Nato a Parigi, naturalizzato canadese, Niels Schneider si trasferisce a Montreal all’età di 9 anni e fa i primi passi nel mondo del doppiaggio. La fama bussa alla sua porta nel 2009, quando recita nel primissimo film di Xavier Dolan “J’ai tué ma mère”; è grazie al suo ruolo da protagonista nel secondo lungometraggio di Dolan “Les amours imaginaires” che Niels ottiene visibilità a livello internazionale, vincendo il Trofeo Chopard come rivelazione maschile dell’anno al Festival di Cannes 2011.
Quest’anno, l’attore trentaduenne è il protagonista di “Revenir,” diretto da Jessica Palud e presentato nella sezione Orizzonti della 76esima Mostra del Cinema di Venezia. In questo film, Niels intepreta Thomas, un ragazzo di campagna che ha abbandonato il suo paese, la fattoria in cui è cresciuto e la sua famiglia per andare a cercare fortuna in città. Alla notizia della morte imminente di sua madre, decide di tornare a casa: lì, farà degli incontri che lo cambieranno radicalmente.
Ecco cosa ci ha raccontato della sua esperienza sul set, del suo rapporto con la natura e dei progetti futuri.
Qual è stato il tuo approccio alla forza drammatica della storia e come ti sei preparato per il tuo ruolo?
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Il film è tratto da un romanzo, ma Jessica [Palud] non voleva che lo leggessi prima di iniziare le riprese, infatti ha modificato molto la storia originale, però io ho deciso di leggerlo lo stesso. Ho già recitato in un adattamento cinematografico tratto da un libro e anche in quell’occasione avevo letto il romanzo prima delle riprese, perché ho pensato potesse essermi d’aiuto; anche questa volta, nonostante il libro fosse abbastanza diverso dalla sceneggiatura, è stato un punto di riferimento e mi è stato d’aiuto, non so come esattamente, ma credo mi abbia aiutato a capire meglio il personaggio, il suo mondo, la sua sensibilità e le sue ferite, mi ha aiutato a renderlo più reale, anche se non so se sono riuscito a raggiungere questo risultato.
“Nonostante il libro fosse abbastanza diverso dalla sceneggiatura, è stato un punto di riferimento e leggerlo mi ha aiutato.”
Pensi di avere qualcosa in comune con il tuo personaggio? Ci hai messo qualcosa di te stesso in lui?
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Sì, c’è sempre una grande parte di me nei personaggi che interpreto, sono un mix della mia immaginazione e di ciò che è scritto nel copione. Secondo me, la recitazione ha a che fare più che altro col riuscire ad empatizzare con il personaggio e sentire ciò che sente lui. Ho alcune cose in comune con Thomas, per esempio anche io, come lui, ho perso mio fratello, anche se in circostanze diverse, ma non so se ho usato questa mia ferita personale in maniera consapevole. Poi, anche se io ho un buon rapporto con mio padre, riesco a identificarmi nei problemi che Thomas ha con i suoi familiari.
La regista ti ha dato indicazioni particolari su come recitare alcune delle scene più intense?
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Jessica e io ci confrontavamo spesso sul set, però lei non è quel tipo di regista che dà ordini agli attori. Ci sono alcuni registi, invece, che vedono gli attori come dei tecnici, ma Jessica non è una di loro: le facevamo sempre tante proposte, discutevamo insieme della sceneggiatura e la cambiavamo se necessario, lei ascoltava sempre quello che avevamo da dirle, quindi il film è stato una creazione collettiva. È così che mi piace lavorare, adoro quando si collabora e ciascuno sente di avere un ruolo creativo.
Questo è il secondo film in cui tu e Adèle Exarchopoulos recitate insieme. Com’è stato ritrovarvi e come avete lavorato sulla chimica tra i vostri personaggi?
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Sì, è il secondo film che facciamo insieme, ma nel primo, “Sibyl”, non avevamo scene insieme. Adèle è un’attrice fantastica, la ammiro molto; ha qualcosa di selvaggio dentro, qualcosa di vivo, non finge niente, recita con l’anima, è una delle attrici più interessanti che abbiamo oggi. Per fortuna, c’era una buona chimica tra di noi; nonostante ciò, la scena di sesso l’abbiamo dovuta girare più volte perché scoppiavamo sempre a ridere, eravamo troppo timidi [ride].
” È così che mi piace lavorare, adoro quando si collabora e ciascuno sente di avere un ruolo creativo”.
Qual è il tuo rapporto con la campagna? Ti sei divertito a girare scene nel fango e nei campi?
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Sì, sicuramente! Io vengo da Montreal e lì amiamo tutti la campagna e la natura, anche se io non sono cresciuto in una fattoria, a differenza del mio personaggio. Ma mi è piaciuto molto girare in campagna, ho parlato tanto con la gente del luogo dell’economia e del futuro dell’industria agricola: lì nessuno ha speranza, sai, il debito è così alto che non possono che perdere sempre più soldi ogni giorno, in un tunnel senza via d’uscita. Nonostante tutto, queste persone continuano a svegliarsi ogni mattina per andare a lavorare, per prendersi cura delle mucche e degli altri animali; lo so, sembra assurdo, nemmeno io riesco a capire come facciano a svegliarsi la mattina per andare a perdere soldi.
Com’è stato recitare con un attore bambino?
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I provini per la scelta del bambino sono stati una parte importante della pre-produzione del film e io ero abbastanza spaventato, perché non ho nessuna esperienza con i bambini, quindi al loro fianco non mi sento a mio agio, ma per fortuna il prescelto è stato fantastico, mi adorava e siamo diventati grandi amici. Non era un attore professionista, quindi tutto ciò che faceva quando recitava era reale. I bambini sono i re sul set: ad esempio, quando lui diceva che era l’ora della pausa facevamo tutti pausa, se diceva che voleva il gelato, noi correvamo a prendergli il gelato, insomma, i bambini nel cinema possono essere pericolosi! [ride].
Puoi svelarci qualcosa sui tuoi progetti per il futuro?
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Ho appena girato un film in Italia, le riprese sono finite un mese fa: si chiama “Futura” e il regista è Lamberto Sanfelice, che ha diretto anche “Cloro”. Nel cast c’è Daniela Vega, l’attrice cilena transessuale che ha vinto l’Oscar per “Una donna fantastica”. È stata un’esperienza meravigliosa, abbiamo girato a Milano ed è stato davvero bello.
Photos by Johnny Carrano.