per tutta la vita.
La mia percezione di me è costruita su ciò che gli altri vorrebbero che fossi o pensano che sia, quindi, immagino che la saggezza di Aqua si possa riassumere nel concetto “Hai il diritto di essere chi sei e nessuno ha il diritto di dirti chi devi essere”.
“Non puoi fingere di essere qualcun altro per far piacere agli altri“
Giusto. Come e dove trovi ispirazione quando lavori ma anche nella quotidianità?
Sono costantemente ispirata dalla mia comunità, è la mia principale fonte di ispirazione: tutte le donne trans incredibilmente forti e resilienti che c’erano prima di me e quelle che continuano a lottare insieme a me. Sai, questo mondo non è fatto a nostra misura, quindi il fatto che ci siano così tanti di noi che invece stanno andando alla grande è un’enorme fonte di ispirazione. Ti fa pensare che tutti ce la possiamo fare.
Inoltre, io soffro di una grave sindrome dell’impostore: ovviamente, crescendo come persona trans, non ti ci vedi ad occupare un posto nel mondo. Quindi, quando guardo gli altri e la mia comunità e le persone che mi amano, mi sento ispirata e mi rendo conto che quello che faccio non lo faccio solo per me, ma per loro, per tutti noi. Vedere altre persone queer e trans sul set è davvero incoraggiante, e spero di trovarne sempre di più, non solo attori e attrici, ma anche sceneggiatori, membri della troupe o del team creativo.
Hai anche lavorato in teatro. Ci sono produzioni a cui hai preso parte o ruoli che hai interpretato che hanno influenzato il tuo approccio alla recitazione?
Sì. Mi viene subito in mente il mio debutto professionale a teatro. Era uno spettacolo chiamato “The Prince” in cui interpretavo un personaggio di nome Jen, una dei protagonisti della storia. Lo spettacolo parlava, in sostanza, di un gruppo di personaggi intrappolati nelle opere di Shakespeare, incapaci di fuggire. Si apriva con alcune scene tratte proprio da Shakespeare e ricordo che il pubblico era lì che annuiva, cercando di seguire quei momenti come se sapesse esattamente cosa stesse succedendo, e poi arrivavo in scena io e la mia prima battuta era qualcosa tipo: “Io non ho capito neanche una parola”. Jen era un personaggio così aperto e spontaneo, e ho adorato interpretarla. Direi che mi ha incoraggiata a prendermi il mio spazio sul palco, a essere libera, a connettermi e a guardare il pubblico dritto negli occhi, a essere davvero presente.
Il pubblico ha empatizzato moltissimo quel personaggio e credo di essere stata molto apprezzata per quel ruolo. Da allora porto con me una consapevolezza: “Okay, il pubblico è sempre con me, se io glielo permetto”.
Fantastico. Hai anche recitato in molti cortometraggi, che immagino sia un’esperienza diversa. Noi abbiamo una piccola casa di produzione cinematografica, perché Johnny, il nostro fotografo e direttore artistico, è anche un filmmaker. Per esempio, abbiamo realizzato un documentario, e quindi sono curiosa di sapere della tua esperienza. Immagino che in un lungometraggio ci sia più tempo per far comprendere al pubblico il personaggio, mentre in un cortometraggio hai meno tempo per farli entrare in empatia con te. È più difficile o solo diverso?
Direi che è semplicemente diverso. Nei cortometraggi, spesso cerco di avvicinarmi il più rapidamente possibile al personaggio, renderlo il più vicino possibile a me, in modo che non sembri troppo “distante”. Se riesco a trovare quella persona dentro di me, significa che tutti i dettagli del personaggio esistono già in me, e tutto sembra più reale. Questo è il mio approccio abituale ai ruoli, ma ovviamente a volte arriva qualcosa di completamente diverso da me.
Ho fatto alcuni cortometraggi in cui il lavoro è stato piuttosto intenso, e si è rivelato molto utile. Per esempio, ho girato un cortometraggio chiamato “Scaffold”, in cui abbiamo vissuto un periodo di prove molto difficile, e poi abbiamo girato in una casa isolata e inquietante sul bordo di una scogliera in Galles, vicino al mare. Un’ambientazione molto drammatica, bellissima, suggestiva, ma anche spaventosa. E penso che anche questo aiuti, no? Quando entri sul set e quello è il mondo in cui stai per immergerti, è lì, è reale, e tu ti dici: “Okay, non ho bisogno di nient’altro”.
Comunque, sì, è una sfida a cui non avevo pensato in questi termini. Girare “Missing You” è stato un lusso, ho potuto sedermi e godermi l’esperienza, mentre nei cortometraggi tutto è molto veloce e non hai nemmeno il tempo di assimilarlo.
Qual è il tuo genere preferito da girare e il tuo preferito da guardare?
Penso che il mio genere preferito da interpretare sia la commedia. Non che abbia avuto molte opportunità di fare commedie al cinema o in televisione, ne ho fatte molte a teatro, ma mi piacerebbe farne di più in generale. Penso che sia il genere in cui mi sento più a mio agio, anche se ultimamente ho recitato in parecchi drammi.
Per quanto riguarda ciò che mi piace guardare, probabilmente il genere drammatico è il mio preferito. Mi piacciono le storie cupe, adoro gli horror, le atmosfere inquietanti, cose oscure ed emozionanti che trovo davvero catartiche da vedere.
Io “Missing You” l’ho guardata tutta in un pomeriggio. Qual è stato il tuo ultimo binge-watch?
Sarò sincera, la mia ossessione è “The Real Housewives”. Durante le vacanze di Natale non sono stata bene, e in convalescenza ho guardato l’intera stagione di “The Real Housewives of Atlanta” in un giorno. Chiunque abbia visto quella stagione mi capirà quando dico che è iconica. È il mio guilty pleasure, lo confesso.
C’è anche una serie spagnola bellissima chiamata “Veneno” dei fratelli Javier sulla vita di Christina La Veneno: nonostante l’abbia già vista tutta, continuo a riguardarla in continuazione. Ci sono tre attrici trans che la interpretano nel corso della sua vita, ed è qualcosa di mai visto prima, secondo me. La consiglio, se non l’avete mai guardata.
Devo assolutamente vederla.
Cosa ti fa ridere di più invece?
Alex Consani. È una modella incredibile, è stata eletta “Modella dell’anno” ed è anche la persona più folle, buffa, pazza e selvaggia che abbia mai visto in vita mia. I suoi TikTok sono assurdi, li riguardo ogni giorno. Niente mi fa ridere quanto lei; desidero segretamente e disperatamente di diventare la sua migliore amica.
In questo mondo dominato dai social media come TikTok, Instagram, eccetera, tutto va velocissimo, è davvero pazzesco. A volte penso che le cose vadano troppo in fretta. Ti senti mai sopraffatta? Come affronti questa sensazione?
Sì, mi capita spesso. Mi lascio risucchiare nel vortice della consumazione continua, e solo di recente mi sono resa conto di quanto ciò mi influenzi negativamente. Affronto il problema limitando il tempo che passo sui social media. Mi sembrava di non acconsentire mai per davvero a tutta la roba che mi veniva imposta, e ho iniziato a notare che quando sei sui social, non è nemmeno come guardare dei video, piuttosto ti ritrovi scrollare passivamente per arrivare a cosa c’è dopo. Cerco di gestirle questa sensazione cercando di essere presente, anche se per me è ancora una sfida. Di recente ho iniziato a fare yoga, ed è stato davvero rivoluzionario, perché è raro che io riesca davvero a essere presente nel mio corpo.
Ho capito che solo quando sono consapevole del mio corpo riesco a rallentare e a ritrovare un equilibrio. Quindi, il mio modo di affrontare le cose è connettermi con il mio corpo, concentrarmi su questo e stare a contatto con la natura, che ovviamente è sempre la cosa migliore in assoluto.
Sei cresciuta in campagna.
Sì, nel Suffolk, una regione molto rurale. Facevo spesso lunghe passeggiate nelle foreste e nei campi, ed è bellissimo, mi manca da quando sono a Londra.
Recentemente sto passando più tempo al mare, cosa che mi ha cambiata molto. Il mio sistema nervoso è diverso: all’improvviso, hai un sacco di spazio, è straordinario.
Cosa diresti ad una giovane te?
Sto ancora cercando di capirlo. Probabilmente, le direi che non deve aver paura di sentirsi arrabbiata. La rabbia è un’emozione che molti, piuttosto che imparare a sentirla, imparano a sopprimerla.
Quindi le direi: “Piccola Mary, stai tranquilla. Va bene così”. Le direi di concedersi di sentirsi arrabbiata e di riconoscere che ci sono molte ragioni per sentirsi arrabbiati. Le direi che non deve sentirsi responsabile per tutti quanti e, ovviamente, che è degna di essere amata, e che l’aspetta tanto amore e comunità.
Sai, una volta la mia psicoterapeuta mi ha chiesto di immaginarmi da bambina e abbracciarmi, perché io davo alla me bambina la responsabilità di qualsiasi cosa, pensavo che fosse tutta colpa sua, la consideravo spazzatura. Quando ho iniziato a capire che le cose che sono successe non sono successe per colpa mia, mi sono detta, “Okay, ora posso vivere più serena, la amo, e non ha niente da farsi perdonare”.
Non trovi che sia una verità potentissima che chi può darci quello di cui abbiamo bisogno o che abbiamo sempre desiderato siamo noi stessi? Mi commuovo al pensiero. Se penso alla me stessa bambina e a ciò di cui aveva bisogno, mi rendo conto che aveva bisogno di me. Ora, sono io che salvo me stessa. È davvero emozionante.
“Non trovi che sia una verità potentissima che chi può darci quello di cui abbiamo bisogno o che abbiamo sempre desiderato siamo noi stessi?”
Invece, qual è stato il tuo più grande atto di ribellione?
Vivere senza nascondermi in quanto persona trans in un mondo che è così ostile con noi. Uscire dal letto e dalla porta di casa ed esistere nel mondo.
E qual è la tua più grande paura? E quando ti senti al sicuro?
La più grande paura è la solitudine. Mi sento al sicuro con gli animali.
Già, io ho un gatto che è mio figlio.
Come si chiama?
Blue. Sai, per questa settimana in cui sono qui a Londra, ho chiesto ad una mia amica di prendersi cura di lui. È davvero il mio bambino.
Lo capisco, io vorrei tanto un animaletto, ne ho proprio bisogno. Gli animali sono la compagnia migliore, ti amano senza chiedere nulla in cambio. Mi sento al sicuro con gli animali, nella natura, al mare e nell’acqua, cosa ironica perché l’oceano in realtà mi fa paura. È una storiella un po’ sciocca, ma sai, quando ero piccola, ero convinta che un giorno avrei incontrato le sirene nuotando, e che mi avrebbero presa e portata via con loro…
Oddio, lo pensavo anche io!
Davvero? Forse siamo sirene, siamo sirene in segreto. Io sognavo che arrivavano e che mi portavano con loro nel loro mondo, e lì mi sentivo al sicuro.
L’acqua è il mio elemento preferito.
Sei cresciuta vicino al mare?
No, in realtà.
Nemmeno io. È per questo che ne abbiamo bisogno, che la desideriamo tanto.
È vero, quando sono vicina all’oceano o al mare, mi sento in pace. E da bambina, cercavo le sirene anche io!
Quindi cercavamo entrambe le sirene? Mi riempie il cuore di gioia. Sai, ricordo che gli scrivevo lettere sulla sabbia e sugli scogli per chiedergli: “Venite a prendermi”. Ero convinta di essere una sirena, ne ero un po’ ossessionata. Le sirene, d’altra parte, sono un’immagine di femminilità molto potente, ma in modo leggermente feroce e d’impatto.
Stai leggendo qualche libro in questo periodo?
Sì. Ho appena iniziato un libro di un’autrice che adoro alla follia: “All Fours” di Miranda July. È bellissimo, un po’ buffo, ma trasuda umanità. La scrittrice è molto onesta e vulnerabile e non lo nasconde… Non vedo l’ora di andare avanti nella lettura. Non so se hai mai letto i suoi libri, ma ce n’è un altro suo che trovo bellissimo, “The First Bad Man”.
Anch’io ho letto “All Fours”, l’ho amato. Ho anche letto una raccolta di racconti di Miranda July, “No One Belongs Here More Than You”.
Sì, bellissima anche quella. Secondo me il suo forte è l’esplorazione del desiderio di connessione e di come noi lo ostacoliamo sempre. Mi affascina la sua scrittura, articola i pensieri in maniera perfetta.
C’è una canzone che descrive questo momento della tua vita?
Sì e il bello è che è partita prima durante lo shooting. La mia canzone, in questo momento, è “Landslide” di Stevie Nicks. Sto attraversando una fase di cambiamenti, riconoscendo tutto quello che ho passato per arrivare dove sono, imparando a contare su me stessa e navigare attraverso tutti i grandi cambiamenti che sto vivendo.
Ti consideri un animale notturno o sei una mattiniera?
Adoro questa domanda. Io sono un gufo. Adoro rimanere sveglia fino a tardi, sento sempre che la giornata sia in debito con me, che mi debba del tempo. Penso, “Questo è il mio momento, voglio restare sveglia fino a tardi perché durante il giorno non sono riuscita a fare tutto quello che avrei voluto fare”. Inoltre, a mezzanotte mi viene fame, mi viene voglia di snack, e a volte mi alzo per andare in frigo a mangiarne qualcuno. Quando torno al letto, il mio fidanzato mi chiede sistematicamente, “Cosa hai mangiato?”.
Lui è mattiniero, quindi per noi è un po’ un casino, ma ci compensiamo, io gli insegno la magia della notte, e lui mi insegna che l’alba è meravigliosa. Lui vive vicino al mare, quindi ci svegliamo presto e ci sediamo in spiaggia per guardare il sole che sorge, ed è lì che penso, “Wow, è tutto mio, di nessun altro” perché è così che ci si sente.
Che cosa significa per te sentirti a tuo agio nella tua pelle?
Non ne sono sicura. Non mi capita spesso di sentirmi a mio agio nella mia pelle, ma se mi succede è quando sono presente nel mio ambiente, quindi, se sono nella natura, o se sto ballando e mi sento presento nel mio corpo. In qualche modo, essendo così presente e nel mio corpo, divento meno consapevole di me stessa e ci sono, qui ed ora, viva e a mio agio con me stessa. Ma ci sto ancora lavorando su. Tutti quanti, credo, ci stiamo ancora lavorando su.
Cos’è casa per te?
La mia casa è il mio corpo, perché è l’unico posto in cui vivrò per sempre e che sono sicura ci sarà sempre per me.
Directed by Johnny Carrano.
Makeup & Hair by Nohelia Reyes.
Styling by Rachel Davis.
Thanks to Prosper PR & Thrive Talent.
LOOK 1
Coat: The Frankie Shop
Top: Agent Provocateur
Skirt: Milo Maria
Tights: Tabio
Shoes: Kalda
LOOK 2
Top and Shorts: Samanta Virgino
Tights: Falke
Shoes: Kalda
LOOK 3
Coat: Bibiy
Bra and Knickers: Fruity Booty
Tights: Swedish Stockings
Shoes: Gina
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