L’Award Season è ormai alle nostre spalle, eppure stiamo ancora pensando a tutti i film meravigliosi che abbiamo visto l’anno scorso, o recuperando quelli che ci mancano.
Uno dei film più acclamati è stato sicuramente “1917” diretto da Sam Mendes, girato come un unico piano sequenza, che ti tiene incollato allo schermo per tutta la durata, e che ti porta a chiederti come siano riusciti a realizzarlo… A cominciare dal trucco, come sono riusciti a mantenere la continuità? Come hanno fatto a renderlo così autentico?
Abbiamo chiesto questo e molto altro a Naomi Donne, responsabile del dipartimento makeup del film, che ci ha raccontato del suo processo creativo, di come Sam Mendes abbia dato vita a una storia così emotiva con tale chiarezza, che ha poi condiviso con tutti, e alcuni trucchi “sanguinosi” che hanno inventato per girare scene di una certa lunghezza.
Non è tanto il genere quanto la sceneggiatura, o la storia, che porta Naomi a scegliere un determinato progetto. E, restando in tema, uno dei suoi progetti personali è “Made Up Stories” (lo potete trovare su Youtube), un’idea ricca di sensibilità in cui Naomi dimostra ancora una volta le sue abilità per creare dei meravigliosi makeup su coloro che, a causa di problemi di salute o spiacevoli eventi, non si riconoscono più. Non vediamo l’ora di scoprire le sue prossime Made Up Stories!
Prima di tutto, congratulazioni per la nomination agli Oscar! Qual è stata la tua reazione quando ne sei venuta a conoscenza?
Non mi aspettavo alcuna nomination. È un film di guerra, volevo che sembrasse molto autentico, e quindi non volevo che trasparisse il makeup, non desideravo niente di più se non raccontare la storia di questi soldati e le condizioni in cui si trovavano. Raccontare la loro storia, questo era importante per me. Il look era piuttosto leggero e autentico dato che sono quasi sempre coperti e pieni di fango.
Non voglio che la gente dica: “il trucco era fantastico” perché non voglio che il film si focalizzi sul makeup, volevo che riguardasse la storia delle persone che sono rappresentate; sono rimasta molto sorpresa ed entusiasta quando ho scoperto di essere stata nominata, perché non significa che ci sia stato meno lavoro da fare, significa solo che è stato diverso e quindi sono stata molto felice di sapere che le persone avessero notato quello che avevamo fatto anche se in modo leggero. È sempre una sensazione fantastica essere riconosciuti dai propri colleghi.
Com’è stato lavorare con Sam Mendes, il regista di “1917”?
Abbiamo discusso dei look del film e per Sam è stato emozionante, perché si trattava di un progetto molto personale. Il mio lavoro è abbastanza dettato dalle emozioni, tendo a concentrarmi sull’istinto piuttosto che sul cercare di essere fedele al periodo storico. Abbiamo parlato molto dei personaggi, da dove venivano, ogni membro della troupe era concentrato sulla natura autentica del film. Mesi prima dell’inizio delle riprese, Sam ha radunato tutti i responsabili dei vari dipartimenti per organizzare un incontro creativo in cui abbiamo analizzato le sue sensazioni riguardo al film, e della resa finale che si aspettava.
Quindi, siamo arrivati preparati alle riprese, Sam era così sicuro riguardo al suo film, conosceva ogni fotogramma anche mesi prima dell’inizio e, avendolo scritto lui, tutto aveva già preso forma nella sua testa, quindi era molto facile capire che approccio avere. Avevamo una sensibilità simile su come dovevano apparire i personaggi. E l’avere già lavorato insieme a due film della saga di James Bond ha reso tutto molto più semplice.
“Abbiamo parlato molto dei personaggi, da dove venivano, ogni membro della troupe era concentrato sulla natura autentica del film”.
Che tipo di ricerche hai fatto per la realizzazione dei look?
Quando Sam mi ha scritto chiedendo di partecipare al film, ho iniziato subito a leggere la sceneggiatura. Parliamo di giugno dell’anno precedente all’inizio delle riprese, ho iniziato a fare molte ricerche online e a guardare documentari, di materiale ce n’era parecchio. Poi, quando abbiamo iniziato con la preparazione effettiva, abbiamo discusso con gli storici del periodo di come vivessero le persone a quel tempo, di come fosse la loro vita quotidiana e del modo in cui il loro stile di vita influenzasse il loro aspetto esteriore; e non parlo solo delle trincee o delle ferite, ma della loro dieta, della loro igiene, di quanto spesso potessero concedersi un bagno. Tutte queste piccole cose influenzavano il loro aspetto: ad esempio, si pensa che gli uomini perdessero peso una volta entrati nell’esercito, ma tutti i ragazzi invece mettevano su peso, perché la vita era davvero difficile per loro in Inghilterra, mentre nell’esercito avevano diritto a 3 pasti al giorno e mangiavano molta carne. Anche il modo in cui si tagliavano i capelli dice molto: nell’esercito tenevano i capelli molto corti, lo si faceva per annullare la loro individualità; poi però iniziavano a crescere di nuovo, ma non erano autorizzati ad avere i capelli che spuntassero da sotto l’elmetto, quindi li lasciavano crescere solo per qualche centimetro, finendo così per avere questo strano taglio di capelli. Quando analizzi la storia, capisci perché erano così e tutta questa conoscenza è stato utile per realizzare i look, per renderli autentici.
Così è come ho svolto le mie ricerche.
Ho anche passato molto tempo a studiare le fotografie dell’epoca. Ce n’era una in particolare che ho trovato stimolante: raffigura un soldato a terra nella trincea, coperto di fango, era un’immagine così disperata, l’ho tenuta con me tutto il tempo per ricordarmi cosa hanno passato i soldati. Poi è uscito il documentario di Peter Jackson, “They Shall Not Grow Old – Per sempre giovani“, che è stato a sua volta molto utile. La colorazione era fantastica, penso che abbia reso il film incredibilmente potente e speciale, ciò nonostante le immagini a colori non sono state il mio riferimento, ho usato piuttosto moltissimi fermi immagini in bianco e nero perché è allora che abbiamo notato il pallore bluastro: c’era un pizzico di blu sulla loro pelle ed era la sfumatura che Sam voleva che usassimo ed è quello che abbiamo fatto, abbiamo dato un pizzico di pallore bluastro alla loro pelle e ha funzionato.
“Quando analizzi la storia, capisci perché erano così e tutta questa conoscenza è stato utile per realizzare i look, per renderli autentici”.
Qual è stata la più grande difficoltà e come l’hai affrontata?
Ci sono state molte sfide, avevamo centinaia e centinaia di persone da preparare contemporaneamente e non volevo perdere di vista i dettagli, perché la camera si spostava riprendendo tutti ed è stata una sfida enorme, per ottenere questo risultato ci è voluto un team numeroso al fianco del quale ho lavorato tutti i giorni.
Mentre la telecamera si muove nella trincea, si vede ogni soldato fare cose diverse come leggere le lettere, sistemare i pochi averi, fumare, tutti raccontano una storia attentamente costruita. E penso che tutto questo abbia stimolato emozioni diverse. Poi la continuità, considerando che il film è stato girato come un unico piano sequenza, ci ha messi alla prova su come ricreare determinate situazioni in una scena: quando sparano a qualcuno, di solito si taglia la scena in modo da poter aggiungere il sangue per poi riprendere da un’altra angolazione, ma questo film è stato girato tutto come un unico piano sequenza così la nostra designer prostetica ha creato una pompa di sangue telecomandata in modo che, quando Blake viene ucciso, inizia a perdere sangue mentre lo guardi morire, e tutto il sangue che esce dal suo corpo è stato telecomandato con un dispositivo da remoto. Quindi, con cose del genere, devi prenderti per tempo.
Un’altra sfida è stata quando George viene sepolto tra le macerie, era l’unica situazione che abbiamo girato fuori dalla sequenza: dovevamo capire in che condizioni George sarebbe uscito da quelle macerie perché abbiamo girato l’effettiva scena successiva prima di quella dell’esplosione, così abbiamo provato la scena, l’abbiamo coperto di macerie, l’abbiamo tirato fuori e l’abbiamo fotografato attentamente per avere un riferimento sul suo aspetto al momento delle riprese.
Tutti hanno dovuto affrontare delle difficoltà.
“Poi la continuità, considerando che il film è stato girato come un unico piano sequenza, ci ha messi alla prova su come ricreare determinate situazioni in una scena”.
Parlando degli attori “1917,” com’è stato lavorare con loro e, considerando l’argomento del film, come avete collaborato con ciascuno di loro per farli calare nel personaggio?
Gli attori sono stati molto bravi nell’immedesimarsi nel loro personaggio. Quello che abbiamo fatto è stato creare tutto il background storico con gli attori secondari: c’erano centinaia di persone in attesa del trucco o dei costumi, così abbiamo trasmesso in continuazione i documentari dell’epoca e i film sulla prima guerra mondiale in modo che potessero guardare e vedere ciò che i soldati avevano vissuto per davvero, e questo ha contribuito a dare un riferimento importante per le loro azioni.
Poi con gli attori, e in particolare con George, ho parlato molto del personaggio: chi era, da dove veniva, qual era il suo passato e non c’era nessuna informazione che avrebbe cambiato effettivamente il suo look, ma più si sa di qualcuno e più inconsciamente li si aiuta a diventare quella persona. Tendo sempre a fare questo, è la parte preferita del mio lavoro, creare una realtà per quella persona. Adoro la preparazione, unire tutti i punti.
“È la parte preferita del mio lavoro, creare una realtà per quella persona”.
Qual è il tuo genere preferito?
Non ne ho uno, mi piace far parte di una storia; per esempio, l’anno scorso ho fatto “1917” e poi un film con un piccolo budget, “The Roads Not Taken” di Sally Potter, una storia molto emozionante e ben scritta con Javier Bardem, Elle Fanning e Chris Rock, ho fatto “Cruella“, una commedia Disney in uscita prossimamente, occupandomi solo del makeup di Emma Thompson… Mi piace occuparmi del make up in generale, non ho un genere preferito. Riguarda più il progetto piuttosto che il genere.
Il must-have nel tuo kit.
Non lo so, ho una quantità enorme di diversi tipi di makeup, dipende da quello che sto facendo; penso che un must-have nel mio kit sia una serie di palette, di cui posso usarne sola una per realizzare un look effettivo. Mi sono formata all’antica alla BBC molti anni fa; allora avevo una serie di palette, e pensavo: “Se avrò sempre con me le mie palette, nulla potrà fermarmi nel mondo del makeup”.
Qual è il tuo rapporto con il makeup nella vita di tutti i giorni?
Non ne uso molto, solo quel che basta per essere presentabile; dobbiamo esserlo per forza, altrimenti gli attori ne rimarrebbero scioccati! Indosso solo una quantità minima di makeup, il mio prodotto preferito è il rossetto.
E qual è il tuo rossetto preferito?
È del 1995, di un brand che si chiama Magic Lips. Tutti lo hanno copiato ma io lo indosso da anni, sembra verde, lo si applica e reagisce al calore della pelle; resiste tutto il giorno, anche se si bacia qualcuno ininterrottamente.
Quando ci siamo conosciute a Londra hai menzionato anche la tua serie “Made Up Stories.” Come è nata e come vorresti che si sviluppasse in futuro?
Ho iniziato perché sentivo che c’era così tanti contenuti su YouTube incentrati su come ottenere un certo look e dedicati alle ragazze, mentre non c’era nulla per le donne più mature che vogliono stare bene con loro stesse e che si sentono emarginate dalla società. Quando invecchi, diventi sempre più invisibile e io volevo fare qualcosa a riguardo. Ho lavorato con alcune persone note di una certa età e mi sono occupata del loro makeup, volevo che le donne fossero consapevoli che si può ancora essere bellissime a 50 o 70 anni. Poi ho avuto un’amica con il cancro che aveva perso i capelli, mi ha chiesto se potevo farla apparire come era prima. Questo è stato davvero utile per molte persone che non sono in salute per sentirsi in pace con il loro aspetto, è una tale gioia aiutarli a continuare a combattere, ho sentito che era una cosa positiva e ho lavorato con molta donne in quella situazione. L’ho truccata, le ho messo una parrucca, ha superato la malattia all’inizio ma poi non ce l’ha fatta. Dopo ciò, volevo contenuti più validi per il mio canale YouTube, così ho seguito un corso sulla mimetizzazione della pelle, che è un makeup pensato per mimetizzare le cicatrici della pelle o altri segni; ho fatto il corso perché volevo essere in grado di lavorare con quei prodotti e aiutare le donne o gli uomini con questi problemi, ci sono alcuni metodi, tecniche e abitudini igieniche che si devono adottare e a cui non prestiamo particolare attenzione.
Attraverso il mio canale YouTube, vorrei aiutare le persone che non si sentono bene con il loro aspetto a causa di piccole imperfezioni. Ognuno può essere bello a modo suo.
Cosa puoi svelarci dei tuoi progetti futuri?
Sto lavorando a uno spettacolo di Broadway, si intitola “Sing Street“, è tratto da un film del 2016 ambientato a Dublino e incentrato su una band di liceali, è un film bellissimo ed è un grande progetto che arriverà a Broadway, quindi spero di riuscire a concentrarmi su questo.