Michael Mann è riuscito a ritrarre la figura di una leggenda del mondo dell’automobilismo, un ambiente impersonale e tecnico, con un’umanità e tridimensionalità che rendono giustizia al vero Enzo Ferrari. “Ferrari” è un pezzo della storia di un professionista temibile, un uomo di famiglia e un imprenditore tutto d’un pezzo, interpretato intimamente da Adam Driver, che nella vita come nella carriera ha avuto a che fare con vicende segnanti e personalità allora come oggi iconiche. Della lunga schiera di figure che hanno fatto parte della vita del Commendatore, Michele Savoia interpreta un collaboratore chiave nella storia di Ferrari e dell’automobilismo in generale: Carlo Chiti, uno dei grandi progettisti di auto da corsa del dopo guerra. Da quando verso fine anni ‘50 Enzo Ferrari lo coinvolse nel progetto della Ferrari 156 F1, la prima vettura Formula 1 della casa a motore posteriore, Chiti divenne parte integrante della “famiglia”, contribuendo a fare la storia dell’automobilismo.
Con Michele, abbiamo parlato della quotidianità sul set, momenti memorabili durante le riprese, crescita personale e il potere del cinema nel “riconoscersi e conoscersi ancora meglio”.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Sin da piccolo a casa avevo varie videocassette di cartoni animati, ma tra quelle ce n’erano due di film che ho consumato: “Non ci resta che piangere” con Troisi e “Acqua e sapone” di Verdone. Amavo guardare più questi film dei cartoni. Al cinema, invece, il primo film che mi ha letteralmente folgorato è stato “La leggenda del pianista sull’oceano” di Tornatore.
Qual è stata la tua prima reazione quando hai realizzato che avresti interpretato un ruolo legato a una figura iconica come Enzo Ferrari?
Ho urlato come un matto. Non potevo crederci! E ho capito che tutto può succedere.
Come hai affrontato la preparazione per interpretare Carlo Chiti? Come hai studiato la sua vita, la sua personalità e il suo coinvolgimento con Ferrari?
Ho cercato più materiale audio video e cartaceo possibile. Non ho voluto imitarlo, ma la mia somiglianza ha aiutato molto. Ho scoperto un grande professionista che ha fatto la storia dell’automobilismo italiano.
“Ho capito che tutto può succedere”.
Hai avuto l’opportunità di incontrare persone coinvolte nell’automobilismo o nella storia di Ferrari per ottenere ulteriori ispirazioni per la tua interpretazione?
La fortuna di aver girato a Modena ci ha fatto incontrare numerose persone vicine sia ad Enzo Ferrari che, per quanto mi riguarda, vicine a Carlo Chiti. Mi hanno raccontato di una persona estremamente ligia al dovere, grande e serio professionista che nella vita privata era di una simpatia e ironia grande.
Qual è l’aspetto di Carlo Chiti che ti ha colpito di più e che hai cercato di catturare? “Always anxious” viene definito nel film.
Sono partito proprio da queste due paroline per creare un personaggio molto ligio al dovere è estremamente preciso che, quando si scontra col noto caratteraccio del Drake risulta anche un po’ simpatico, così come lo era nella vita.
Carlo Chiti aveva una relazione professionale spesso contrastante con Enzo Ferrari e i suoi collaboratori/piloti. Come hai affrontato la dinamica tra i personaggi nel film? Cosa pensi abbia guidato il loro rapporto?
Come già detto per me è stato fondamentale il rapporto con Enzo Ferrari. L’interpretazione di Adam Driver mi ha aiutato molto a colorare il mio personaggio, per la maggior parte, in sceneggiatura, legato al rapporto con l’imprenditore modenese.
“Una persona estremamente ligia al dovere, grande e serio professionista che nella vita privata era di una simpatia e ironia grande”.
Enzo Ferrari è una figura altrettanto leggendaria nel mondo dell’automobilismo. Cosa pensi che il film aggiunga alla sua storia e alla sua eredità?
In questo film vedremo un lato più intimo ed umano del temibile Ferrari, sul cui carattere difficile ci sono numerosi aneddoti. Vedere un uomo tutto d’un pezzo affrontare i problemi familiari e i demoni interiori legati alla morte del figlio, sicuramente contribuirà ad una visione più tridimensionale di questa figura.
Qual è stata la parte più affascinante dell’interpretare un periodo così importante nella vita di Enzo Ferrari e nel mondo delle corse?
L’anno cruciale per la vita di Ferrari, il 1957, è di per sé interessantissimo in quanto rappresenta forse l’anno più buio della Ferrari. La crisi coniugale, il rischio di fallimento, il dover vincere a tutti i costi le mille miglia per non fallire. Tutta questa pressione rende il film davvero interessante e poter raccontare così tanta storia è stato molto stimolante ed affascinante.
Qual è stata la scena più memorabile da girare e cosa l’ha resa così speciale per te?
La scena per me più emozionante è stato l’arrivo in officina della macchina distrutta di De Portago dopo l’incidente. Ricordo che michael mann ci ha fatto accedere al set da un ingresso secondario perché non voleva vedessimo prima la macchina, così da suscitare in noi un’emozione e un dispiacere autentico. E così è stato! Il morso allo stomaco che ho avuto guardando la carcassa della macchina è stato davvero forte.
“Tutta questa pressione rende il film davvero interessante e poter raccontare così tanta storia è stato molto stimolante ed affascinante”.
Qual è il messaggio chiave che sperate il film trasmetta al pubblico riguardo alla vita e al lavoro di Ferrari?
Domanda molto interessante, ma io per carattere vivo l’arte come un atto intimo, privato. Amo il fatto che ognuno legga e si riconosca in aspetti diversi della stessa narrazione. Ovviamente io ho il mio, ma preferisco che ognuno raccolga dalla storia un pezzo di sé, per riconoscersi e conoscersi ancora meglio.
Hai scoperto qualcosa di nuovo su te stesso dopo questo film?
Si, che posso sognare anche in grande, perché i sogni si avverano!
Il tuo must-have sul set?
Avevo un amuleto portafortuna sempre nascosto in tasca, e lo sfregavo ogni volta che avevo paura.
Qual è stato il tuo più grande atto di ribellione?
Nella vita è stato rischiare e avere il coraggio di sognare. Sono andato via di casa, anche litigando bruscamente con i miei genitori che inizialmente non capivano le mie scelte (o semplicemente ne avevano paura). Ho imparato che avere coraggio ed entrare nella crisi (nei termini in cui ne parlava einstein) è bellissimo, proficuo e porta ad una conoscenza di sé molto più grande, permettendo di ingrandire i tuoi orizzonti.
Nella vita di tutti i giorni, nel mio piccolo cerco di portare avanti una battaglia che è un costante atto di ribellione: essere gentili e sorridere sempre, con chiunque, per cercare di creare una società migliore.
La tua più grande paura?
Da sempre combatto con un enorme mostro che è la paura del giudizio degli altri. E devo dire che ho scelto il mestiere migliore per evitarla! (Sono ovviamente ironico). Ma ci stiamo lavorando!
Cosa significa per te sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Significa tanti anni di lotta con i miei mostri e le mie paure, tanti anni di non accettazione e di crisi, periodi bui (ho affrontato anche un grave disturbo alimentare). Saper reagire ad uno scontro continuo con una società che non accetta sempre le imperfezioni e non perdona i sognatori, ma fortunatamente sono giunto ad una sana consapevolezza di quello che sono e soprattutto di quello che sono dopo questo percorso. E tutto ciò niente potrà più togliermelo.
Qual è la tua isola felice?
Il mare. Mi rifugio sempre lì, soprattutto in un paesino in Puglia dove sono cresciuto, Savelletri. E poi anche la parmigiana! Lei si che è la mia isola felice.
Photos by Luca Ortolani
Thanks to Gargiulo & Polici Communication