Tazzine di caffè tintinnano da un tavolo all’altro, in mezzo all’acqua lagunare.
Sto per intervistare Natasha Lyonne, una donna e un’artista che ammiro per il suo talento, le sue abilità, la sua incredibile ironia, per come riesce a non prendersi mai troppo sul serio e a prendere sul serio le cose giuste.
Quando mi siedo di fianco a lei, mentre sorseggia un caffè, con i suoi grandi occhiali da sole in viso, capisco all’istante, e lei stessa me lo conferma, che non le piacciono le chiacchiere, che non le piace parlare del più e del meno.
Quindi, noi parliamo del nuovo cortometraggio di Janicza Bravo in collaborazione con Miu Miu, in cui lei stessa recita, e pariamo di quanto importante sia la verità – dire la verità, essere veri. A proposito di ciò, ci ricolleghiamo al suo ultimo progetto: “Poker Face”, un giallo in 10 episodi in onda su Peacock US dal 23 gennaio 2023, in cui Natasha interpreta una donna con la straordinaria abilità di intuire quando qualcuno sta mentendo, dono che utilizza per sventare crimini e risolvere misteri.
Perché la vita è troppo breve per perdere tempo.
In “House Comes With a Bird”, il cortometraggio #23 delle Miu Miu Women’s Tales, tu interpreti Penn, un’agente immobiliare. Com’è stato farsi dirigere da Janicza Bravo, che è anche una tua cara amica?
Io amo alla follia Janicza, e nutro un profondo rispetto per lei. Trovo che sia una filmmaker brillante e un essere umano brillante. Mi sono sentita lusingata ed emozionata all’idea che mi volesse per nel suo film.
Sei anche produttrice e regista, hai diretto alcuni episodi di “Russian Doll” per esempio. Come cambia la percezione di quello che fai a seconda del “cappello” che indossi?
Mi fanno spesso questa domanda sull’indossare molti “cappelli”, ma il bello è che io invece vedo tutto come un unico grande cappello. È un tutt’uno, nessuno degli elementi è a sé stante, quindi quando scrivo, dirigo, produco, recito e gestisco il budget di un film, in pratica coordino tutti i settori di una produzione, la vedo come una cosa unica, quasi come un coreografo: mi ritrovo spesso a pensare a come dev’essersi sentito Bob Fosse durante questo genere di cose. C’è qualcosa di molto divertente e soddisfacente nel mettere insieme un team e guardarlo lavorare brillantemente: sanno così tante cose che io non so, quindi cerco di circondarmi di persone che sanno il fatto loro. Adoro gli esperti nel campo, e nutro un profondo rispetto per le persone con cui collaboro.
Il cinema in generale è una forma d’arte collaborativa, per come la vedo io, quindi tutti gli elementi devono necessariamente incastrarsi alla perfezione per dar vita a un qualcosa degno di essere inquadrato e montato e guardato da un pubblico.
“Adoro gli esperti nel campo”
Come avete detto nel panel, forse tu potresti essere uno dei prossimi registi delle Miu Miu Women’s Tales. Cosa ti piacerebbe far bollire in pentola se dovesse accadere davvero?
Sai, è sempre stata una questione di troppi impegni e organizzazione per me riuscire a dirigere una delle Miu Miu Tales, quindi non sono sicura che potrà accadere davvero. Però c’è stato un periodo in cui ne abbiamo discusso, appena prima che scoppiasse la pandemia, e ciò che avevamo in mente era un’improvvisazione tratta da “Re per una notte”. Ovviamente, l’idea non è andata in porto, è bene farlo presente [ride], perché è importante che i lettori sappiano che non solo non farei mai spoiler, ma anche che non l’ho mai fatto in tutta la vita, sono famosa per la mia non-goffaggine, sono una persona molto precisa, un po’ come una campionessa olimpica, che però beve caffè.
Quindi, all’epoca, quando parlavamo di questo progetto, sembrava un’idea interessante, poi però è arrivata la pandemia e io ho preso altri impegni. Però, chissà? Sono sicura che ci verrebbe in mente qualcos’altro se decidessimo di dirigere un corto. Se lo facessi, sarebbe sicuramente in nome del mio grande amore per la regista italiana Lina Wertmuller, che è tra i miei preferiti in assoluto, insieme, ovviamente, a Fellini, e Miu Miu è una casa di moda italiana, quindi sono sicura che un ciclo del genere troverebbe il suo posto.
Nel panel, hai parlato della verità insita nei tuoi progetti e una volta hai anche detto, “Lo scopo del mio viaggio è cercare di raccontare la verità”. Qual è la verità che vuoi rappresentare?
Beh, la verità per me è molto importante, e in tanti dei lavori che ammiro profondamente ne vedo tracce, quando la gente cerca di dare un senso a questa breve vita che ci ritroviamo, e all’assurdità della messa in scena, del fatto che viviamo e moriamo, e dell’ingiustizia che è così invadente, è dovunque e rende tutto così senza senso. Ci sono così tanti aspetti della vita che sono troppo brutali per essere guardati, ma c’è anche così tanta bellezza, allo stesso tempo, ed essere umani è un’impresa al contempo molto leggera e molto pesante per ogni individuo, immagino. Secondo me, ognuno di noi ha la propria situazione con cui fare i conti, e che ha una profonda importanza.
Per me, le arti e la vita in generale dovrebbero girare intorno alla comunicazione reciproca su quelle tematiche, in un certo senso, e cercare di affrontarle per vie traverse o in modo esplicito, attraverso battute, musica, film, o il lavoro di una vita, qualunque sia la forma, inevitabilmente è quello che facciamo.
Dicendo che voglio raccontare la verità, intendo anche che l’unica categoria che disprezzo è quella costituita da cose per natura senza significato e intenzionalmente senza significato. Ho spesso difficoltà con quel genere di cose. Ho difficoltà a parlare del più e del meno, per esempio. Non capisco perché alla gente non piace fare conversazioni profonde, lo trovo strano, è strano anche che si dica “parlare del più e del meno”… Perché sprecare fiato allora? Di sicuro capisco l’importanza di essere educati e farci sentire a nostro agio l’un l’altro, ma spesso mi chiedo se non ci farebbe sentire ancora più a nostro agio raccontarci la verità – magari così non ci sentiremmo così soli e così strani. A volte, siamo un po’ a disagio nella nostra pelle e nel nostro corpo, e non sappiamo cosa ne sarà della nostra giornata e del nostro futuro, o ci ritroviamo a rimpiangere cose del nostro passato, ma non ne parliamo abbastanza, né abbastanza facilmente. Mi piacerebbe che noi come persone lo facessimo di più, gli uni con gli altri, credo sarebbe un grande regalo che ci faremmo se fossimo più veri, anche in interazioni apparentemente più brevi e insignificanti.
“Spesso mi chiedo se non ci farebbe sentire ancora più a nostro agio raccontarci la verità – magari così non ci sentiremmo così soli e così strani”.
Quando parliamo di costumi e vestiti in generale, spesso pensiamo anche alla sensazione di benessere nei confronti di noi stessi, del nostro corpo. Quando ti senti più a tuo agio?
Io apprezzo l’integrità rispetto alle persone che siamo, quindi mi sento sempre più a mio agio quando indosso la mia pelle, non mi piace sentirmi estranea nel mio corpo.
Detto ciò, amo l’estetica, adoro il fatto che esistano persone che padroneggiano il loro mestiere, che sia il make-up o i capelli, la fotografia, i costumi, mi dà gioia e mi diverte vedermi trasformata in un’altra versione di me, creare personaggi. David Bowie, ovviamente, è l’esempio più plateale di qualcuno che ha sempre voluto, in un certo senso, cambiare attraverso i costumi, i capelli, il trucco, o facendo album diversi, con copertine o cover art diverse per ciascuno, lui era un prisma di una personalità e individualità ben definita. Quindi, adoro questo genere di cose.
A proposito di “Russian Doll”, la prima stagione era incentrata sul tema della morte, mentre la seconda si focalizza sulla rinascita. Come facciamo a rinascere?
Già, direi che la prima stagione era “come si smette di morire?” e la seconda è “come si inizia a vivere? – punto e a capo, ecco i nostri cheesburger” [ride]. Sotto molti punti di vista, direi che entrambe le stagioni sono anche meditazioni sul tempo, mettono entrambe in dubbio la natura del tempo, che sembra essere il problema più grande che ci tocca affrontare – quanto sia limitato, il fatto che non possiamo riaverlo indietro, ma anche logisticamente, quanto irritante può essere per certe piccole cose, tipo gli scali aerei. È una roba assurda, il tempo, tutto il mondo ruota intorno al tempo ed è anche legato sia alla storia che al futuro, devi guardare indietro se vuoi guardare anche avanti.
Dal punto di vista della fisica quantistica, credo che una delle grandi domande della nostra epoca sia: perché possiamo ricordare il passato ma non possiamo ricordare il futuro? Niente di scientifico può svelare la logicità di questo meccanismo. È una domanda che mi affascina, quindi mi sono interessata ai viaggi temporali quasi come fossero una questione esistenziale. La serie è sicuramente molto filosofica, intrinsecamente, e spero sia anche divertente perché questi sono concetti assurdi, eppure, eccoci qui a doverli affrontare, quindi c’è un che di universale in una profonda specificità.
Nella prima stagione, il mio è praticamente un personaggio che non si è mai preso il tempo di fare i conti con sé stessa ed essere onesta con sé stessa, al punto da non rendersi nemmeno conto di star vivendo in uno strano loop – se la follia è definita dal ripetere in continuazione gli istessi errori pur aspettandosi risultati diversi. Una volta avuta la rivelazione, la vera domanda diventa, “ma perché sono così strana?”, e si va indietro per cercare di capire dove sia il problema e per riuscire ad andare avanti.
“La prima stagione era ‘come si smette di morire?’ e la seconda è ‘come si inizia a vivere?'”
Qual è stato il tuo più grande atto di ribellione?
Ora come ora direi essere me stessa. Sai, c’è questa frase di Camus che dice: “L’unico modo per affrontare un mondo non libero è diventare così assolutamente liberi che la propria esistenza sia un atto di ribellione”. Credo di aver lavorato sodo in questa vita per cercare di vivere in quel modo. Anche se non ha senso, l’unica cosa su cui ho davvero il controllo è l’essere me stessa, che sia o non sia accettabile o semplice per me o per chiunque altro, quindi mi impegno per esserlo perché ci tengo alla mia libertà.
Sei la protagonista del nuovo show targato Peacock “Poker Face”, dal regista di “Knives Out”, Rian Johnson. In che modo sei riuscita a calarti nei panni di Charlie, questo personaggio così incredibilmente intuitivo?
È stato molto naturale per me interpretare qualcuno che dice sempre la verità. Penso che dire la verità sia la mia qualità migliore e peggiore. Ma a differenza di Charlie, il mio personaggio, io non ho il potere di intuire con certezza quando qualcuno sta mentendo, al massimo intuisco quando forse qualcosa è sospetto. Il bello di Charlie è che usa la sua capacità per aiutare le persone che non sono in grado di aiutare sé stesse; inoltre, la cosa davvero interessante dello show è che il fatto che Charlie abbia un super radar per la verità non significa che abbia sempre tutte le informazioni, quindi ogni episodio è un caso investigativo a sé, in cui Charlie capisce quando qualcosa non va, ma deve comunque lavorarci su e fare i calcoli necessari per mettere insieme il puzzle, senza alcun superpotere.
Quindi, come dicevamo, Charlie ha un dono: riesce sempre a capire quando qualcuno sta mentendo, cosa che spesso viene additata come diversa dal “sapere sempre la verità”: in che modo si dimostra diverso per lei all’interno della storia? In che modo è diverso per te?
Charlie ha una bella battuta che Rian ha scritto per il primo episodio: “Una bugia è come il cinguettio degli uccelli: le persone mentono sempre, il trucco è capire perché qualcuno sta mentendo”. Penso che questo racchiuda il senso del perché il suo dono sia un’arma a doppio taglio e una sfida continua, che si protrae settimana dopo settimana. In un certo senso, rispecchia la vita, quando a volte senti un istinto nei confronti di una persona che ti dice: “Qualcosa qui sembra strano”, ma devi farti largo e indagare perché quello “strano” potrebbe anche essere una cosa buona. Non lo sai mai davvero, ma a volte le tue antenne si alzano e ti comunicano che c’è qualcosa per cui scavare più a fondo in una certa area.
A volte bisogna faticare per capire se è una cosa buona o cattiva; potrebbe essere che qualcuno stia mentendo per proteggere qualcun altro, non per uccidere, ma non lo sai mai finché non indaghi davvero.
Charlie dice che le persone tendono a mentire di più su “piccole cose senza senso” piuttosto che sui loro “oscuri segreti”; ti riconosci in questo? Qual è il tuo punto di vista sulle dinamiche della menzogna?
Credo sia un peccato che la società dia così tanto peso alle piccole bugie. A volte penso che quando ci chiediamo “come stai?”, sarebbe un gesto più amorevole se ci dicessimo la verità, ovvero che il nostro stato d’animo è complicato, spesso siamo pieni di gioia e pieni di tristezza contemporaneamente, o siamo emozionati per il futuro ma ci sentiamo anche molto sopraffatti o stanchi, o molto innamorati ma anche molto spaventati dal fatto che un giorno tutto finirà. Di solito le emozioni della vita sono complesse, ma noi abbiamo l’istinto di semplificarle e pensare: va tutto bene, sto bene; in base alla mia esperienza, quasi mai le persone stanno davvero bene, questa è la risposta più strana di tutte e la bugia più grande di tutte. Probabilmente ci faremmo un favore a vicenda se fossimo più onesti nelle piccole interazioni, così ci sentiremmo meno soli al mondo e più come se fossimo sulla stessa barca, tutti insieme. Invece di dire “sto bene”, forse a volte sarebbe più onesto dire “sto 50/50”; in questo modo, prolungheremmo la conversazione, perché il nostro interlocutore magari direbbe “Ehi, anch’io”, e andremmo avanti.
L’idea alla base del progetto è nata durante una conversazione a cena: tu e Rian stavate praticamente chiacchierando, dicendovi quanto vi piacesse il genere poliziesco, e vi è venuta l’idea di crearne uno. Le idee migliori vengono mentre si mangia o…?
David Lynch diceva che le idee migliori vengono nel sonno. Quindi dovremmo dormire sempre. Lo ripeterò all’infinito, andiamo a dormire [ride]. Scherzo, ma non del tutto; penso che Rian avesse già una mezza idea di voler fare un poliziesco, e anche io sono sempre stata innamorata di questo genere. Ho sempre pensato a Nadia, il personaggio della mia serie, “Russian Doll”, come a qualcuno che è quasi un detective ma di filosofia o teologia, in mancanza di un termine migliore; lei è qualcuno che indaga su un caso, che sarebbe quello della sua stessa esistenza e mortalità. Quindi, il bello di quando Rian mi ha parlato di questa idea, è che sembrava quasi un’estensione che avevo praticamente rimosso; qui, in “Poker Face”, interpreto un vero detective che si occupa di un caso “criminale” di settimana in settimana, ma comunque mi godo il mio grande amore per Philip Marlow. Ho sempre amato i noir e io e Rian condividiamo un altrettanto grande amore per le detective stories degli anni ’30, ’50 e ’70. Il bello è che non avrei voluto altri se non Rian per imbarcarmi in un’avventura del genere, perché lui è un grandissimo “esperto di puzzle”.
Il lato divertente e bello di “Poker Face” è che abbiamo davvero avuto modo di farlo insieme. È stata una bellissima collaborazione, un’esperienza davvero gioiosa, divertente e stimolante. Entrambi abbiamo pensato: “Non sarebbe divertente fare qualcosa che ci piace tanto e lavorarci su insieme e, se abbiamo successo, magari lavorare insieme per molto altro tempo?”. Quella sera, era come una cena tra amici, dove dici cose del tipo: “Non sarebbe divertente se potessimo fare queste cene per sempre?”.
Abbiamo creato una community attorno allo show, nel senso che, per esempio, c’era Chloë [Sevigny], che ha lavorato con me in “Russian Doll” e altri film, così come i miei amici di “Orange is the New Black”, Clea [DuVall] e Dascha [Polanco], che erano anche in “Russian Doll”, e lo stesso vale per Janicza Bravo che ha diretto il finale, e che è una mia cara amica. Abbiamo davvero pensato: e se questa serie fosse un posto felice dove far visita a tutte le nostre persone preferite, tutte le persone con cui amiamo lavorare? L’episodio che ho scritto e diretto in questa stagione l’ho scritto con Alice Ju, che è un’autrice straordinaria con cui avevo collaborato anche in “Russian Doll”. La mia parte preferita di questo lavoro è che si tratta di un modo per fare cose con le persone che amo e rispetto di più.
Qual è il tuo dono?
Sotto molti punti di vista, penso che sono sempre e da sempre stata capace far ridere la gente, anche nelle circostanze più oscure, ed è perché anche nelle circostanze più oscure io vedo il mondo in un modo molto bizzarro, motivo per cui rimane divertente per me. Penso che l’intera esistenza sia così profondamente assurda, tanto per cominciare, come il fatto che fingiamo che la posta in gioco della vita sia così alta, e ce ne andiamo in giro, ci innamoriamo, ci facciamo spezzare il cuore, facciamo figli o decidiamo che forse è troppo tardi, se superiamo i 40 pensiamo: “Dovrei farlo? Dovrei avere figli? Dovrei iniziare una nuova attività e lasciare il mio lavoro? Mi conviene investire in bitcoin o le criptovalute sono finite? Dovrei scrivere un romanzo?”. Facciamo finta che tutto sia molto, molto importante e certamente lo è, ma alla fine dei conti, non importa cosa facciamo, se ci mettiamo in forma o no, se compriamo quel blazer costoso che abbiamo sempre desiderato o no, se andiamo in vacanza o restiamo a casa, moriremo comunque inevitabilmente, e penso che la vita sia un profondo scherzo cosmico, e mi impegno a non perdere mai di vista questa verità, a prescindere da quanto sia alta la posta in gioco. Quindi, lascio sempre che le cose siano un po’ più malleabili anche nelle circostanze più folli.
In definitiva, se perdo o meno il mio treno per me conta solo in relazione alla posta in gioco della realtà della vita; alla fine, verrà un giorno in cui perderò il treno più importante e non ci saranno più treni in circolazione; penso sempre che sia divertente tenerlo a mente e quando altre persone mi fanno ridere, o quando io faccio ridere qualcun altro, o quando ridiamo insieme, per me è come una terza dimensione, è un dono che questo spazio esista proprio in questo mondo, che possiamo piegarci in due dalle risate e dimenticare tutto il resto anche in quel momento che pensiamo sia così importante; è davvero una salvezza.