“The World to Come” è uno di quei film a cui continui a ripensare e ogni volta emerge un nuovo elemento, una nuova emozione, come se fosse un processo di scoperta che non conosce fine.
“Una classica storia d’amore” l’ha definita la regista Mona Fastvold nella nostra intervista, pur non essendo stata raccontata in questo modo molte altre volte.
Mona ci ha guidati attraverso il processo di realizzazione di questo film, dall’aver fatto propria la sceneggiatura al realizzare una splendida danza, insieme alle attrici Katherine Waterston e Vanessa Kirby, incentrata sull’interazione tra i loro personaggi. Con il suo linguaggio cinematografico, Mona ha portato sullo schermo un film dove le emozioni represse sono l’emozione più potente, una storia del 1800 più che contemporanea, un sentimento nostalgico per quel che avrebbe potuto essere (e che è stato, seppur brevemente), e che continuerà a vivere solo nella nostra immaginazione.
Cosa ti ha spinta a realizzare questo film? C’era qualcosa nel copione che ti ha particolarmente emozionata?
Quando ho letto il copione, sono rimasta subito colpita dal fatto che si trattasse di una storia che, ovviamente, si è vista tante volte in passato, non abbiamo inventato niente di nuovo, è una classica storia d’amore sotto molti aspetti, semplicemente non è stata raccontata molto spesso. Il modo in cui queste due donne interagiscono, in cui girano lentamente intorno l’una all’altra, giocando a questo gioco di “Cosa puoi dire? Cosa non puoi dire?”, e poi la bellezza del linguaggio, mi ha subito colpita, è una storia che sapevo come raccontare e a cui mi sentivo profondamente legata, era qualcosa di personale. Ho sentito subito di avere un linguaggio visivo pronto per questo film. È stato emozionante.
“Ho sentito subito di avere un linguaggio visivo pronto per questo film”.
Quando ho visto il film, mi è sembrato che si stesse svolgendo una sorta di danza tra Katherine e Vanessa. Come hai lavorato insieme a loro per costruire questa chimica e questa “coreografia”?
È interessante che mi parli di danza e coreografia, perché il mio background è anche quello del movimento e della danza, mi piace integrarlo nel mio linguaggio cinematografico. Ci sono molti piani sequenza lunghi e carrellate, la chimica tra loro due era proprio lì, fin dalla prima volta in cui si sono incontrate, si è sviluppata così splendidamente. Sono entrambe molto intelligenti e divertenti, hanno giocato l’una con l’altra fin da subito. Quell’energia non era qualcosa su cui dovevano lavorare, era già lì. Spesso, per capire cosa fare con queste lunghe scene di dialogo, è stato necessario trovare il giusto blocco e movimento, come potevano girarsi intorno all’interno dello spazio e come un gesto potesse essere così significativo, come la ripresa del suo piede.
Quei piccoli movimenti e gesti sono così significativi quando sei in quello stadio di una relazione, o nella fase di innamoramento: la sensazione e il calore di qualcuno che è proprio accanto a te, senza nemmeno toccarti, come il tuo corpo reagisce a questa vicinanza… abbiamo cercato di catturare alcuni di questi elementi attraverso il modo in cui abbiamo posizionato le telecamere.
Un’altra cosa sul movimento e la chimica che è stata una parte emozionante delle riprese per me è stata l’immagine di Katherine che si sdraia dopo il primo bacio: amo quella scena in particolare, abbiamo trovato la giusta chiave subito, abbiamo usato la prima o la seconda ripresa di quel momento. Quel bacio è così goffo, così accattivante e imbarazzante, lo adoro, e come Katherine si china per trovare gli occhi di Vanessa dopo, anche quello era anche molto speciale e veritiero, perché un primo bacio non è perfetto, sappiamo tutti che di solito è goffo, ma che può essere incredibile allo stesso tempo, si spera di trovare qualcuno sperando di riuscirci. Volevamo catturare quell’imbarazzo. Dopo quella scena del bacio, ho detto a Katherine: “Voglio che provi a fare un movimento che esprima completa goffaggine, gioia e imbarazzo. Che cosa sono lo stupore e la gioia per te?” Le ho detto: “Sarò qui con la telecamera e voglio che tu provi a spostarti da qui a qui e che trovi un modo per esprimere questo concetto con il tuo corpo”. All’improvviso, si è seduta ed è caduta all’indietro in quel modo, allora ho pensato: “Ci siamo!”
“…il mio background è anche quello del movimento e della danza, mi piace integrarlo nel mio linguaggio cinematografico”.
Alcune scene sembrano un dipinto. Se potessi fotografare un momento del film, quale sceglieresti?
Questa immagine di cui stavo parlando, e che volevo rilasciare prima dal film, mi è molto cara. Penso che André Chemetoff, il mio direttore della fotografia, sia un maestro con le luci, e ho avuto uno straordinario scenografo con cui ho lavorato a stretto contatto: la nostra ispirazione e riferimento per il film erano per lo più dipinti. Anche girare in 16mm con tutta quella texture, volevo creare quel sentimento pittorica dell’epoca, più che ricordare altri film dell’epoca, in modo che sarebbe stata la mia ripresa personale di quel periodo, e non solo un omaggio ad altri film che ritraggono la stessa epoca.
Ho pensato alle nature morte e ai dipinti, come quando spennano i polli, ero ossessionata da quel genere di piccole cose e da quei dettagli della vita agricola, che sono stati illuminati con un tocco romantico.
Quando hai tra le mani una sceneggiatura così potente, come regista come riesci a renderla tua?
Ho avuto la fortuna di lavorare con alcuni scrittori davvero bravi che stavano raccontando una storia d’amore gay tra due donne, e sono due uomini anziani, penso che abbiano fatto un bel lavoro nel raccontarlo, mi hanno detto: “Ok, ora e qui, prendi questo e rendilo tuo”.
Mi hanno dato tanta libertà ed erano così entusiasti di sentire le mie proposte e di collaborare ulteriormente allo sviluppo della storia e della struttura. Hanno fatto una lista dei miei pensieri e hanno cercato di capire come elevarli, è stato un processo molto collaborativo.
Per esempio, ho detto: ”Penso che abbiamo bisogno di una scena d’amore in questo film e ho un’idea molto specifica su dove voglio collocarlo e come voglio farlo,” e ho aggiunto: “non scrivetelo, lo farò e basta”. [ride] Era qualcosa che volevamo includere nel film.
Parlare anche di parto e maternità era qualcosa che volevo davvero inserire nel copione: riesci a immaginare di sapere che avresti dovuto attraversare tutto questo da sola? Volevo aggiungere quelle conversazioni e piccole cose simili, questa è la mia unica esperienza come madre e come donna che volevo inserire, e anche, esteticamente, volevo prendere tutti questi messaggi incredibili e trovare un modo per inserirli nel film e renderli cinematografici.
Di solito inizio con un visual book molto dettagliato, con disegni, dipinti e fotografie che inizio a costruire man mano che ci lavoro (insieme alla sceneggiatura). Diventa la Bibbia che uso con tutti i miei collaboratori creativi mentre continuiamo a lavorare.
“Parlare anche di parto e maternità era qualcosa che volevo davvero inserire nel copione”.
“Di solito inizio con un visual book molto dettagliato, con disegni, dipinti e fotografie…”
Il tempo sembra un personaggio a sé. So che l’hai girato stagionalmente: è stata una cosa difficile da fare?
Sì, è difficile programmare delle riprese separate quando si dispone di un piccolo budget. Piccolo è relativo, ma per questo film non c’era molto spazio per fare tutte le cose che volevamo fare, quindi girarlo in due parti è stato davvero impegnativo. Ma abbiamo ritenuto che fosse importante, che la storia dovesse seguire le stagioni e il tempo, quindi in qualche modo i miei produttori molto bravi ed io abbiamo trovato un modo per farcela. La cosa eccitante per me in quanto regista è che ho avuto modo di editarlo nel mezzo, così abbiamo girato l’estate e l’autunno prima, poi l’ho editato per un paio di mesi e siamo tornati a girare in inverno e in primavera. È stato un modo interessante per capire quello che volevo aggiungere. Non ho rigirato nulla, ho solo aggiunto alcune cose molto specifiche.
Attraverso il film, sentiamo molte volte un personaggio riferirsi a qualcosa che pensava da bambino. E poi sia Tallie che Abigail parlano di prigione. Quanto pensi che siamo tutt’ora “imprigionati” dai modi in cui siamo stati cresciuti?
Penso che, in particolare per Abigail e Tallie, l’unico punto di riferimento che hanno è la loro famiglia perché sono cresciute in un luogo così remoto che il loro mondo è molto piccolo, quindi dicono sempre: “Mia madre diceva, mia sorella, mio fratello…” il loro mondo è questo. Abigail ha letto alcuni libri e opere teatrali, ha dato un’occhiata ad altri mondi ma quello in cui vivono è una prigione e Abigail sta iniziando a pensare che, forse, potrebbe essere una prigione gioiosa: “Anche qui possiamo cantare come uccellini in gabbia”, questo è quello che dice e quella battuta mi dà sempre brividi, il modo in cui pensa: “Possiamo accontentarci in questa prigione, è una prigione che potrebbe funzionare per lei?” È così triste, perché no, non è così ovviamente, merita molto di più, meriti di evadere, ma per loro questo non è possibile, considerando il periodo in cui vivevano. Tuttavia, penso che molte persone possano tutt’oggi identificarsi con questo pensiero, il che è straziante.
Il film parla di reprimere le emozioni, ma possiamo comunque provarne molte mentre lo vediamo, ed è fantastico. È stato difficile rappresentare questo aspetto?
No, non direi. Credo che sia nella mia natura appoggiarmi a performance sobrie, perché sono scandinava, fa parte della nostra cultura, sono attirata da quel tipo di processo che prevede di optare per una performance e una scelta che, se riescono nel suo intento, invitano il pubblico ad “avvicinarsi” al film. Non si tratta di una performance che ti “attacca”, è più che altro un invito a chiedersi: “Cosa sta succedendo qui? C’è qualcosa che sembra quasi nascosto”, e ho parlato molto con Katherine e Vanessa di questo aspetto chiedendo loro: “Qual è la sottotrama qui?”. A volte prendevo ognuna di loro da parte e dicevo: “Qui è dove stai andando a parare. Voglio che provi a fare questo e quello”, in questo modo non sapevano cosa avrebbe fatto l’altra, ed è questo il bello, il fatto che stessero costantemente cercando di intuirsi a vicenda: “Stai capendo quello a cui mi sto riferendo? Sono stata capita o non sono stata capita? Sto dicendo qualcosa di pericoloso? È troppo pericoloso? Stai leggendo i miei indizi o no?” Questa costante incertezza penso sia qualcosa con cui possiamo identificarci anche oggi, quando fai un passo e non sai se qualcuno sia disposto a farlo insieme te, penso che sia terrificante. Hai paura di insultare qualcuno o di far sentire qualcuno a disagio, e credo che a quel tempo fosse particolarmente pericoloso dire la cosa sbagliata.
Pensi che dobbiamo ancora cercare conforto nella nostra immaginazione?
Sì, credo di sì, è l’unica via di fuga che una persona ha a disposizione. Questo è il sentimento che chiude il film, è straziante, ma è vero. Penso che nel momento che stiamo vivendo molti di noi dovranno ricorrere alla loro immaginazione, se dobbiamo tornare in isolamento, se dobbiamo trovare nuovi modi di lavorare e comunicare, innamorarci su Zoom e immaginare cosa significhi toccare qualcuno. È sicuramente un momento in cui l’immaginazione è potente.
“…L’immaginazione è l’unica via di fuga che una persona ha a disposizione. Questo è il sentimento che chiude il film, è straziante, ma è vero”.
Che cos’è la soddisfazione per te?
È difficile. So cos’è la soddisfazione, ma spesso non mi sento soddisfatta. Provo una profonda soddisfazione quando concludo il mio lavoro, durante i bei momenti sul set, per esempio quando la performance è esattamente come volevo che fosse, e tutto d’un tratto c’è una raffica di vento e la luce è quella giusta, quando Katherine arrossisce e si ha questo momento magico dove ti senti un conduttore e non un tecnico… Non è soddisfazione, perché sono sempre nervosa e ansiosa, ma è molto soddisfacente.
Cos’hai provato quando hai visto il film per la prima volta?
Vedere il primo assemblaggio di un film è un’esperienza molto dolorosa perché sei all’inizio di un processo di montaggio, hai visto tutto il lavoro che hai fatto: il mio editor è fantastico e siamo molto vicini, abbiamo lavorato insieme e ci conosciamo da molti anni, ha una sensibilità così elegante, ma c’erano comunque un milione di cose dove dicevo: “Ho bisogno di risolvere questo problema in questo momento perché doveva essere lì, non lì, e abbiamo bisogno di fare questo e così via”. Fondamentalmente la prima volta che vedo il film voglio modificare l’intera struttura, è sempre un attacco di panico.
Quali sono state le principali difficoltà nel portare sullo schermo questo film composto da così tanti strati?
Ogni giorno è stato una grande sfida perché dovevamo fronteggiare pioggia, fango e neve. Sono state delle riprese davvero difficili, a volte abbiamo dovuto portare a mano l’attrezzatura su per la collina perché non riuscivamo a salire con la macchina, e i cavalli… È davvero difficile “dirigere” i cavalli, non avevo idea di quanto fosse difficile, è stato abbastanza impegnativo. La metà delle volte che non stavano facendo quello che volevamo che facessero si innervosivano e, per qualche ragione, con questi cavalli in particolare non si poteva mai chiamare l’azione perché li rendeva ansiosi, stavano causando abbastanza problemi [ride]. I polli, le mucche e le pecore si comportavano meglio, i peggiori erano i cavalli, delle “prime donne”.
“… durante i bei momenti sul set […] quando la performance è esattamente come volevo che fosse, e tutto ad un tratto c’è una raffica di vento e la luce è quella giusta, quando Katherine arrossisce e si ha questo momento magico dove ti senti un conduttore e non un tecnico…”
Abigail scopre che la scrittura è l’unico modo che ha per esprimersi, soprattutto all’inizio. Tu tieni un diario, o trovi conforto nello scrivere?
Tengo un diario, è così bello che tu me lo chieda, tutti mi chiedono: “Perché volevi dirigere questo film?”. È la prima volta che faccio questo pensiero stranamente, lo hai contestualizzato per me: scrivo tre pagine ogni giorno, non importa cosa, tengo un diario da tutta la vita, dal momento in cui ho imparato a leggere e scrivere. Ho valige piene di diari a casa dei miei genitori, in soffitta. È sempre stata una sorta di terapia per me, un modo per dare un senso a ciò che accade nella mia vita, ed è semplice ri-scrittura, mi dico sempre: “Non c’è giudizio, non voglio essere letta da nessuno, non serve per tenere un registro della mia vita”, è semplicemente svegliarsi la mattina e riversare i pensieri che senti, in qualche modo è sempre stato un grande conforto. Se torno indietro a rileggere questo e quello, mi faccio un’idea della mia vita e di quello che sto attraversando professionalmente, emotivamente, privatamente. È uno sfogo di parole che metto per iscritto ogni giorno. La scrittura di Abigail è molto precisa, penso che sia un’autrice alle prime armi, o per lo meno qualcuno che si diverte con la parola scritta, che si sta esprimendo, è un tipo diverso di scrittura, io spero che nessuno scopra i miei diari, li voglio bruciare prima di morire. Tuttavia, penso che sia una delle cose che mi ha portata a relazionarmi con il personaggio e la storia, e questo ricercare un posto per scrivere nella casa. Scrivevo sempre la mattina, ma ora ho un figlio e non ho le mattine libere come una volta, quindi ora, in qualsiasi momento durante il giorno, mi ritaglio un po’ di tempo per scarabocchiare qualcosa da qualche parte.
Questa storia è rimasta con te, in un certo senso, anche dopo aver ultimato il film? Hai “tenuto” qualcosa del film nella tua vita?
L’ho finito poche settimane prima di Venezia, quindi è ancora fresco per me. Guardandolo alla prima, mi sono detta: “Smettila di pensare, smettila di lavorare sul film perché è fatto, siamo a Venezia ora, non c’è più niente da fare, questo è tutto, lascialo andare e divertiti”. Penso che tu viva con queste storie per anni e anni quando dirigi un film, è una parte così importante della tua vita. Penso che queste due donne siano state una grande ispirazione per me, e in questo momento mi sento triste di dover dire loro addio e di lasciarle andare. Mi è piaciuto passare del tempo con loro, mi è piaciuto lavorare su di loro, sono donne straordinariamente normali.
“Penso che queste due donne siano state una grande ispirazione per me, e in questo momento mi sento triste di dover dire loro addio e di lasciarle andare. Mi è piaciuto passare del tempo con loro, mi è piaciuto lavorare su di loro, sono donne straordinariamente normali”.
L’ultimo libro che hai letto?
“Il sussurro del mondo”, un bellissimo libro sugli alberi.
Stai scrivendo qualcosa di nuovo, o hai già in mente un altro progetto?
Sì, ho scritto un po’ durante il lockdown, oltre a fare il montaggio del film, perché ho trovato la storia di un animale che stavo ricercando da un po’. È ancora troppo presto per parlarne, ci sto ancora lavorando, ma sì, sto lavorando a qualcosa di nuovo in questo momento ed è davvero emozionante. Poi ho scritto un altro film con il mio partner Brady Corbet, si chiama “The Brutalist” e lo dirigerà lui all’inizio del prossimo anno.
Photos by Johnny Carrano.